Al-Baghdadi, lo stupratore che fu a capo di un “califfato” genocida in stile nazista
Creò un regime fondato sull’assassinio, il bottino, il commercio di donne e schiavi. Gli è stata risparmiata la morte che gli avrebbero inflitto le sue vittime
Di Seth J. Frantzman
Abu Bakr al-Baghdadi era uno stupratore. Come la maggior parte dei jihadisti, la sua motivazione principale era l’omicidio e il genocidio, combinati con un odio religioso di tipo fascistoide. Nello Stato Islamico, l’organizzazione e lo “stato” che ha guidato, ha potuto sfruttare vari gruppi di seguaci per creare la cosa in Medio Oriente più vicina a un paese in stile nazista di breve durata.
Baghdadi trascorse le sue giornate da leader violentando donne che il gruppo aveva rapito, mentre i suoi uomini morivano in prima linea. Come Hitler, si godeva la bella vita mentre i suoi soldati sunniti penavano sotto le bombe della coalizione guidata dagli Stati Uniti e si battevano per fermare la crescente ondata di milizie sciite e combattenti curdi schierati contro di loro. Per gran parte del suo periodo alla testa dell’Isis, lo stupratore Baghdadi è stato una sorta di miraggio, una figura indistinta la cui morte è stata annunciata più volte. Invece sopravviveva, fuggendo più e più volte mentre i suoi nemici si avvicinavano.
Da giovane Baghdadi era stato un devoto religioso, arrestato dagli americani dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Nato nell’Iraq centrale, si era unito a un gruppo estremista, venne catturato vicino a Falluja e detenuto a Camp Bucca nel 2004. Rukmini Callimachi, il corrispondente del New York Times che copre l’Isis, scrive che quando venne arrestato non solo era già radicalizzato, ma “iniziò a fomentare aggressioni contro i prigionieri sciiti a colpi di spranghe”. Nel suo odio verso gli sciiti, Baghdadi canalizzava un nuovo tipo di zelo jihadista. Mentre al-Qaeda e altri gruppi avevano lanciato una guerra contro l’Occidente e contro i governi locali totalitari e corrotti sotto l’insegna dell’islam, le concezioni che circolavano in Iraq nel 2004 consideravano i non sunniti come sub-umani. Dovevano essere uccisi tutti: cristiani, sciiti, yazidi e altri gruppi come i curdi. Si trattava di un’ideologia in puro stile nazista che vedeva il mondo diviso fra credenti e sub-umani. Trovò conferma in Abu Musab al-Zarqawi, il capo di al-Qaeda in Iraq, che premeva per maggiori attacchi contro sciiti e altre minoranze. Nel 2004 vennero effettuati attentati stragisti contro santuari sciiti a Karbala, uccidendo centinaia di fedeli. Baghdadi guardava con attenzione.
Mentre Baghdadi saliva al comando di quello che allora veniva chiamato lo “Stato islamico d’Iraq”, gli insorti sunniti che avevano inizialmente combattuto gli Stati Uniti si erano ormai spostati verso l’uccisione di compatrioti iracheni. Nel 2007 massicci bombardamenti colpirono le comunità yazidi, uccidendo 700 persone. Altri bombardamenti colpirono i curdi, i cristiani, gli shebek. Dal 2007 al 2009, le città vennero inondate di sangue. Più tardi, nel 2011, si presentò a Baghdadi una nuova opportunità quando lo stato siriano iniziò a collassare travolto dalla guerra civile. Fu in quel contesto che l’Isis fece la sua comparsa sulla scena con una serie di operazioni da guerra-lampo che gli permisero di conquistare la Valle dell’Eufrate dalla città siriana di Raqqa fino al confine e oltre, catturando aree in Iraq. A giugno i combattenti dell’Isis entravano a Mosul, spazzando via le boriose divisioni dell’esercito iracheno e impadronendosi della seconda città dell’Iraq.
Fu un passaggio cruciale. Non è del tutto chiaro se Baghdadi avesse mai pensato che sarebbe passato dalla guida di un culto omicida ribelle alla gestione di una specie di stato. Ma nel 2014 l’Isis controllava di fatto uno “stato” che si estendeva da Mosul fino a Raqqa, in Siria. Alla fine sarebbe arrivato a controllare un territorio delle dimensioni dell’Inghilterra. L’Isis iniziò immediatamente a riorganizzare la società sotto il suo controllo. Assassinò ed espulse sciiti e cristiani. Baghdadi si fece proclamare “califfo” nella moschea al-Nuri di Mosul. Dopodiché l’Isis pianificò il genocidio della minoranza yazida che vive a Sinjar, a ovest di Mosul. Isolati e debolmente difesi dai peshmerga curdi, erano un bersaglio facile. Il 3 agosto, utilizzando veicoli blindati strappati all’esercito iracheno, l’Isis invase Sinjar catturando più di 10.000 yazidi. Mezzo milione di persone furono costrette a fuggire. L’Isis separò le famiglie yazidi, come i nazisti avevano separato le famiglie ebree ad Auschwitz. Il gruppo jihadista uccise gli uomini e vendette come schiavi donne e bambini.
Ma tutti i crimini che Baghdadi aveva ordinato e approvato non restarono senza reazione. La reazione si concretizzò nell’estate del 2014 in più modi. In primo luogo, il Grande Ayatollah Ali al-Sistani emise una fatwa nel giugno 2014 in cui esortava gli sciiti in Iraq a sollevarsi e prendere le armi per fermare i jihadisti sunniti che puntavano verso Baghdad. Mentre Baghdadi a Mosul era tutto preso ad ammantarsi del titolo di Califfo, un esercito si stava radunando nel sud dell’Iraq innalzando i vessilli dell’imam Hussein. L’arroganza di Baghdadi, come quella di Hitler a Stalingrado, lo avrebbe portato alla rovina poiché aveva risvegliato milioni di sciiti in Iraq, esasperati dagli attacchi omicidi ai loro santuari e dalle ambizioni genocide dell’uomo a Mosul. Mentre yazidi e cristiani soffrivano, prendeva vigore una crescente ondata di reazioni ai crimini dell’Isis.
Gli attacchi dell’Isis agli yazidi provocarono anche l’intervento dell’amministrazione Obama. Nel giro di un mese, una coalizione guidata dagli Stati Uniti iniziò ad effettuare attacchi aerei. Alla fine, quella coalizione sarebbe arrivata a contare un settantina di paesi. Non basta. Gli attacchi dell’Isis ai curdi provocarono anche la reazione di una comunità vissuta all’ombra dell’estremismo. In Siria, le Unità di protezione del popolo curdo (YPG), pur dotate solo di armi leggere, contribuirono a salvare gli yazidi in fuga da Sinjar vicino al confine siriano. L’YPG avrebbe poi valorosamente respinto gli assalti dell’Isis contro la città siriana di Kobane, emergendone come una forza combattente alleata con gli Stati Uniti. Intanto, nel nord dell’Iraq, i peshmerga curdi contribuivano a fermare l’avanzata dell’Isis su Erbil, Dohuk e Kirkuk. Nell’autunno del 2014 le legioni di Baghdadi, a quel punto affiancate da circa 50.000 volontari giunti da tutto il mondo compresi 5.000 jihadisti europei, si trovarono a combattere non solo le milizie sciite, ma anche i curdi e gli Stati Uniti.
Tutto questo mentre Baghdadi era impegnato a violentare donne: un fatto tutt’altro che casuale, per il suo Califfato. Si trattava anzi della sua principale forza motrice. L’Isis era un impero fondato sullo stupro. Si è smerciato all’estero come un brand che prometteva ai giovani estremisti islamici, dall’Asia centrale ai Caraibi, la possibilità di venire in Siria e in Iraq a violentare e tormentare la popolazione locale. Prometteva schiavi e bottino. Baghdadi ha violentato le ragazze yazidi e le sue forze hanno sequestrato, stuprato e ucciso l’americana Kayla Mueller (a cui è stata intitolata l’operazione Usa che ha portato all’eliminazione del capo dell’Isis, ndr). Gli uomini di Baghdadi facevano un passo falso dietro l’altro. Nella loro orgia di sangue e omicidi, uccisero cittadini americani spingendo gli Stati Uniti a inviare più forze per combatterli. L’Isis ha persino bruciato vivo un pilota giordano di nome Muath al-Kasasbeh. E il re di Giordania ha ordinato la vendetta.
La vendetta sarebbe arrivata gradualmente, con un crescendo fra il 2015 e il 2016. L’Isis ha continuato coi suoi crimini, distruggendo siti archeologici in Iraq e Siria, facendo esplodere santuari e distruggendo monasteri e chiese. Ma si era fatto troppi nemici, e i suoi nemici guadagnavano forza ogni giorno in cui l’Isis perdeva suoi membri. Nel suo Califfato, l’Isis creò una disciplinata società di tipo nazista dove le donne venivano tenute nascoste e venivano picchiate dalla polizia religiosa, dove si commerciava in schiavi e si garantiva un bottino ai jihadisti raccattati in Europa. L’Isis creò anche una sua propria industria di armi.
Ma era troppo tardi, perché aveva iniziato a perdere territorio in Iraq e in Siria. In Siria le Forze Democratiche Siriane, per lo più curde, liberavano una città dopo città con l’aiuto degli Stati Uniti. In Iraq le milizie sciite, sostenute da un esercito iracheno riaddestrato e dalle forze d’élite dell’antiterrorismo americano di nero vestite, cacciavano l’Isis dalle città. L’Isis perse Mosul nell’estate del 2017 dopo nove mesi di combattimenti. In autunno, perse Raqqa. Ma teneva duro vicino all’Eufrate.
Alla fine, Baghdadi è fuggito. I suoi uomini morivano, ma lui scappava. Mentre il Califfato moriva, circa 50.000 donne e bambini dei membri dell’Isis venivano raccolti in campi profughi. Tra loro, anche carnefici e torturatori. In Siria sono stati trovati migliaia di membri dell’Isis, molti dei quali stranieri. La Siria era diventata la discarica per tutti i membri dell’Isis che cercavano un posto dove uccidere e stuprare.
Baghdadi però non si arrese. Si nascondeva e alla fine riuscì a raggiungere la provincia di Idlib. La sua famiglia e le sue mogli sopravvissute furono fatte entrare clandestinamente in Turchia. Sembra che ormai non avesse più nessuna schiava da violentare. Quando è stato scovato è morto in un tunnel, come Hitler nel bunker (portando nella morte i suoi figli, come Gobbles). Baghdadi non è stato catturato dalle sue vittime, non è stato trascinato per i capelli dalle milizie sciite per essere impiccato sotto le bandiere dell’imam Hussein da coloro che tanto disprezzava. Baghdadi ha avuto in sorte una morte decente per mano degli americani. Non è stata la morte che i suoi uomini avevano inflitto alle loro vittime, come le migliaia di yazidi mitragliati e scaricati in fosse comuni, o le vittime sciite del massacro di Camp Speicher nel giugno 2014.
Baghdadi ha voluto scatenare le sue forze contro gli innocenti e poi andarsene, lasciandosi alle spalle intere città in fiamme. Ha portato alla rovina la sua comunità perché ha trasformato la sua religione in turpitudine e assassinio, innalzandoli a valori da venerare. Coloro che hanno combattuto l’Isis venerano la vita, ed è stato per preservare la vita loro e delle loro famiglie che molti sono partiti da casa lasciando i poveri villaggi presso Bassora e Qamishli, Dohuk e Sinjar, per combattere quella minaccia. L’Isis ha tentato di colonizzare l’Iraq e la Siria, reclutando le risorse di ricchi jihadisti dall’Europa e da altri paesi. Ha sfruttato uomini che volevano colpire iracheni e siriani, uccidere curdi, sciiti e yazidi. Ma quegli uomini approdati in Siria dalle loro confortevoli vite a Parigi, Berlino e Londra hanno scoperto che i locali erano un osso troppo duro per loro. E sono finiti sepolti in tombe senza nome dove sono caduti, da Raqqa a Mosul.
Come mi ha detto un comandante curdo mentre stavamo rannicchiati al freddo vicino alla linea del fronte di Sinjar nel 2015, “Daesh [l’Isis] deve essere punito e bisogna vendicare quello che hanno fatto. Non è mio compito decidere se andranno in paradiso o all’inferno, ma è mio compiuto mandarli davanti al giudizio di Allah”. Le forze speciali americane hanno mandato Baghdadi davanti al giudizio. Ci vorranno anni per guarire l’’inferno sulla terra che ha cercato di creare. Ma per i liberi che si sono levati nel 2014 per combattere ed eliminare l’Isis dall’Iraq e dalla Siria, oggi è un buon giorno.
(Da: Jerusalem Post, 28.10.19)