Accusare se stessi pur di infangare Israele

Con grande sprezzo del ridicolo, Breaking the Silence attacca la giustizia israeliana per aver condotto proprio le indagini che la accusa sempre di non fare

Di Marco Paganoni

Dean Issacharoff, portavoce di Breaking the Silence, durante la conferenza in cui si è auto-accusato

E’ stato assolto, dunque è colpevole. Colpevole d’avere spudoratamente mentito quando si è auto-accusato d’aver picchiato un palestinese innocente. Parliamo di Dean Issacharoff, portavoce del gruppo Breaking the Silence, e di una vicenda che potrebbe sembrare minore e che invece merita d’essere conosciuta. Ma partiamo dall’inizio.

Breaking the Silence è una ong israeliana che sostiene di dare voce a ex soldati e ufficiali che raccontano “crimini di guerra” e “violazioni dei diritti umani” di cui sarebbero stati testimoni durante il servizio militare. Encomiabile missione, se Israele fosse una dittatura e le sue forze armate fossero immuni da qualunque critica, per non dire da inchieste e processi. Ma non è così. Come si è visto in varie occasioni (una delle più clamorose è stata la recente condanna del soldato Elor Azaria), le forze armate israeliane indagano ogni eventuale violazione delle loro procedure, del loro codice etico e naturalmente delle leggi locali o internazionali. Se l’intento di Breaking the Silence fosse quello di contribuire a questo sforzo, le sue testimonianze potrebbero essere utili quando sufficientemente circostanziate, documentate e inoltrate alle autorità competenti. Ma le accuse di Breaking the Silence sono in gran parte anonime, prive di precisi riferimenti di luogo e data, spesso basate su voci e sentito dire. Quando sono più precise, come ha documentato Ben-Dror Yemini su YnetNews, riguardano casi che, per quanto spiacevoli, poco o nulla hanno a che fare con gli sbandierati “crimini di guerra”. Sollecitata dalla stessa giustizia israeliana a circostanziare meglio le accuse in modo da permettere l’avvio di indagini, Breaking the Silence tace sostenendo di dover proteggere le sue fonti. Allo stesso tempo lamenta che la giustizia israeliana non fa il suo dovere. Intanto coglie ogni possibile occasione per diffondere le sue accuse all’estero, dove raccoglie il grosso dei suoi fondi da enti e governi. D’altra parte, non c’è da stupirsi: lo scopo di Breaking the Silence non è migliorare lo standard morale, già elevato, delle Forze di Difesa israeliane. Il suo scopo è screditare e denigrare Israele infamando le sue forze armate.

Il palestinese Hassan Julani con Dean Issacharoff il giorno dell’arresto, in una foto diffusa da Breaking the Silence, che l’ha ottenuta da B’Tselem

Ed è qui che è cascato Dean Issacharoff, il portavoce del gruppo. Nell’intento di dare credibilità alla sua organizzazione (in Israele ne ha ben poca), durante un evento pubblico dello scorso aprile il giovanotto si è auto-accusato dicendo d’aver obbedito, sotto le armi, all’ordine del suo diretto superiore di pestare a sangue, fino a farlo svenire, un palestinese già immobilizzato. Naturalmente il video della sua dichiarazione si è immediatamente diffuso in modo virale. Ma di fronte alla notitia criminis, si è messa in moto anche la giustizia israeliana. Come disse la ministra della giustizia Ayelet Shaked, “i casi sono due: o siamo di fronte a un bugiardo che calunnia le forze armate, oppure a un caso di violenza che deve essere indagato. Le Forze di Difesa israeliane vantano standard etici fra i più alti al mondo e tutti i casi di violenza, vera o presunta, devono essere indagati”.

Può ben darsi che, dato il clamore del caso specifico, le indagini siano state più rapide ed efficienti del solito. Ma fa specie che ora Breaking the Silence attacchi le autorità per aver condotto le indagini che le ha sempre accusate di non fare. Gli inquirenti sono andati a fondo. Hanno sentito il comandante di Issacharoff, Omri Seiner, e i suoi commilitoni, i quali peraltro già sei mesi fa avevano affidato la loro durissima reazione a un video in cui scandivano, guadando dritti nell’obiettivo: “Dean, sei un bugiardo”.

“Atta shakran” (“sei un bugiardo”). Dal video dei commilitoni di Dean Issacharoff

Gli inquirenti hanno convocato lo stesso Issacharoff, che ha fatto marcia indietro spiegando che non c’era stata violenza gratuita, ma solo l’esercizio della forza necessario per mettere le manette al palestinese che opponeva una certa resistenza. Hanno anche rintracciato il palestinese in questione, Hassan Julani, effettivamente arrestato nel febbraio 2014 a Hebron mentre lanciava pietre contro gli israeliani. E Julani ha negato che il suo arresto sia stato accompagnato da violenze, tranne la breve colluttazione per ammanettarlo. Ha detto che non era stato picchiato né contuso, che non aveva sanguinato e che non era svenuto. In effetti Julani non aveva inoltrato nessun reclamo e dalla documentazione non risultano le lesioni sul suo corpo che, se rilevate, sarebbero state obbligatoriamente registrate. Conclusione del vice procuratore di stato Nurit Litman, notificata giovedì scorso: il caso è chiuso perché il fatto denunciato da Issacharoff semplicemente “non è avvenuto”. La versione dell’incidente riferita dall’arrestato palestinese è coerente con quella di Seiner, che comandava l’unità, e con altri materiali d’indagine. “Le prove e le testimonianze – afferma la procura di stato – indicano che l’accusa è falsa, e quindi si è deciso di chiudere il procedimento aperto a carico di Issacharoff”. Il quale, afferma il provvedimento, “non è colpevole d’aver usato violenza eccessiva e ingiustificata”. Insomma, è innocente.

Innocente? Sì, perché non ha violato i diritti umani del palestinese arrestato, e ne siamo lieti. Ma Issacharoff e Breaking the Silence hanno violato la nostra fiducia e la verità dei fatti. Pur di infangare Israele. Ne serberemo buona memoria.

(Da: informazionecorretta.com, 20.11.17)