Accuse a Israele sulla gestione dell’acqua: la realtà alla rovescia

Il presidente del Parlamento Europeo ha dato un esempio da manuale del modo sciatto e preconcetto con cui si rilanciano le calunnie contro Israele

Di David M. Weinberg

David M. Weinberg, autore di questo articolo

David M. Weinberg, autore di questo articolo

Il presidente del parlamento europeo Martin Schulz ha ammesso che “non aveva controllato i dati” quando, parlando mercoledì alla Knesset, ha di fatto accusato Israele di praticare una forma di apartheid dell’acqua contro i palestinesi. “Un giovane palestinese – ha declamato Schulz – mi ha chiesto perché gli israeliani possono utilizzare 70 litri di acqua e palestinesi solo 17. Non ho controllato i dati, ma vi chiedo: è giusto?”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro dell’economia Naftali Bennett hanno fatto bene a criticare Schulz per aver rilanciato la propaganda palestinese in modo così sciatto e automatico. Qualcuno riesce a immaginare il leader di un qualunque paese che lancia accuse e asserzioni a casaccio, mentre tiene un discorso davanti al parlamento di un altro paese, senza aver controllato e verificato almeno dieci volte tali accuse? Ovviamente no. Si tratta di discorsi che vengono preparati con cura e controllati da molti funzionari, consiglieri politici e alti dirigenti. Ma non quando si tratta delle menzogne palestinesi su Israele, che invece possono essere tranquillamente buttate lì, durante un importante discorso ufficiale di fronte al parlamento israeliano, senza nessuna attenzione.

Migliore esempio non poteva darsi del classico comportamento distorto dell’Unione Europea per quanto riguarda Israele, che è esattamente ciò che aborrono gli israeliani negli atteggiamenti europei di quest’epoca. Tutto è lecito, nella guerra palestinese contro Israele, e l’Europa è lì che si beve tutte le accuse palestinesi contro Israele, e le rilancia e le amplifica senza nessun senso critico, senza ponderazione né equilibrio (Dire: “non ho controllato i dati ma vi chiedo: è giusto?” significa affermare che Israele è colpevole per definizione, senza bisogno di verificare la realtà dei fatti; e che i palestinesi per definizione non possono sbagliarsi né mentire quando accusano Israele).

Haim Gvirtzman, dell’Istituto di Scienze della Terra presso l’Università di Gerusalemme

Schulz e i suoi sicuramente numerosi aiutanti del parlamento europeo avrebbero potuto essere assai meglio informati, se solo avessero voluto. La realtà è che l’Autorità Palestinese considera acqua e rifiuti come armi da usare contro Israele, e non come aree di cooperazione con Israele. Per questo le sta bene lo spreco selvaggio di acqua e l’inquinamento incontrollato di Israele, rubando nel frattempo l’acqua dai pozzi e dalle condutture israeliane. Poi vanno in giro per il mondo ad accusare falsamente Israele di attuare politiche idriche inique e discriminatore.

In uno studio straordinario pubblicato nel 2012 dal Centro Begin-Sadat per gli Studi Strategici, uno dei maggiori idrologi d’Israele, il professor Haim Gvirtzman, dimostra che le grandi differenze nel consumo pro capite di acqua naturale tra ebrei e arabi che esistevano nel 1967 (quando l’amministrazione di Giudea e Samaria, o Cisgiordania, passò dalla Giordania a Israele) sono state drammaticamente ridotte nel corso degli ultimi 40 anni. E smentisce completamente l’accusa palestinese di politiche idriche inique e discriminatorie da parte degli israeliani.

Attualmente l’Autorità Palestinese consuma 200 milioni di metri cubi di acqua ogni anno, dei quali più di 50 milioni forniti da Israele: vale a dire più di quanto Israele dovrebbe fornire, in base agli accordi di Oslo e di Parigi, allo stato palestinese vero e proprio nel quadro di un accordo definitivo.

Falde acquifere montana e costiera. Chi depaupera o inquina quella montana, in Cisgiordania, depaupera e inquina anche quella costiera

Eppure l’Autorità Palestinese sostiene di patire carenze idriche nelle città e villaggi a causa “dell’occupazione israeliana”, e cita il diritto internazionale a sostegno delle sue rivendicazioni. Rivendicazioni che ammontano pomposamente a più di 700 milioni di metri cubi di acqua all’anno, compresi i diritti sulla riserva di acque sotterranee nella falda acquifera montana, sulla falda acquifera costiera della striscia di Gaza e sul fiume Giordano. Queste richieste palesemente gonfiate assommano a oltre il 50% di tutta l’acqua naturale disponibile tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano. Gvirtzman, dell’Istituto di Scienze della Terra presso l’Università di Gerusalemme, un esperto che da anni fa parte della squadra israeliana per il coordinamento dell’acqua con l’Autorità Palestinese, dimostra invece che l’attuale ripartizione delle risorse idriche naturali tra Israele e i palestinesi è equo. La popolazione di Israele ammonta a 7,2 milioni di abitanti, cinque volte l’attuale popolazione palestinese in Cisgiordania che è di 1,4 milioni di abitanti. Proporzionatamente, Israele controlla 1.200 milioni di metri cubi d’acqua dolce naturale disponibile, e l’Autorità Palestinese ne controlla 220 milioni. In termini pro capite questo significa circa 160 metri cubi di acqua per persona all’anno sia in Israele che nell’Autorità Palestinese. E per quanto riguarda l’uso dell’acqua da parte degli israeliani che vivono in Cisgiordania, ebbene Israele manda in Cisgiordania ad uso dei palestinesi molta più acqua di quanta ne usino le comunità di coloni.

La falda acquifera montana di Giudea e Samaria (Cisgiordania)

Le statistiche diffuse dall’Ufficio Centrale di Statistica palestinese e dalla Water Authority palestinese lo scorso marzo in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua sono, secondo Gvirtzman, semplicemente fasulle: pure e semplici bugie. In completa contraddizione coi dati inventati dall’Autorità Palestinese, Gvirtzman dimostra che ogni cittadino israeliano paga per la sua acqua più di quanto dovrebbe al fine di permettere a Israele di sovvenzionare la vendita ai palestinesi di acqua a prezzi scontati. Di fatto i residenti di Ariel e Maaleh Adumim (per non parlare di Tel Aviv e Haifa), pagano la loro acqua il doppio dei residenti di Nablus e Ramallah, se e quando questi ultimi si prendono la briga di pagarla.

Ma c’è di più. Il rapporto Gvirtzman del Centro BESA accusa l’Autorità Palestinese di non fare quasi nulla per prevenire le massicce perdite dai suoi acquedotti nazionali, di non fare quasi nulla per implementare moderne tecniche di conservazione dell’acqua, e di non fare quasi nulla per riciclare acque reflue per l’irrigazione. Il tutto, nonostante gli enormi aiuti finanziari e tecnologici che la comunità mondiale le mette a disposizione.

Di norma molti contadini palestinesi sovra-irrigano i loro raccolti usando metodi di allagamento dei campi antiquati e dispendiosi. In generale non pagano le loro bollette dell’acqua, per cui non si preoccupano minimamente di risparmiarla. L’Autorità Palestinese usa i soldi dei donatori internazionali per coprire il costo di questo sprechi. Inoltre, stando alle stime della stessa Water Authority palestinese, almeno un terzo dell’acqua pompata dal terreno dai palestinesi finisce sprecata a causa di perdite e cattiva gestione: un fenomeno cui l’Autorità Palestinese fa riferimento con l’eufemistica definizione di “acqua mancante”.

«I palestinesi semplicemente si rifiutano di costruire impianti di depurazione» (Foto: Haim Gvirtzman)

Non basta. Di fatto nell’Autorità Palestinese non viene messo in atto nessuno sforzo per il riciclaggio delle acque e il trattamento dell’acqua utilizzata in agricoltura. Viceversa in Israele circa la metà di tutta l’agricoltura è sostenuta da acque reflue trattate. In effetti in Israele l’utilizzo delle acque reflue trattate, le attività di dissalazione dell’acqua di mare e le misure per ridurre perdite e sprechi nel sistema idrico aggiungono 800 milioni di metri cubi l’anno all’approvvigionamento di acqua, pari a un terzo del consumo di acqua totale israeliano. Per contro, il 95% dei 56 milioni di metri cubi di acqua di scarico prodotta all’anno dai palestinesi non viene per nulla trattata. Le acque reflue palestinesi non trattate scorrono nei torrenti e nelle valli della Cisgiordania e si infiltrano nella falda acquifera montana, inquinandola allo stesso modo per gli ebrei e per gli arabi. Circa 17 milioni di metri cubi all’anno di liquami di scarico palestinesi fluiscono anche all’interno del territorio d’Israele pre-‘67. Negli ultimi 15 anni in Cisgiordania è stato costruito un solo impianto di depurazione, nonostante un fondo di 500 milioni di dollari messo a disposizione dei palestinesi dai donatori internazionali appositamente per questo scopo, e nonostante il fatto che Israele abbia praticamente implorato l’Autorità Palestinese di costruire questi impianti di depurazione. Soltanto l’anno scorso l’Autorità Palestinese ha convenuto di accettare finanziamenti della Banca Mondiale per impianti di trattamento delle acque reflue a Hebron e Nablus.

Persino quando ci pensa Israele a costruire una conduttura per le acque reflue, come la linea di Wadi Kana per raccogliere le acque di scarico provenienti dalle diverse comunità del distretto di Qalqilya e trattarle in Israele, l’Autorità Palestinese si rifiuta di cooperare e non collega alla nuova linea le undici località palestinesi della zona. “In linea di massima i palestinesi semplicemente si rifiutano di costruire impianti di depurazione”, spiega Gvirtzman.

Trattamento acque reflue in Israele

Trattamento acque reflue in Israele

Di più. L’Autorità Palestinese ha anche violato gli accordi con Israele sulle risorse idriche perforando oltre 250 pozzi non autorizzati da cui escono circa 15 milioni di metri cubi di acqua all’anno (una pratica che causa depauperamento incontrollato della falda). Inoltre in molte località l’Autorità Palestinese si è collegata illegalmente e clandestinamente alle linee d’acqua della società idrica nazionale israeliana Mekorot, rubando l’acqua degli israeliani.

L’Amministrazione israeliana sottolinea che l’Autorità Palestinese ha a malapena iniziato a sfruttare la falda acquifera della Cisgiordania orientale, assegnatale in accordo con Israele, dalla quale potrebbe trarre altri 60 milioni di metri cubi all’anno. Il Comitato congiunto israelo-palestinese per l’acqua ha approvato a questo scopo la perforazione di 70 pozzi d’acqua da parte dell’Autorità Palestinese, ma più della metà dei pozzi approvati, che metterebbero a disposizione dei palestinesi un totale complessivo di 260 milioni di metri cubi di acqua all’anno, non sono stati ancora scavati.

I palestinesi hanno anche rifiutato per motivi politici la proposta di creare a Gaza un impianto per la desalinizzazione dell’acqua di mare specificamente destinato a soddisfare le esigenze dei palestinesi del posto. Gli Stati Uniti avevano stanziato 250 milioni di dollari per questo progetto che, di nuovo, avrebbe apportato un enorme aumento della quantità di acqua a disposizione dei palestinesi.

“La dura verità dietro tutta la propaganda anti-israeliana – conclude Gvirtzman – è che l’uso dell’acqua e la gestione degli scarichi da parte dell’Autorità Palestinese non sono né assennati né collaborativi”.

Purtroppo la comunità internazionale ha permesso all’Autorità Palestinese di cavarsela con questi atteggiamenti ostili, ha consentito all’Autorità Palestinese di portare avanti la sua strategia di non-cooperazione con Israele, e ha ignorato lo spregio dell’Autorità Palestinese verso gli standard più elementari di una gestione professionale dell’acqua e degli scarichi. E naturalmente non riconosce nulla a Israele per come ha migliorato la situazione idrica in Giudea e Samaria e per la sua disponibilità a fare di più.

Poi arriva questo signor Schulz del parlamento europeo e ha il coraggio di andare alla Knesset ad accusare Israele di politiche discriminatorie sull’acqua. Che impudenza!

(Da: Israel HaYom, 13.2.14)

Si veda: «Le critiche sono legittime, le menzogne no». Il presidente del parlamento europeo incappa nel vecchio vizio di prendere per oro colato qualunque accusa contro Israele