Utilità pubblica del confitto israelo-palestinese

Garantisce a governi e movimenti di mezzo mondo un comodo diversivo dai loro veri problemi.

Di Seth J. Frantzman

image_2864La gente spesso ignora il gran bene che il conflitto israelo-palestinese fa all’umanità: garantisce ore e ore di interminabile intrattenimento, un luogo dove proiettare la propria rabbia, un modo efficace per ignorare i propri problemi interni; e così facendo, può persino salvare molte vite umane, prevenendo l’esplosione di tanti conflitti locali grazie al fatto che distrae le persone e le incoraggia a puntare tutto il loro odio e le loro emozioni su un luogo distante che essi non possono comunque cambiare.
L’ossessione del mondo per questo conflitto viene per lo più considerata secondo due prospettive. Secondo alcuni, il fatto che Israele sia condannato ogni anno alle Nazioni Unite più di ogni altro paese al mondo, che esista un’agenzia Onu specifica per i palestinesi mentre non ne esiste nessuna specifica per alcun altro gruppo, che la morte di un palestinese venga riportata dai mass-media di tutto il mondo mentre la morte di centomila africani venga sistematicamente ignorata, tutto questo sarebbe la prova di una forma moderna di pregiudizio antiebraico (antisemitismo), soprattutto fra europei e musulmani. La calunnia del traffico di organi umani su giornali svedesi, i commenti pieni di odio di socialisti come la britannica Jenny Tonge e l’americana Helen Thomas sembrano corroborare questa tesi.
Altri sostengono invece che l’ossessione anti-israeliana è dovuta a un mondo che non tollera più le violazioni dei diritti umani che Israele somministrerebbe ai suoi nemici. Anshel Pfeffer, su Ha’aretz, sostiene che “in tutto il mondo le persone dotate di senso morale vedono praticamente tutto ciò che accade in questa regione come il frutto di una situazione profondamente immorale, che la dirigenza e la popolazione d’Israele non fanno nulla per modificare”. Dunque le proteste contro Israele in Indonesia, Corea del Sud, Sudafrica e Venezuela nascerebbero dal fatto che queste società sono profondamente imbevute di senso morale e prendono posizione contro l’unico stato immorale che esiste, cioè Israele.
C’è tuttavia un terzo modo di spiegare, ad esempio, come sia possibile che così tanti sudcoreani scelgono di contestare la visita del presidente israeliano Shimon Peres poco dopo l’incidente della flottiglia “pacifista”, al punto da costringere il governo ad abbassare il profilo della visita. Non lo fanno spinti da profonda moralità. Non lo fanno nemmeno perché odiano gli ebrei. Lo fanno perché ciò garantisce loro un confortevole diversivo dai problemi in cui si dibattono. Lo scorso marzo, la Corea del Nord ha affondato una nave della Corea del Sud uccidendo 46 marinai. C’era una brutta aria di guerra, mentre la Corea del Sud cercava un modo per vendicarsi. Ma si consideri quanto torna utile il fatto che i coreani abbiano trovato uno sfogo per la loro rabbia: ora possono esprimere tutto il loro furore per la morte di nove “attivisti” sulla flottiglia per Gaza, e mentre la loro rabbia viene così incanalata, si alleggeriscono le pressioni sul governo di Seul perché faccia dichiarazioni di guerra, e intanto la situazione fra le sue Coree lentamente si decongestiona. In questo modo migliaia, forse centinaia di migliaia di vite umane in Corea sono state risparmiate grazie al conflitto mediorientale.
La maggior parte dei sudcoreani non ha la minima idea di cosa accada in Medio Oriente: non hanno interessi quaggiù, non vi si sono mai recati e non sono seguaci di nessuna delle religioni nate da queste parti. Eppure sono furiosi con Israele. Da questa loro rabbia non verrà fuori nulla, non verranno mai fin qui a sfogarla. Ma gridano e urlano, e in questo modo di fatto danno una mano al loro paese. Ogni giorno speso a dare addosso a Israele è un giorno in meno in cui chiedere vendetta per i 46 marinai uccisi, un giorno in meno in cui invocare la guerra contro il Nord, un giorno in meno in cui preoccuparsi dell’economia, un giorno in meno in cui esprimere sdegno e ira per la corruzione nella Samsung o nel governo.
La Corea del Sud è solo una tessera del puzzle. Si consideri quanto torna utile in Europa che gli europei vedano in Israele la più grande minaccia alla pace nel mondo, e che molti di essi si convincano che Israele è uno nuovo stato “nazista”. Proiettando tutte le loro paure, le loro rabbie e i loro sensi di colpa storici su Israele, essi di fatto danno una mano ai loro governi nazionali e all’Unione Europea. L’Europa, dopotutto, sta affondando in una marea di immigrati e di bassi tassi di natalità, certe sue periferie sono diventate off-limits per le forze di polizia, la sua economia sta lentamente spirando. Se non fosse per Israele, potrebbero esservi tumulti contro i governi; invece così i disordini possono incanalarsi da qualche altra parte. Particolarmente utile è che gli immigrati in Europa continuino ad essere furibondi per Israele anziché per i problemi a casa loro. Il conflitto arabo-israeliano serve persino per tenere impegnati certi hooligan del calcio e il movimento anti-globalizzazione, che un tempo metteva a ferro e fuoco le città europee causando anche dei morti e che ora protesta contro Israele. In Grecia i guai economici, che hanno causato tumulti con morti, sembrano finiti grazie anche alla partecipazione greca alla flottiglia per Gaza.
La Turchia ha serissimi problemi coi curdi e vive una pericolosa lacerazione fra gli islamisti al governo e l’opposizione nazionalista laica. Lo stesso giorno in cui nove “attivisti” morivano sulla Marmara, sei soldati turchi venivano uccisi da ribelli curdi. Ma i turchi non li hanno seppelliti con funerali oceanici, non hanno nemmeno protestato per la loro morte. La loro attenzione era tutta focalizzata su Israele. Israele fa bene alla Turchia: salva i turchi da se stessi e dai loro propri problemi.
Dunque Israele risparmia vite umane, il conflitto risparmia vite umane. Risparmia i governi di Venezuela e Malaysia. Tutti i governi, tranne Stati Uniti, qualche paese africano, pochi paesi europei e le minuscole nazioni della Polinesia, usano Israele per distrarre le popolazioni dai loro problemi interni. Israele offre la catarsi per tutti gli altri problemi locali. Permette alle persone di pensare se stesse come “attivisti dei diritti umani” mossi da profondo senso morale, garantendo loro una causa su cui proiettare la loro rabbia e in un modo che non costa nulla e non causa danni interni. Permette ai governi di appianare le crisi domestiche. In un certo senso ogni israeliano, che sia ebreo o arabo, è un salvagente. I comportamenti di un soldato israeliano, di un colono o di un palestinese possono salvare interi governi di nazioni come il Brasile o l’Irlanda. Questo conflitto è davvero il più grande show del pianeta.

(Da: Jerusalem Post, 8.6.10)

Nella foto in alto: recenti proteste anti-israeliane in Corea del Sud