Affrontare le ragioni profonde della violenza e criminalità che imperversano nella comunità araba israeliana

La società araba d’Israele non può continuare a dare tutte le colpe al governo senza sforzarsi di adottare drastici cambiamenti culturali ed educativi

Di Janan Bsoul

Janan Bsoul, giornalista arabo-israeliana, autrice di questo articolo

Un ennesimo omicidio a Rameh, in Alta Galilea, e i social network si riempiono di post di furiosi cittadini arabi israeliani che si scagliano con comprensibile indignazione contro l’inefficacia della polizia, la negligenza del governo e il modo in cui Israele lascia che la sua minoranza araba precipiti in un abisso di violenza e criminalità. Molti arabi israeliani considerano l’ondata di criminalità e violenza che investe la società araba il risultato diretto dell’essere una comunità minoritaria all’interno di uno stato percepito come ostile. Se non vivessimo sotto questo regime razzista e discriminatorio, affermano, criminalità e violenza scomparirebbero completamente.

Ora, è vero che lo stato ha delle responsabilità verso tutti i suoi cittadini e ha il dovere di garantire loro benessere e sicurezza. Ma il caso della minoranza araba-palestinese in Israele è ben più complesso, e la minoranza stessa ha delle responsabilità tutt’altro che marginali per questa pessima situazione. La società araba è conservatrice, maschilista e patriarcale, con tutto quello che ciò comporta, e ancora oggi (secoli dopo che abbiamo lasciato il deserto) è basata su valori tribali e sulla cultura del gregge: che in sostanza si fondano sulla violenza, sulla non accettazione e sull’odio per l’Altro. La violenza che ne deriva si manifesta in modi diversi, dall’omicidio di donne ai violenti scontri fra clan, spesso collegati a elezioni locali come è avvenuto a Kafr Manda, a Yarka e in altri luoghi.

L’assassinio delle donne ha una sua specifica dimensione ed è anch’esso frutto diretto della stessa mentalità. L’assassinio delle donne nella società araba si basa sul concetto che le donne sono beni mobili che passano dal possesso del padre a quello del fratello e del marito. Una donna non può vivere da sola, deve esserci un “tutore” che la controlli e si assicuri che si comporti “nel modo giusto”. Questa è la ragione dei numerosi casi di padri o fratelli che uccidono figlie e sorelle, e talvolta anche di figli che uccidono le madri.

Una manifestazione contro l’omicidio di donne beduine, a seguito di un ennesimo “delitto d’onore”

Ci sono molti esempi. Solo per citare i più recenti: l’omicidio di una madre a Kafr Zarzir; l’omicidio di Shadia Misrati a Ramle, di cui è sospettata la famiglia; l’omicidio di Ranin Rahal da parte del fratello “scontento del suo stile di vita” e molti altri. La misoginia e la riduzione delle donne a oggetto nella società araba non sono frutto della condizione di minoranza, bensì la diretta continuazione di una mentalità conservatrice e patriarcale che esige che le donne siano controllate sempre e ad ogni costo.

Non sono meglio quei ebrei israeliani liberal che non oseranno mai criticare la società araba e che, senza vergogna, la compatiscono sempre come vittima in un modo che la svilisce e non fa che rivelare la loro doppiezza: quegli stessi ebrei israeliani illuminati esigerebbero a gran voce una vera e propria rivoluzione di mentalità se cose del genere accadessero nella loro comunità, e certamente non si limiterebbero a lamentarsi e invocare che la polizia venga a salvarli.

Tutto questo non significa assolvere lo stato dalle sue responsabilità. Troppe volte le autorità israeliane assistono al caos nella comunità araba senza una vera volontà di intervenire. Lo stato deve essere chiamato a svolgere il suo ruolo nell’applicare la legge e nel risolvere i crimini in modo da rispondere alle necessità della società araba sanguinosamente colpita, e di tutto Israele. Ma anche la comunità araba deve farsi un esame di coscienza e impegnarsi ad apportare cambiamenti interni urgenti e di ampio respiro. Deve assumersi la responsabilità e cambiare i suoi modelli educativi, a partire dalla più giovane età. Dobbiamo crescere i nostri figli insegnando loro che un cognome è solo un cognome, e non una tribù che debba essere riverita e servita ad ogni costo. Dobbiamo insegnare loro che non c’è differenza tra ragazze e ragazzi, che le donne non sono proprietà degli uomini e che i disaccordi non sono un buon motivo per scatenare risse violente e faide interminabili.

Senza assumersi queste responsabilità, senza affrontare con serietà la sua paurosa situazione e sforzarsi di introdurre drastici cambiamenti culturali ed educativi, la società araba non può continuare a dare tutte le colpe al governo. La salvezza non verrà dallo stato e non dipende unicamente dalle sue azioni.

(Da: Ha’aretz, 18.8.21)

Quattro omicidi da criminalità comune nelle ultime 48 ore nel settore arabo-israeliano, scrive domenica la stampa israeliana. Venerdì notte è stato ucciso il 26enne Ibrahim Abu Amra, della città beduina di Tel Sheva, in quello che la polizia ritiene un omicidio legato a una faida familiare. Sabato, il 18enne Anas Al-Wahwah è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nella città di Lod mentre era seduto all’interno di un’auto: anche in questo caso si sospetta una faida familiare. Più tardi, sabato notte, Abed Qurmata, 26 anni, è morto nella città centrale di Kafr Kassem in una sparatoria di cui non è ancora chiaro il movente. Domenica mattina, in un’auto bruciata vicino alla città centrale di Hagor è stato trovato il corpo del 26enne Nur Ajaj, originario della città beduina di Segev Shalom. Secondo gli investigatori, l’uomo sarebbe stato colpito prima che il suo veicolo venisse incendiato. Ajaj, originario della città centrale di Ramle, era stato recentemente rilasciato dal carcere. Dall’inizio dell’anno, 65 arabi israeliani sono stati assassinati in contesti legati alla criminalità comune, compreso lo scorso 15 agosto Ismail Saher, un membro di spicco del partito Nuova Speranza. Altri 12 arabi palestinesi, tra cui residenti di Gerusalemme est e palestinesi di Cisgiordania, sono stati uccisi in omicidi di matrice criminale all’interno del territorio israeliano. Il 2020 aveva visto 96 arabi israeliani uccisi nel quadro di violenze criminali, che comprendono faide familiari, guerre tra bande per il controllo del territorio e violenza contro le donne.
(Da: Times of Israel, Jerusalem Post, YnetNews, 29.8.21)