2 marzo 2021

A tre settimane dalle elezioni del 23 marzo, accogliendo petizioni presentate 15 anni fa la Corte Suprema d’Israele ha stabilito lunedì che i convertiti in Israele all’ebraismo secondo il rito Conservative o Reform saranno riconosciuti come ebrei (come già avviene per quelli convertiti all’estero) e potranno diventare cittadini israeliani in base alla Legge del Ritorno (e non solo attraverso il comune processo di naturalizzazione). Con un voto 8 a 1, la Corte ha chiarito d’aver atteso a lungo che il parlamento legiferasse in materia evitando alla Corte di dover intervenire. “Tuttavia – ha aggiunto la Corte – non possiamo aspettare oltre che i diritti delle persone restino in sospeso”. La presidente della Corte Esther Hayut ha scritto: “I firmatari della petizione sono venuti in Israele e sono passati attraverso un processo di conversione come parte di una comunità ebraica riconosciuta, e hanno chiesto di unirsi alla nazione ebraica. Questa è una questione civile e non religiosa”. La giudice Hayut ha chiarito che la sentenza non impedisce alla Knesset di legiferare in futuro disposizioni aggiuntive. L’unico dissenziente, il giudice Noam Sohlberg, pur concordando in linea di principio con il verdetto aveva esortato ad aspettare la formazione del nuovo parlamento. All’inizio dell’anno, la Corte aveva avvertito che non avrebbe potuto temporeggiare ulteriormente. La sentenza di lunedì ha suscitato, come prevedibile, reazioni diametralmente opposte: salutata come storica da esponenti i laici come Yair Lapid di Yesh Atid e Avigdor Lieberman di Yisrael Beytenu, è stata severamente criticata da esponenti come l’ultra-ortodosso Aryeh Deri di Shas e i rabbini-capo askenazita David Lau e sefardita Yitzhak Yosef.