A cento anni da Sykes-Picot, un solo paese in Medio Oriente spicca per stabilità e democrazia

La disintegrazione di Siria, Iraq, Libia e Yemen non è colpa dei confini artificiali quanto della natura autocratica dei regimi di quei paesi

Editoriale del Jerusalem Post

". La disintegrazione della Siria, dell’Iraq, della Libia e dello Yemen..."

“La disintegrazione della Siria, dell’Iraq, della Libia e dello Yemen…”

Cento anni fa, il 16 maggio 1916, la Gran Bretagna e la Francia si dividevano fra loro le sfere d’influenza su un Impero Ottomano in via di disgregazione. L’intesa segreta è passata alla storia col nome di Accordi Sykes-Picot. Detta in parole povere, essi crearono i confini del Levante come li conosciamo oggi.

Ma la storia sembra aver preso la sua rivincita sul diplomatico britannico Mark Sykes e sul suo collega francese François Georges-Picot che elaborarono l’intesa che porta il loro nome. La Siria si sta gradualmente frantumando in entità multiple. L’Iraq si sta spaccando lungo sue proprie linee settarie: le aree sciite nel sud dell’Iraq vicino al confine con il Kuwait premono sempre più per l’autonomia, con il sostegno dell’Iran, mentre le tribù sunnite irachene si sono unite alle forze schierate contro il regime di Assad, creando in Iraq un ulteriore gruppo settario a sé stante. La Libia non è più un’unica entità nazionale e lo Yemen è lacerato fra Iran e Arabia Saudita. Pericolosamente in bilico sono Libano e Giordania, mentre anche i paesi non creati da Sykes-Picot, come l’Egitto, attraversano una fase di turbolenze e instabilità. Non c’è dunque da meravigliarsi se commentatori, giornalisti e analisti del Medio Oriente – anche su questo giornale – hanno da tempo decretato il decesso di Sykes-Picot.

Eppure, tra tutti gli sconvolgimenti e gli spargimenti di sangue cui abbiamo assistito nella regione e che hanno portato al collasso di Sykes-Picot, rimane un’oasi di stabilità: lo stato di Israele. E questa non è una coincidenza.

In parte ciò è dovuto al radicato carattere nazionale di Israele. A differenza di costruzioni statali artificiali come la Siria e l’Iraq che contengono popolazioni diverse e spesso ostili fra loro, Israele è stato creato da un popolo ben preciso, con una storia e tradizioni culturali e religiose condivise. Nonostante tutti i suoi conflitti interni – tra religiosi e laici, tra ashkenaziti e sefardita – vi è un profondo comun denominatore che unisce la stragrande maggioranza degli israeliani.

La libertà in Medio Oriente nel 2016. Verde: paesi liberi; giallo: parzialmente liberi; viola. non liberi

Tasso di libertà in Medio Oriente (2016). Verde: paesi liberi; giallo: parzialmente liberi; viola: non liberi (clicca per ingrandire). Fonte: freedomhouse.org

Ma la popolazione relativamente omogenea d’Israele e il suo autentico radicamento in questa terra è solo una parte della spiegazione. Ancora più significativo è il fatto che Israele rimane l’unica democrazia in Medio Oriente. La disgregazione del vecchio ordine nella regione ha a che fare più col fallimento di regimi autocratici corrotti inetti e violenti, che non con i confini artificiosi che ignoravano le differenze etniche, tribali e culturali. La disintegrazione della Siria, dell’Iraq, della Libia e dello Yemen non è tanto colpa di Sykes-Picot quanto della natura autocratica delle dirigenze politiche di questi paesi.

Il conflitto siriano è iniziato come una rivolta di tutti i siriani – uomini e donne, giovani e vecchi, sunniti, sciiti, curdi e anche alawiti – contro un autocrate iniquo e corrotto senza più alcun contatto con la sua popolazione e completamente insensibile alle sue aspirazioni. Negli anni 2010 e 2011 è stato così anche per libici, egiziani, tunisini, yemeniti e abitanti del Bahrein.

Nel mezzo di questo sconvolgimento, Israele spicca come un faro di stabilità libertà e prosperità economica. Forze armate avanzate, basate su un esercito popolare impegnato a preservare il più alto livello di condotta etica, hanno saputo integrare un ampio spettro di diverse popolazioni come beduini, drusi e cristiani.

Benché Israele sia uno stato ebraico con i simboli ebraici e una legislazione che dà priorità agli ebrei in alcuni aspetti come l’immigrazione, la democrazia del paese protegge i diritti umani fondamentali della consistente minoranza non ebraica. Tutti i cittadini godono di eguaglianza davanti alla legge, di libertà di espressione, del diritto di voto attivo e passivo e degli altri diritti democratici fondamentali. La dinamica economia d’Israele offre a tutti i cittadini opportunità economiche al pari delle altre economie avanzate.

Questo non significa che la società israeliana non conosca tensioni. Ma sono comunque tensioni gestibili nell’ambito della dialettica democratica, e non minacciano di lacerare il tessuto della società o le stesse istituzioni dello stato.

In un prossimo futuro, quando si arriverà a comporre in qualche modo la guerra civile che dilania la Siria, si inizierà a parlare della suddivisione dei territori che un tempo erano sotto il controllo del regime di Assad. Probabilmente una regione costiera verrà assegnata ai fedeli del regime alawita di Bashar Assad; un’altra fetta, ancora da determinare, cadrà sotto il controllo delle forze d’opposizione sunnite; e probabilmente sarà ritagliata anche un’enclave curda legata all’Iraq del nord e ai curdi in Turchia. Nell’ambito di un tale accomodamento, sarebbe ora che il mondo riconoscesse l’annessione de facto a Israele delle alture del Golan. A un secolo da Sykes-Picot, nessun altro paese della regione ha garantito migliori prove di stabilità e democrazia. Sarebbe ora di prenderne atto.

(Da: Jerusalem Post, 16.5.16)