Abu Mazen ha scaricato il suo (unico) fuoriclasse

Fayyad aveva introdotto «il sistema di finanza pubblica più trasparente del mondo arabo».

Di Douglas Bloomfield

image_3716Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è appena sbarazzato di colui che nell’Autorità Palestinese più si avvicinava al concetto di persona indispensabile: il primo ministro Salam Fayyad. Nessuno ha fatto più di lui per stabilizzare l’economia palestinese, edificare istituzioni statali, portare onestà e riforme nel governo palestinese, guadagnarsi la fiducia dei paesi donatori occidentali e gli elogi di Israele per la cooperazione nel campo della sicurezza.
Tutto questo adesso è in pericolo.
Fayyad aveva dato ai palestinesi una forma di governo unica nel mondo arabo, un governo “basato sulla competenza, e non sul retaggio della lotta armata o della religione”, come ha detto al New York Times il direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Research, Khalil Shikaki. Che è stato il primo a chiamare questo fenomeno “fayyadismo”, definendolo “una nuova fonte di legittimazione” nella politica palestinese.
Evidentemente tutto ciò era troppo, per la vecchia guardia di Abu Mazen e del suo partito Fatah. Fayyad “ha suscitato in loro gelosie e risentimenti”, diventando “il rivale politico che deve essere ridimensionato”, spiega Hassan Barari, studioso giordano presso il Washington Institute for Near East Policy.
Salam Fayyad, 61 anni, studi in America, ex economista della Banca Mondiale, ha rappresentato un fenomeno raro nel posto più improbabile: un politico integro che si è battuto contro clientelismo e corruzione nell’Autorità Palestinese ereditata da Yasse Arafat. Il segretario di stato Usa, John Kerry, ha tentato invano di impedire le sue dimissioni, ma il rapporto fra i due leader palestinesi si era troppo deteriorato. Anzi, gli appelli di Karry possono essere stati controproducenti, avendo creando risentimento per l’ingerenza americana negli affari interni palestinesi. “La crisi di fiducia fra i due leader – ha scritto l’editorialista di Ha’aretz, Barak Ravid – era acuta e insanabile. La gestione efficiente di Fayyad e la sua relativa popolarità hanno fatto di lui una minaccia per troppa gente”. Il rapporto tra i due andò sempre più peggiorando man mano che Abu Mazen diventava sempre più autocratico mentre Fayyad premeva per maggiori riforme economiche e politiche. Molti nella dirigenza di Fatah hanno accolto con favore l’uscita di scena di Fayyad: lo consideravano troppo indipendente, troppo vicino a Washington, troppo gradito all’estero, troppo insensibile alle loro richieste di posti di lavoro clientelari e altre corruttele. E poi, non era membro del partito.
Dal punto di vista di Fayyad, dice Barari, “la diplomazia di Abu Mazen non ha fatto che portare l’economia palestinese a una condizione prossima al collasso”. Fayyad era nettamente contrario alla mossa di Abu Mazen di chiedere il riconoscimento come stato membro alle Nazioni Unite (senza negoziato né accordo) contro la forte opposizione di Stati Uniti e Israele, e avvertiva che ciò avrebbe comportato pesanti conseguenze finanziarie. Quando si è visto che aveva ragione, alcuni dirigenti di Fatah hanno cercato di addossargli la colpa dei conseguenti tagli nei finanziamenti, con relativa impossibilità di pagare gli stipendi. “Fayyad è stato oggetto di una campagna di denigrazione pubblica sempre più ingiuriosa”, ha scritto l’American Task Force for Palestine.
Non basta. Fayyad era convinto che la riconciliazione tra Fatah e Hamas fosse un grosso errore perché non solo avrebbe creato una crisi finanziaria ancora più grave, ma non avrebbe nemmeno funzionato. Così, entrambe la parti gli hanno dato la colpa per il fallimento dei tentativi fatti finora in questo senso; ma si illudono se pensano che la sua uscita di scena renderà le cose più facili. Fayyad avvertiva che un vero accordo Fatah-Hamas inaridirebbe i finanziamenti occidentali e porrebbe fine a qualunque chance di far ripartire i negoziati con Israele giacché né Washington né Gerusalemme intendono trattare con un governo che comprenda Hamas, che essi considerano un’organizzazione terroristica il cui scopo dichiarato è la distruzione dello stato ebraico. E si fermerebbe la cooperazione sulla sicurezza, aprendo la strada a nuovi conflitti.
“La reputazione di Fayyad come corretto e pulito ha irritato il resto della dirigenza di Fatah”, dice Barari. L’American Task Force for Palestine gli riconosce d’aver introdotto “il sistema di finanza pubblica più trasparente del mondo arabo”. Secondo Abdul Rahman al-Rashed, capo della tv Al Arabiya, “Fayyad è la persona che ha dato al governo palestinese una buona reputazione” mentre “Abu Mazen ha sempre dato a Fayyad la colpa dei suoi problemi”. Un anonimo “alto diplomatico occidentale” ha detto alla Reuters: “Non credo che Fatah si renda conto che Fayyad è l’unico politico palestinese che gode del sostegno di un ampio spettro di donatori internazionali. Con lui fuori dal governo, gli accordi di aiuto potrebbero deragliare molto presto. Era lui che aveva peso a Washington, in Israele e in Europa”.
Fayyad ha accettato di rimanere a capo di un governo per l’ordinaria amministrazione finché non verrà nominato il suo sostituto. Il che potrebbe avvenire tra una settimana o chissà quando. Lo stesso Abu Mazen potrebbe assumere la carica, giacché precedenti accordi con Hamas prevedevano che si mettesse a capo di un governo ad interim fino a nuove elezioni, che tuttavia potrebbero essere molto lontane dal momento che le due fazioni rivali non sono state in grado di mettersi d’accordo sulla composizione del governo ad interim, sul meccanismo elettorale, sulla data delle elezioni e su molto altro. […]
Fayyad era convinto che Abu Mazen, come Arafat, passasse troppo tempo a girare per il mondo anziché a casa ad occuparsi del suo lavoro quotidiano. Ora Abu Mazen avrà la possibilità di trascorrere più tempo a Ramallah e scoprire se accettare le dimissioni del suo rivale sia stata la cosa giusta da fare.

(Da: Jerusalem Post, 17.4.13)