A chi conviene il “conflitto interminabile”?

Va da sé che l’industria della perenne questua per gli aiuti internazionali si regge sul continuo rifiuto palestinese di ogni credibile soluzione (ma la Rassegna Stampa del Corriere preferisce tacerlo ai suoi lettori)

Di Marco Paganoni

Aiuti umanitari UNRWA e USAID distribuiti gratis ai discendenti di quarta e quinta generazione dei profughi palestinesi nel campo Shatie, a Gaza

Ogni volta che Israele fa progressi verso l’integrazione nella sua regione, una schiera di osservatori e analisti entra in lutto. Non che siano ostili alla pace, per carità. E’ che detestano essere smentiti dai fatti (e forse un po’ detestano Israele e i suoi successi).

Due anni fa cercarono in ogni modo di sminuire gli Accordi di Abramo: solo un’intesa di piccolo cabotaggio in cambio di qualche jet F35, dicevano; solo accordi di facciata con paesi che non hanno mai fatto la guerra a Israele (ma lo boicottavano, isolavano e calunniavano in tutti i modi). Accordi immorali con regimi dittatoriali, aggiungevano, caldeggiando allo stesso tempo trattative e intese con Iran, Hamas e Autorità Palestinese.

Invece, gli Accordi di Abramo hanno continuato a crescere e ampliarsi con un andamento addirittura impetuoso di scambi economici, tecnologici, turistici, culturali. L’amministrazione Biden, pur tanto diversa da quella Trump, li ha pienamente adottati e li sostiene. Si moltiplicano i segnali di apertura da parte dell’Arabia Saudita, e l’incombente minaccia iraniana spinge verso nuove forme di cooperazione nel campo della sicurezza.

Lungi dall’ammettere la clamorosa svista e rivedere le proprie convinzioni, la sullodata schiera di osservatori e analisti insiste a descrivere tutto questo come una sorta di congiura ai danni dei palestinesi, la cui sacrosanta causa verrebbe proditoriamente marginalizzata o addirittura abbandonata. E ad ogni ripresa di attentati terroristici, proclama con malcelata soddisfazione: “Ecco, vedete, la causa palestinese è irriducibile, non illudetevi di poterla aggirare”.

Immancabile portavoce di questa schiera, il quotidiano Ha’aretz chiude il suo editoriale di venerdì scorso dicendo che sì, “circostanze straordinarie stanno creando nuove alleanze con il mondo arabo” e aprono la strada al “tentativo di allargare la cerchia della normalizzazione. Ma i palestinesi vengono spinti di nuovo in fondo alla fila”.

Testata della Rassegna Stampa che la redazione digitale del Corriere della Sera invia quotidianamente agli abbonati

Vengono spinti? O ci si mettono da soli? Pochi giorni prima, proprio su Ha’aretz Bishara A. Bahbah, già direttore del quotidiano palestinese Al-Fajr, scriveva che la cosa più intelligente che dovrebbero fare i palestinesi, se davvero vogliono migliorare le loro condizioni e rilanciare il negoziato per una soluzione definitiva a due stati, è aderire agli Accordi di Abramo, e di corsa: altro che condannarli e coprire di insulti gli arabi che vi aderiscono.

Ma perché mai il disgelo fra Israele e gran parte del mondo arabo sunnita dovrebbe danneggiare i palestinesi? Non è forse evidente che la crescente accettazione e integrazione di Israele nella regione (che fra l’altro significa più sicurezza, meno propaganda di odio, meno sostegno a chi persegue la distruzione dello stato ebraico) costituisce la migliore premessa per tornare a immaginare una realistica soluzione di compromesso fra israeliani e palestinesi? Ci si è già scordati della figuraccia rimediata nel 2016 dall’allora Segretario di stato John Kerry quando scandì con strepitosa supponenza: “No, no, no e no, non vi sarà progresso né pace separata con il mondo arabo senza il processo e la pace coi palestinesi”?

La Rassegna Stampa della redazione digitale del Corriere della Sera (una componente attiva della schiera di osservatori di cui sopra) ha opportunamente citato l’articolo in cui Bahbah esorta i palestinesi ad aderire agli Accordi di Abramo per esercitare la loro influenza dall’interno anziché tagliarsi fuori. Curiosamente, tuttavia, la citazione è stata troncata proprio là dove Bahbah aggiunge: “Purtroppo i consiglieri palestinesi più vicini al presidente Abu Mazen porrebbero automaticamente il veto a questa linea di condotta (…) Per molti palestinesi sarà difficile pensare in modo accorto e non convenzionale, a causa di tutta la propaganda negativa che gli è stata propinata dopo il varo degli Accordi. A mio avviso, per i palestinesi sarebbe un’occasione persa non aderire agli Accordi di Abramo”.

Meglio lasciar cadere questa frase, devono aver pensato al Corriere: non sia mai che i lettori abbiano a domandarsi come mai i palestinesi continuano a perdere sistematicamente tutte le occasioni e offerte di compromesso e di pace.

Steve Kramer

Noi invece ce lo domandiamo da tempo. Oggi proviamo a rispondere con le parole di Steve Kramer su Times of Israel: “Con l’avvento degli Accordi di Abramo gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, il Marocco e ufficiosamente l’Arabia Saudita stanno già godendo di grandi vantaggi nei rapporti reciproci con Israele in termini economici, militari e turistici. Questa cooperazione economica e di sicurezza con paesi che fino a pochi anni fa avevano Israele sulla loro lista nera segna l’inizio di una nuova era in Medio Oriente. I paesi che aspirano a scambi e sviluppo si stanno schierando contro gli stati musulmani che mirano a sradicare Israele dal Medio Oriente: l’Iran in primis, con i suoi accoliti Siria, Libano, Gaza, Autorità Palestinese e in parte l’Iraq”. Le dirigenze palestinesi, prosegue Kramer, temono di perdere “l’attenzione del mondo e con essa il denaro della maggior parte dei donatori. Nell’Autorità Palestinese, il sistema di potere autoritario e cleptocratico di Fatah continua a chiedere soldi all’Occidente e ai paesi del Golfo. Dal canto loro, i terroristi di Hamas che comandano a Gaza non cercano nemmeno di fare appello ai paesi occidentali e si affidano al sostegno finanziario dell’Iran e del Qatar”.

Va da sé che l’industria della perenne questua per gli aiuti internazionali si regge sulla persistenza di un conflitto interminabile: guai se si arrivasse a un accomodamento definitivo. La principale fonte di reddito nella società palestinese è costituita dal pubblico impiego (con modalità poco produttive, pesantemente viziate da clientelismo e corruzione) che è a sua volta foraggiato dagli aiuti internazionali. Intere generazioni di palestinesi crescono nella convinzione che è così che deve essere: sanità, istruzione, polizia, infrastrutture, amministrazione dello stato, persino la periodica distribuzione di farina ai pronipoti dei profughi come se avessero perso la casa pochi giorni fa: ogni cosa deve essere pagata da aiuti internazionali a cui i palestinesi hanno diritto perché eternamente in credito col resto del mondo. Il tutto accompagnato dal ricatto terrorista in stile racket, che funziona sempre: “Se non pagate, scoppieranno violenze”. Ecco delle buone ragioni, conclude Kramer, per cui possiamo aspettarci altro terrorismo da Fatah e Hamas, e perché “negoziare con loro è un esercizio futile”.

(Da: informazionecorretta.com, 17.7.22)

 

Noa Landau

Dopo la pubblicazione di questo articolo, lunedì 18 luglio è comparso, sempre su Ha’aretz, un editoriale di Noa Landau intitolato “Dopotutto gli Accordi di Abramo potrebbero porre fine all’occupazione di Israele”, in cui si legge:

«In Israele il dibattito pubblico sulla normalizzazione si divide solitamente in questo modo: a destra c’è chi pensa che la normalizzazione dimostra che i palestinesi sono stati finalmente rimossi dall’equazione regionale … Per contro, a sinistra c’è chi pensa che gli Accordi di Abramo mettano in pericolo la prospettiva di porre fine all’occupazione e risolvere il conflitto. A loro avviso, i paesi arabi che normalizzano i legami con Israele demoliscono gli ultimi strumenti di pressione che potrebbero costringere Israele a scendere a compromessi. Costoro adottano la stessa posizione della destra, secondo cui il mondo arabo avrebbe abbandonato i palestinesi. C’è anche una tiepida posizione liberal secondo cui gli Accordi sono positivi in se stessi, ma non possono sostituire il necessario dialogo con Ramallah. In mezzo a tutto questo c’è un’altra possibilità che non trova sufficiente espressione: il mondo arabo ha capito che la normalizzazione dei rapporti con Israele può effettivamente aumentare la portata della loro influenza: sulla questione del conflitto israelo-palestinese e sicuramente sulla questione della moschea di Al Aqsa. I primi a dichiararlo forte e chiaro sono stati gli stessi Emirati, secondo i quali gli Accordi di Abramo hanno fermato i propositi di annessione (di parte della Cisgiordania ndr) e salvato la soluzione a due stati … Non è solo il mondo arabo in generale a capirlo. In Israele, il parlamentare (arabo musulmano ndr) Mansour Abbas sta promuovendo questa stessa ambiziosa strategia. Non mira a cambiare l’ala destra israeliana, ma a raccogliere influenza politica presso chiunque sia pronto e disponibile. “Il ruolo dei cittadini palestinesi di Israele – mi ha detto una volta – è quello di risvegliare la speranza che possiamo vivere insieme”.»
(Da: Ha’aretz, 18.7.22)