A proposito di standard morali

Se l’autobomba con 100 kg di esplosivo piazzata nel centro commerciale di Haifa fosse esplosa…

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2446Se l’autobomba con 100 kg di esplosivo piazzata nel parcheggio del centro commerciale “Lev Hamifratz” di Haifa fosse esplosa, come previsto, poco dopo le 21.20 di sabato scorso, il bilancio delle vittime sarebbe stato spaventosamente elevato: l’equivalente, hanno detto gli artificieri, di una decina di attenti suicidi contemporaneamente. Per fortuna l’ordigno si è inceppato ed è stato scoperto in tempo, prima che i terroristi palestinesi riuscissero a trasformare una normale serata di shopping e passeggio in un incubo di morte e devastazione.
L’incidente non fa che ricordare, a noi israeliani, con che chi abbiamo a che fare: con un nemico il cui modus operandi di prima scelta è fare strage di civili, costringendoci a proteggere ogni luogo – dalle scuole ai supermercati, dai cinema agli ospedali – come fossero obiettivi militari.
Molti osservatori sono affascinati da come una società di tipo occidentale, aperta e tollerante, epicentro della civilizzazione ebraica, riesca a funzionare in un ambiente caratterizzato da una belligeranza così spietata. Quando questi estranei ci guardano anche con empatia a lucidità di giudizio, tendono a vedere Israele come uno straordinario esperimento che merita d’essere incoraggiato, nonostante le sue tante imperfezioni.
Gli idealisti utopisti, invece, sia in Israele che all’estero, pretendono da Israele standard di comportamento diversi e unici. Non fanno che domandarsi se ci comportiamo davvero ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette, come modelli di virtù del tutto scevri dei naturali difetti che gravano sui comuni mortali. E quando – sorpresa delle sorprese – scoprono che il nostro comportamento non corrisponde a questo standard, immediatamente ci etichettano come uguali se non peggiori dei nostri nemici (quelli della bomba di sabato nel centro commerciale di Haifa, tanto per intenderci).
Come altrimenti si dovrebbero considerare le testimonianze di soldati che hanno servito a Gaza, sollecitate e diffuse da Dani Zamir, fondatore del corso preparatorio pre-servizio di leva “Yitzhak Rabin” all’Oranim Academic College, presso Haifa? Le quali sostengono che, a causa di “regole di ingaggio troppo permissive” diversi civili palestinesi sarebbero stati uccisi senza vero motivo durante la controffensiva a Gaza. In uno dei più eclatanti casi citati, un paracadutista israeliano avrebbe sparato per errore su una madre palestinese coi suoi due figli. La testimonianza del crimine non consiste nell’eventuale errore (che in guerra può capitare), ma nel fatto che il soldato che ha parlato nella sessione di gruppo di Zamir ha avuto “l’impressione” che il tiratore scelto “non si sentisse troppo male” per averlo fatto. Nel secondo caso citato, una donna palestinese descritta come “anziana” sarebbe stata colpita a cento metri di distanza mentre si avvicinava a una postazione israeliana (forse temevano che si trattasse di un’attentatrice suicida? Le testimonianze raccolte da Zamir non dicono).
Queste “rivelazioni” hanno avuto per tre giorni consecutivi la prima pagina su Ha’aretz, e sono comparse venerdì su Ma’ariv, sebbene Zamir fosse riluttante a rivelare l’identità dei suoi “testimoni”. E non è nemmeno chiaro se gli uomini che hanno preso parte a quella sessione fossero consapevoli che le affermazioni sulle loro “impressioni” sarebbero state pubblicate come “testimonianze” fattuali.
La BBC, che ha dato a malapena notizia della strage sventata per un pelo a Haifa, ha enfatizzato il più possibile le accuse di Zamir: “Soldati israeliani ammettono abusi a Gaza, comprese uccisioni a sangue freddo”. L’International Herald Tribune venerdì ha aperto con “Macabra testimonianza sull’attacco israeliano: soldati riferiscono l’uccisione di civili disarmati a Gaza”. E l’impareggiabile Independent di Londra sparava su tutta la prima pagina: “Gli sporchi segreti di Israele a Gaza”.
Naturalmente altre “rivelazioni” sono in arrivo. Canale 10 ha già scoperto un comandante di compagnia che avrebbe detto ai suoi uomini, che stavano per andare in battaglia: “Voglio aggressività. Se c’è qualcuno di sospetto ai piani alti di un edificio, colpitelo. Se un edificio è sospetto, tiriamolo giù. Quando è o noi o loro, che tocchi a loro”. O cielo! E cosa avrebbe mai detto Zamir della celebre uscita del generale George Patton: “Ricordatevi bene una cosa: nessun bastardo ha mai vinto una guerra morendo per la propria patria, ma facendo morire il bastardo dall’altra parte per la sua”.
Le accuse tutt’altro che provate di Zamir contribuiscono a confondere la distinzione fra “noi e loro”. Ma la verità è che noi non ci ripromettiamo mai di andare a uccidere degli innocenti, e quando accade la nostra società né è profondamente angosciata e scossa. Loro, invece, si dedicano programmaticamente all’uccisione di innocenti, e quando non riescono a farlo ci restano pure male.

(Da: Jerusalem Post, 23.03.09)

Nella foto in alto: Artificieri sul luogo del fallito attentato palestinese con autobomba sabato scorso a Haifa