Aiutare i palestinesi a venirne fuori

Evidentemente molti palestinesi pensano di non aver avuto nulla di buono dai massicci aiuti internazionali.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1135Il governo “monocolore” presentato da Hamas all’Autorità Palestinese è stato generalmente definito come un governo di “tecnici”. Tuttavia le sue caratteristiche salienti sono inequivocabili. È un governo composto quasi interamente da membri di Hamas anziché un governo di coalizione, e il suo programma non corrisponde a nessuna delle condizioni poste dalla comunità internazionale su rifiuto del terrorismo, riconoscimento di Israele e accettazione degli accordi firmati in passato. Salah Bardwil, un portavoce di Hamas, ha messo le cose in chiaro: “Non abbiamo alcuna intenzione di sostenere il programma politico di altre fazioni”.
In teoria questo esito non era scontato. Hamas, dopotutto, deve scegliere tra la propria linea di dura intransigenza che abbraccia il terrorismo, e il supposto desiderio di procurare al popolo palestinese condizioni di vita migliori. Nella campagna elettorale Hamas ha sostenuto di poter fare davvero, al tavolo negoziale di fronte a Israele, un lavoro migliore di quanto abbia fatto Fatah. Hamas ha anche sostenuto, in modo convincente, che si atteneva a un cessate il fuoco con Israele, di nuovo – si suppone – perché questo è ciò che gli elettori palestinesi desideravano sentirsi dire. A giudicare dalla sua campagna elettorale, Hamas stessa sembra dunque convinta che la maggior parte dei palestinesi non è interessata a continuare l’offensiva terroristica contro Israele. Sono di più i palestinesi che votarono per Mahmoud Abbas (Abu Mazen) nelle elezioni presidenziali del gennaio 2005 dopo che questi aveva esplicitamente invocato la sospensione degli attacchi contro Israele, di quelli che hanno votato per Hamas nelle elezioni parlamentari del gennaio 2006. In realtà, infatti, Hamas ha conseguito la maggioranza parlamentare ottenendo meno della metà dei voti, in parte perché in molti collegi il voto per Fatah si è disperso su una molteplicità di candidati. Ciò nondimeno Hamas sembra aver scelto di interpretare il proprio successo elettorale come un mandato a sostegno della piattaforma politica di guerra ad oltranza contro Israele, più che del tema “cambiamento e riforma” tanto enfatizzato durante la campagna elettorale.
Abu Mazen ha detto che si rifiuterà di ratificare il governo se la comunità internazionale dovesse provocare una “crisi” tagliando gli aiuti all’Autorità Palestinese. Il fatto che Fatah si rifiuti di entrare nel governo indica chiaramente che Abu Mazen spera che un governo guidato da Hamas non possa durare. In questo senso, la “minaccia” di Abu Mazen va vista come un invito rivolto alla comunità internazionale a mantenere con fermezza l’impegno di non finanziare un governo Hamas che rifiuti di accogliere le condizioni indicate dal Quartetto Usa, Ue, Russia, Onu. Hamas spera di poter evitare qualunque compromesso e di mantenere nel contempo gli aiuti internazionali ricattando l’occidente con la sofferenza del popolo palestinese. James Wolfensohn, che pure è inviato del Quartetto, ha perfettamente sintetizzato questo concetto nella sua audizione mercoledì scorso davanti al Congresso Usa: “Non credo che si possa avere contemporaneamente la pace e un milione di palestinesi che fanno la fame”.
La situazione economica palestinese è, in effetti, disastrosa. Si stima che più di metà degli abitanti di Gaza sia disoccupato, e che il tasso di disoccupazione in Cisgiordania superi il 20%. Eppure i palestinesi hanno votato in gran numero per Hamas pur sapendo che c’erano buone probabilità che una vittoria di Hamas provocasse un taglio degli aiuti internazionali. Evidentemente moltissimi palestinesi sono convinti che i massicci aiuti internazionali non hanno procurato loro nulla di buono. Il che non sorprende. Come dice un recente rapporto del Research Service del Congresso, “metà dei 7 miliardi di dollari elargiti (dagli Stati Uniti) all’Autorità Palestinese da quando è stata creata, nella prima metà degli anni ’90, sono stati molto probabilmente usati da Arafat per clientele e tangenti. Attualmente – continua il rapporto – i palestinesi sono la popolazione al mondo che riceve il più grande aiuto internazionale pro capite e, con la loro economia sfasciata, dipendono completamente dall’aiuto esterno per ogni necessità essenziale”.
Se ciò che vuole la comunità internazionale è aiutare i palestinesi, gli aiuti che negli ultimi dieci anni gli sono stati fatti piovere addosso non solo non l’hanno fatto, ma hanno anzi nutrito un regime completamente disfunzionale profondamente infestato dal terrorismo. L’unico modo per cambiare, a quanto pare, è quello di non continuare a finanziare un’Autorità Palestinese che si rifiuta di aderire ai principi del Quartetto. La “crisi umanitaria” è già avvenuta, trattenere gli aiuti è la chiave per aiutare i palestinesi a venirne fuori.

(Da: Jerusalem Post, 21.03.06)