Abu Mazen vuole l’annessione

L'editoriale paradossale (ma non poi tanto) firmato dal direttore del più filo-palestinese dei quotidiani israeliani

Di Aluf Benn

Aluf Benn, autore di questo articolo

C’è una persona che potrebbe impedire a Israele di procedere, dopo il primo luglio, con l’annessione di insediamenti e di ampie porzioni della Cisgiordania, e questa persona è Abu Mazen. La cosa non richiederebbe un grande sforzo da parte del presidente dell’Autorità Palestinese. Tutto quello che dovrebbe fare è telefonare o mandare un e-mail o un messaggino alla Casa Bianca per chiedere un incontro con il presidente Donald Trump durante il quale annuncerà la sua disponibilità a riprendere i colloqui di pace con Israele sulla base del cosiddetto “accordo del secolo” dell’amministrazione americana. Dopo un messaggio del genere, Trump chiederebbe quasi sicuramente al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di congelare la progettata annessione e avviare negoziati per un accordo dettagliato sullo status finale, grazie al quale verrà creato uno stato palestinese.

Ma Abu Mazen si limita a pronunciare le solite condanne di Israele e Stati Uniti e le stesse vecchie e vane minacce sulla “cessazione di ogni cooperazione in materia di sicurezza” in Cisgiordania. Non mostra alcun segnale, nessun cenno, non lascia intendere la minima volontà di tornare al tavolo delle trattative in cambio della sospensione dell’annessione. Funzionari israeliani e americani stanno approntando una mappa del territorio da annettere a Israele senza coinvolgere alcun palestinese nella questione, e Abu Mazen non se ne cura. Studierà la mappa solo dopo che sarà stata completata e pubblicata, anziché chiedere d’essere tenuto in considerazione sin dall’inizio.

Aspetta un minuto, esclameranno i critici, ma cosa stai dicendo?

Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen nel suo ufficio a Ramallah

Partiamo dalle critiche della sinistra, secondo le quali l’assenso dei palestinesi anche solo a discutere il piano Trump, anche solo a scattare una foto di Abu Mazen con Trump o Netanyahu equivarrebbe a una spaventosa umiliazione nazionale. Affermando che il piano fa gli interessi di Israele e ai palestinesi lascia solo le briciole, questi critici giustificano l’indifferenza e l’intransigenza di Ramallah in nome dell’onore offeso. Beh, ma qual è la situazione dei palestinesi in questo momento, mentre la comunità internazionale è occupata con il coronavirus, la crisi economica e lo scontro tra Stati Uniti e Cina? La comunità internazionale li ha dimenticati sotto l’occupazione israeliana ed è andata avanti. Giusto per non dimenticare: la dirigenza dell’Olp sotto Yasser Arafat e Abu Mazen ha respinto tutte le precedenti offerte di pace con la stessa motivazione, incoraggiata da quella parte della sinistra israeliana che vagheggia di sostituire il sionismo con uno stato unico tra il fiume Giordano e il mare. Ma i rapporti di forza nella regione non favoriscono quel miraggio. I palestinesi persisteranno nella loro ostinazione fino a quando svaporerà anche il poco che gli viene riconosciuto dalla comunità internazionale?

E veniamo ai critici di centro, che sostengono che in ogni caso non uscirà mai nulla dai colloqui di pace, e dunque perché perdere tempo in esercizi inutili? Indubbiamente il divario tra le posizioni è troppo ampio, la determinazione internazionale a imporre un accordo troppo debole e la fiducia tra le parti praticamente nulla. Ma anche in queste difficili condizioni, il processo diplomatico ha un valore di per sé, e potrebbe ad esempio far emergere le differenze tra Likud e Blu-Bianco, rilanciando il dibattito interno israeliano sul futuro dei Territori. In mancanza di qualunque negoziato con i palestinesi, il dibattito politico in Israele rimane schiacciato sulle posizioni della destra nazionalista e può solo ruotare intorno alla questione se, dopo l’annessione, le costruzioni negli insediamenti relativamente isolati potranno estendersi solo in verticale o anche in orizzontale.

Abu Mazen non sembra preoccuparsene minimamente. Evidentemente preferisce che Netanyahu proceda con l’annessione pur di risparmiarsi la spiacevole incombenza di incontrare il primo ministro israeliano e Donald Trump. Forse si culla nell’illusione che l’annessione si ritorcerà contro Israele, che la Giordania revocherà l’accordo di pace, che il mondo arabo si unirà di nuovo compatto dietro ai palestinesi, che Joe Biden vincerà le elezioni e annullerà le promesse di Trump, che Benny Gantz prenderà il posto di Netanyahu. Forse è solo stanco di tutto. In ogni caso, gli restano ben pochi giorni per cambiare idea e tirare il freno d’emergenza del treno dell’annessione.

(Da: Haaretz, 4.6.20)