Vittime civili e diritto internazionale

Hamas non si fa scrupolo di usare i civili come bersagli e come “scudi umani”

image_2022Israele si trova coinvolto in un conflitto contro la sua volontà. Anzi, un conflitto che ha cercato di prevenire ritirando tutti i suoi soldati e tutti i suoi novemila civili dalla striscia di Gaza sin dall’estate del 2005. Ma è costretto a combattere per un’elementare forma di autodifesa, nel tentativo di proteggere i propri civili dalle deliberate aggressioni con missili e razzi da parte dell’organizzazione terrorista jihadista Hamas.
Lo ricorda un comunicato del ministero degli esteri israeliano diffuso lunedì, che aggiunge: “Hamas non fa il minimo sforzo di rispettare il diritto internazionale. Israele, al contrario, fa di tutto per mantenere la sua risposta entro i limiti della legalità. Ciò significa che, mentre Hamas non si fa scrupolo di usare i civili sia come bersagli che come ‘scudi umani’, viceversa Israele cerca di limitare al massimo i danni patiti dai civili di entrambe le parti”.
Il diritto internazionale ammette che possa verificarsi la morte di civili durante operazioni militari. Tuttavia, affinché un’azione militare sia considerata legale, essa deve essere diretta contro “legittimi obiettivi militari” e deve essere “proporzionata”. In base alla Convenzione di Ginevra, un legittimo obiettivo militare – come ad esempio una rampa di lancio di missili o un deposito di armi ed esplosivi – non cessa di essere un legittimo obiettivo militare anche se viene collocato nel cuore di un’area abitata da civili. La responsabilità delle vittime civili usate come “scudo” ricade interamente sulla parte che ha deciso di mettere deliberatamente a repentaglio la loro vita.
Il diritto internazionale richiede inoltre che un’operazione militare sia “proporzionata” al vantaggio militare stimato. Nel fare questa valutazione, la proporzionalità deve essere misurata non rispetto ad ogni singola azione, bensì alla luce della minaccia complessiva che l’operazione militare è chiamata a fronteggiare. Si tratta di una stima complicata e difficile, che il diritto internazionale affida al discernimento del comandante sul campo nel pieno dei combattimenti.
“Israele – continua il comunicato – ha adottato questi principi di fondo del diritto internazionale sui conflitti armati sia nell’addestramento che nella pratica militare. Accade spesso che le operazioni prospettate vengano cancellate proprio a causa del rischio di colpire civili non proporzionato agli obiettivi militari.
Da un esame della pratica internazionale in questo campo emerge chiaramente che le misure adottate da Israele, e il suo approccio alla proporzionalità, corrispondono o sono persino più rigorose di quelle adottate dalla maggior parte dei paesi occidentali tutte le volte che si trovano ad affrontare minacce analoghe”.
I combattimenti attualmente in corso in Israele meridionale e striscia di Gaza, e in particolare la tragica morte di civili e i danni a proprietà civili nel corso del conflitto, pongono interrogativi importanti e impegnativi. Quali sono gli obiettivi legittimi, quando si reagisce a una continua aggressione terroristica? In base a quali criteri si può determinare quanto sia proporzionata la risposta a una irriducibile ed esplicita aggressione terroristica che dura da anni?
“Si tratta – conclude il comunicato israeliano – di interrogativi cruciali, in una situazione che vede un’organizzazione terroristica come Hamas sfruttare senza scrupoli i civili di entrambe le parti come bersagli e come ‘scudi umani’. Israele, dal canto suo, cerca di limitare il più possibile i danni ai civili di entrambe le parti: i civili israeliani, deliberatamente presi di mira dai missili e dai mortai di Hamas, e i civili palestinesi, in mezzo ai quali Hamas piazza sistematicamente i suoi depositi di armi e le sue rampe lancia-missili”.

(Da: MFA, 3.03.08)

Nella foto in alto: Scolari di prima elementare ad Ashkelon, lunedì, sotto un attacco di missili Grad (Katyusha) palestinesi