Abu Mazen: “Non vi saranno tanto presto unità nazionale, elezioni e stato palestinese”

Hamas si tiene stretto il suo arsenale e il presidente dell'Autorità Palestinese gela le speranze di riconciliazione

Di Avi Issacharoff

Avi Issacharoff, autore di questo articolo

Per la prima volta dopo tre anni, il governo dell’Autorità Palestinese guidato dal primo ministro Rami Hamdallah si è riunito martedì mattina nella striscia di Gaza. Dopo le foto celebrative e molte strette di mano, il governo ha raggiunto la sua prima decisione: le sanzioni imposte all’enclave dominata da Hamas non saranno rimosse finché i rappresentanti delle fazioni rivali Fatah e Hamas non si riuniranno a Cairo, se va bene la prossima settimana. Come dire: prima vediamo quello che Hamas ha da offrire e poi parleremo. Non esistono pranzi gratis e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) vuole assicurarsi che Hamas lo capisca bene.

Lunedì sera, mentre i servizi di intelligence egiziani si adoperavano per organizzare a Gaza lo spettacolo dell’unità, Abu Mazen gelava gli entusiasmi di Hamas, dell’Egitto e persino di alcuni rappresentanti di Fatah che si erano già portati nella striscia. Con un’intervista all’emittente egiziana CBC, ha fatto arrivare a tutti i soggetti interessati un chiaro messaggio: la strada verso la riconciliazione è lunga e dipende tutta da un punto cruciale: le armi di Hamas.

Dopo che il gruppo terroristico ha dichiarato che non si separerà mai dal suo arsenale, Abu Mazen ha preso la parola per affermare esplicitamente che non intende tollerare una versione palestinese della super-armata milizia Hezbollah in Libano o lo stoccaggio di armi da parte di qualsiasi gruppo all’infuori delle forze dell’Autorità Palestinese. “Uno stato, un governo, un’arma”, ha scandito Abu Mazen. Non ci sono margini di ambiguità nelle parole dell’intervista con cui Abu Mazen ha fatto sapere a Hamas, all’Egitto e al pubblico palestinese che non vi sarà nessuna vera riconciliazione o unità se Hamas insisterà nel tenere le sue armi. In poche parole, non coltivate troppe speranze.

Un poster con le immagini del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e del primo ministro Rami Hamdallah, domenica scorsa a Gaza

Il messaggio non è stato veicolato soltanto dal contenuto dell’intervista che Abu Mazen ha rilasciato al giornalista egiziano filo-governativo Lamis el-Hadidy. Tutto il suo linguaggio del corpo, il tono di voce e la scelta della parole comunicavano il concetto che, per lui, la riconciliazione tra la sua fazione Fatah e Hamas non è realistica. Quando gli è stato chiesto cosa fece affondare il precedente accordo di riconciliazione raggiunto nel 2014, Abu Mazen ha risposto senza esitare: “Hamas sequestrò i tre soldati”, per poi correggersi rapidamente dicendo “i tre ragazzi”: vale a dire i tre adolescenti israeliani rapiti e assassinati in Cisgiordania da membri del gruppo terroristico, un fatto che contribuì (insieme ai lanci di razzi da Gaza) a scatenare la guerra fra Israele e Hamas dell’estate 2014.

Nell’intervista, Abu Mazen ha anche affrontato il trasferimento di autorità a Gaza, sottolineando che l’Autorità Palestinese vuole il controllo dei valichi di frontiera. “L’Autorità Palestinese controllerà i valichi” ha detto. E alla domanda se Hamas sarà d’accordo, ha risposto che il vero test sarà sul campo.

Circa le sanzioni economiche imposte dall’Autorità Palestinese a Gaza (con poco riguardo per la popolazione civile), Abu Mazen ha accusato Hamas d’aver istituito un suo proprio organo amministrativo nella striscia: una mossa che, a suo dire, ha superato ogni limite. Abu Mazen ha sottolineato che le sanzioni verranno rimosse solo quando il suo governo eserciterà su Gaza il controllo amministrativo “esattamente come fa in Cisgiordania”. E quando gli è stato chiesto che cosa avrebbe detto al capo di Hamas, Ismail Haniyeh, nella sua prima visita a Gaza, Abu Mazen è sembrato trattenersi per non dare una risposta troppo pesante.

Parata militare a Gaza delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas

Dopo anni di tentativi di riconciliazione falliti, Abu Mazen, 82 anni, sembra scettico sulla possibilità stessa di una vera unità nazionale. Ha chiarito di non essere certo che vi saranno presto elezioni e che anche l’istituzione di uno stato palestinese non avverrà tanto presto: un’osservazione alquanto sorprendente da parte di un leader che ad ogni occasione racconta ai palestinesi che la nascita del loro stato è imminente.

Nonostante il suo scetticismo, Abu Mazen ha parlato con rispetto dell’Egitto e del suo ruolo nel mediare la riconciliazione. In effetti, circa l’Egitto qualsiasi spettatore egiziano avrebbe ragione di credere che quello che sta succedendo negli ultimi giorni a Gaza è una questione interna egiziana. Il presidente Abdel Fattah el-Sissi viene ritratto dalla televisione egiziana non solo come l’architetto della riconciliazione, ma come il supremo leader regionale che ha saputo riunire due ragazzacci e mettere fine ai loro litigi. L’intelligence egiziana ha gettato tutto il suo peso nella questione. Il generale Sameh Kamel, uomo di punta dell’intelligence egiziana per gli affari israelo-palestinesi, è arrivato lunedì a Gaza, presto seguito dal ministro egiziano dell’intelligence Khaled Fawzi dopo una tappa a Ramallah. La prossima settimana, l’Egitto ospiterà al Cairo i rappresentanti di Fatah e Hamas per approfondire la discussione sui dettagli dell’accordo di riconciliazione. Il generale Kamel è stato il rappresentante dell’intelligence egiziana a Tel Aviv per diversi anni. Conosce bene i limiti sui due lati di ogni eventuale accordo di riconciliazione, e la posizione di Israele sull’unità palestinese. I palestinesi devono sperare che abbia ancora qualche carta da giocare, poiché le posizioni presentate da Abu Mazen da una parte e da Hamas dall’altra fanno pensare che gli attuali sforzi per la riconciliazione finiranno con ben poche fanfare.

(Da: Times of Israel, 3.10.17)