14 ottobre 2019

La settimana di Sukkot è un momento speciale – scrive domenica l’editoriale del Jerusalem Post – Stranamente al di fuori di Israele è probabilmente una delle festività meno celebrate dagli ebrei, giungendo poco dopo Rosh Hashanà, il capodanno ebraico, e Yom Kippur, che viene osservato da quasi tutti gli ebrei di tutte le correnti. In Israele, invece, Sukkot è una delle festività più visibili. A Yom Kippur tutto si ferma; a Sukkot tutto prende vita. Molti ebrei anche non religiosi costruiscono la tradizionale capanna a cielo aperto, e questi tabernacoli di svariatissime fogge e dimensioni si possono incontrare ovunque, dalle case private ai ristoranti, hotel, ospedali, luoghi di lavoro e basi militari. Sono capanne costruite a ricordo dei tempi in cui i Figli d’Israele vagarono nel deserto per 40 anni dopo l’esodo dall’Egitto, e le origini della festa si trovano nel Libro del Levitico della Bibbia. Ecco perché in Israele si vedono enormi condomini dove ogni appartamento ha almeno un “balcone da sukkà (capanna)”, cioè un’area senza tetto in modo che quelli che consumeranno i loro pasti dentro la propria sukkà possano intravedere il cielo attraverso il tetto di materiale vegetale prescritto dalla tradizione. In effetti, Israele è l’unico paese in cui vengono costruite abitazioni dotate di rifugi antimissile ma anche di un’area a cielo aperto dove gli abitanti possono costruire una capanna temporanea per ricordare la fragilità della vita”.

1939: una sukkà famigliare a Rehavia- Gerusalemme (clicca per ingrandire)

Una sukkà oggi in Israele (clicca per ingrandire)