Accuse che fanno acqua da tutte le parti

I documenti dimostrano che l’Autorità Palestinese usa l’acqua come arma di propaganda anti-Israele.

Di Yochanan Visser, Sharon Shaked

image_3368Lo scorso 15 giugno il Jerusalem Post ha pubblicato un articolo sulla crisi idrica palestinese scritto da Shaddad Atilli, capo dell’Authority Palestinese per l’Acqua (Palestinian Water Authority). Nell’articolo, Atilli attribuisce alle “politiche discriminatorie” di Israele la colpa per la carenza d’acqua nella società palestinese. Sostiene in particolare che Israele userebbe la Commissione Congiunta israelo-palestinese per l’acqua (Joint Israeli Palestinian Water Committee) per ritardare o bloccare i progetti idrici palestinesi. Scrive inoltre che Israele sfrutterebbe illegalmente il 90% delle risorse idriche comuni. Di più. Atilli afferma che, a causa del furto d’acqua fatto da Israele e della distruzione di pozzi e impianti di trattamento, la gente si rende conto che la soluzione a due stati sta rapidamente svanendo.
Il diffamatorio articolo di Atilli, pieno di distorsioni, accuse infondate e vere e proprie falsità (naturalmente ripreso da molti mass-media come fosse oro colato) non è che l’ennesima dimostrazione dell’intransigente rifiuto palestinese.
Di recente la nostra organizzazione “Missing Peace” ha ottenuto le carte autentiche che documentano le riunioni della Commissione Congiunta israelo-palestinese per l’acqua e la corrispondenza fra lo stesso Atilli e il colonnello Avi Shalev, capo delle relazioni internazionali dell’Ufficio di Coordinamento delle attività del governo israeliano nei Territori (Coordinator of Government Activities in the Territories). Da questi documenti emerge un quadro completamente diverso. Contrariamente a quanto asserisce Atilli, è l’Autorità Palestinese quella che allontana la soluzione a due stati sabotando sistematicamente lo sviluppo di infrastrutture idriche indipendenti per il futuro stato palestinese.
Vediamo nel dettaglio alcune delle accuse che Atilli muove a Israele nel suo articolo e confrontiamole con il quadro che emerge dai documenti della Commissione Congiunta e dell’Ufficio di Coordinamento.
“Israele ritarda o blocca i progetti idrici palestinesi”, dice Atilli. Tanto per cominciare, l’articolo 40 (14) degli Accordi di Oslo afferma chiaramente che tutte le decisioni della Commissione Congiunta circa i progetti idrici in Cisgiordania necessitano di un mutuo accordo. Una volta approvati, i progetti della Commissione Congiunta per le zone della Cisgiordania sotto controllo palestinese (Aree A e B) non necessitano di nessun ulteriore coinvolgimento d’Israele. Solo i progetti relativi alle Aree C, sotto controllo israeliano, necessitano dell’approvazione dell’Amministrazione Civile Israeliana.
Dal 2000 in poi l’Authority Palestinese per l’Acqua ha inoltrato 76 richieste di permesso all’ufficio dell’Amministrazione Civile. L’Amministrazione Civile ha rilasciato 73 permessi e ne ha respinti 3 per mancanza di master-plan. L’8 giugno 2009 Shalev rispondeva con una lettera all’accusa di Atilli secondo cui l’Amministrazione israeliana non aveva onorato la richiesta dell’Authority Palestinese di rilasciare 12 di questi permessi. Nella lettera, Shalev scriveva che questi permessi erano già stati emessi nel 2001 e che l’Amministrazione Civile si domandava come mai l’Authority Palestinese per l’Acqua non avesse ancora dato seguito all’esecuzione dei progetti.
Altri 44 progetti approvati dalla Commissione Congiunta, per la maggior parte nelle Aree A e B, come la costruzione di un impianto per il trattamento di acque reflue a Jenin approvato nel 2008, non sono mai stati realizzati. Il governo della Germania ha persino ritirato un piano per la costruzione di un impianto di depurazione a Tulkarem quando ha concluso che l’Authority Palestinese non era in grado di gestire il progetto.
Quando, nel novembre 2009, l’Authority Palestinese per l’Acqua lamentò una carenza di fondi, il governo israeliano si offrì di finanziare progetti idrici per le comunità palestinesi. L’Autorità Palestinese non ha ancora risposto all’offerta.
“Israele – sostiene Atilli – assegna ai palestinesi solo il 10% delle fonti idriche comuni”. Le quote di acqua per la Cisgiordania sono state congiuntamente concordate negli Accordi di Oslo. In base agli accordi, il 33% dell’acqua della falda acquifera sotto la Cisgiordania viene assegnato ai palestinesi. Nel 1993 i palestinesi potevano pompare 117 milioni di metri cubi mentre Israele ne forniva altri 31 milioni. Nel 2007 vennero assegnati all’Autorità Palestinese 200 milioni di metri cubi, di cui 51,8 milioni forniti da Israele. Tuttavia, di quei 200 milioni di metri cubi solo 180 vennero effettivamente utilizzati. Il motivo principale è che l’Authority Palestinese per l’Acqua non ha implementato nella falda acquifera orientale i progetti che avrebbero risolto gran parte dei problemi idrici palestinesi. Più di metà dei pozzi approvati per lo sfruttamento della falda orientale non sono stati ancora scavati. Ma i relativi premessi sono approvati già dal 2000. In una lettera scritta il 4 aprile 2001, l’Amministrazione Civile israeliana sollecitava l’Authority Palestinese per l’Acqua a mettere in esecuzione questi progetti. In una lettera dell’8 giugno 2009 ribadiva la stessa richiesta.
Atilli mente anche riguardo ai consumi idrici palestinesi. Nell’articolo sul Jerusalem Post sostiene che i palestinesi “dispongono mediamente di soli 60 litri” a testa al giorno. Ma nel 2009 la sua stessa Authority Palestinese per l’Acqua pubblicava un rapporto in cui si parla di una disponibilità media di 110 litri a testa al giorno.
L’impudenza di Atilli si esprime al meglio nella terza accusa, quando sostiene che Israele ruberebbe l’acqua e distruggerebbe i progetti idrici palestinesi. In realtà, sono i palestinesi che rubano milioni di metri cubi di acqua ogni anno prelevandola da fori aperti illegalmente negli acquedotti della società idrica israeliana Mekorot. L’Amministrazione Civile chiude almeno 600 di questi “rubinetti” illegali ogni anno. Non basta. È dal 2008 che Israele chiede all’Autorità Palestinese di ripristinare le pattuglie congiunte della Squadra Congiunta di Supervisione e Applicazione (Joint Supervision and Enforcement Team) che, prima dello scoppio dell’intifada Al-Aqsa (settembre 2000), contrastavano i furti d’acqua. Ma finora l’Autorità Palestinese si è rifiutata.
Un’altra ragione dello sperpero di acqua è la scarsa manutenzione delle infrastrutture idriche palestinesi. Uno sconcertante 33% delle forniture di acqua dolce va sprecato a causa di perdite, furti e manutenzione carente.
Altri documenti offrono la prova concreta che la chiusura di 250 pozzi illegali (quelli che depauperano la falda in modo arbitrario e irreversibile) è stata concordata negli incontri della Commissione Congiunta israelo-palestinese. Ad esempio, i verbali della riunione della Commissione del 13 novembre 2007 riportano la decisione unanime di procedere alla demolizione di “trivellazioni e connessioni illegali”. Ma Atilli si comporta come se non fosse presente a queste riunioni e non ne avesse sottoscritto le decisioni congiunte. Ha avuto persino il coraggio di lanciare appelli urgenti alla comunità internazionale non appena l’Amministrazione Civile israeliana, dopo numerosi appelli all’Authority Palestinese perché desse seguito alla chiusura concordata dei pozzi illegali, si è infine decisa a farlo direttamente.
Questi non sono che alcuni esempi del modo sconcertante in cui l’Autorità Palestinese trascura le necessità basilari dei suoi cittadini, per poi sfruttare cinicamente i problemi idrici come un’arma propagandistica contro Israele. Il che dimostra che l’Autorità Palestinese, contrariamente a quanto spesso si dice, è ben lungi dall’essere pronta a gestire un vero e proprio stato indipendente.
Ma c’è un’ulteriore conclusione da trarre. L’ostinato rifiuto di cooperare con Israele su interessi comuni come il miglioramento della infrastrutture idriche, e il modo in cui l’Autorità Palestinese sfrutta poi la carenza di miglioramenti per demonizzare Israele, dimostrano che l’Autorità Palestinese non è interessata né alla soluzione a due stati, né alla pace.

(Da: Jerusalem Post, 28.8.12)

Nelle foto in alto: scarsa manutenzione

Si veda anche:

Accuse sull’acqua: ancora una volta Human Rights Watch si distingue per faziosità anti-israeliana

https://www.israele.net/articolo,3021.htm

Acqua: “È Israele che rispetta i patti, a differenza dei palestinesi”

https://www.israele.net/articolo,2644.htm