Al confine internazionale, né più né meno

Assad padre rifiutò unofferta che andava oltre lintero Golan

Da un articolo di Alexander Yakobson

image_1384È giusto e necessario essere sospettosi rispetto al presidente siriano Bashar Assad. D’altra parte, quando un capo arabo si dichiara disposto a negoziare, Israele non deve apparire come quello che cerca di sottrarsi. C’è un modo per risolvere la cosa senza compromettere il nostro coordinamento diplomatico con gli Stati Uniti (il cui atteggiamento verso la Siria è ben noto): il governo israeliano dovrebbe dichiarare ufficialmente e apertamente che è disposto a restituire interamente le alture del Golan, ma solo fino al confine internazionale. Dopo di che il primo ministro israeliano Ehud Olmert dovrebbe continuare a ribadire che l’avvio negoziati con la Siria dipende dal fatto che la Siria ponga fine all’aiuto che offre a gruppi armati e terroristici anti-israeliani. Si tratta di una precondizione assolutamente legittima: la cessazione della “lotta armata” dei gruppi palestinesi è richiesta dalla Road Map, e la cessazione dell’aiuto militare a Hezbollah è richiesto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il problema di queste precondizioni è che, nelle attuali circostanze, fanno sembrare che Israele voglia evitare il negoziato sulle questioni territoriali.
Esprimere la disponibilità in linea di principio a ritirarsi fino al confine internazionale [quello del 1923 fra Mandato britannico sulla Palestina e Mandato francese sulla Siria] non significa cedere delle “carte” da usare nel negoziato, giacché è perfettamente chiaro a entrambe le parti che nessun negoziato permetterà mai a Israele di assestarsi su un confine diverso da quello. Lo sapeva anche il governo israeliano subito dopo la guerra dei sei giorni (1967), quando offrì alla Siria (e all’Egitto) di fare la pace in cambio del ritorno sui confini internazionali. E lo fece non perché si fidasse della Siria, né perché non valutasse l’importanza strategica delle alture del Golan, ma perché era consapevole di come funzionano le cose nella realtà politica internazionale. Allontanarsi da quella prima posizione, soprattutto a causa dei famosi tre “no” della Lega Araba a Khartoum (no al negoziato, no al riconoscimento, no alla pace con Israele) ha fatto solo danni.
Disponibilità a cedere le alture del Golan in cambio della pace non significa accettare che la Siria torni ad occupare la striscia di terra lungo la costa nord-est del Lago Kinneret [di Tiberiade] come aveva fatto fra il 1949 e il 1967. La richiesta siriana che Israele si ritiri “sulla linea del 4 giugno 1967”, che correva al di qua del confine internazionale del 1923, è una “pretesa illegittima”, per usare le parole di Yossi Beilin. In termini di territorio si tratta di una piccola differenza, ma comporta sia un grave danno all’interesse vitale di Israele di mantenere il Lago Kinneret (la principale riserva d’acqua del paese), sia una inutile violazione di un principio. L’unica base legittima per i negoziati deve essere il confine internazionale. Naturalmente è sempre possibile arrivare per mutuo accordo a degli scambi territoriali. Ma se Israele insiste sul principio del confine internazionale, nessuno al mondo dovrebbe poterlo smuovere da quella posizione.
Nella fase finale dei negoziati del 1999-2000 fra Israele e Siria, l’allora presidente Usa Bill Clinton, per conto del primo ministro israeliano Ehud Barak, offrì ad Afez el Assad una mappa del ritiro “sulla base delle linee del 4 giugno” che prevedeva degli scambi di territorio. Quella mappa, secondo la testimonianza del diplomatico americano Dennis Ross, “offriva alla Siria più del 100% delle alture del Golan”, migliorando però la posizione di Israele sulle coste del Kinneret. Assad la respinse. Oggi la posizione di Israele dovrebbe essere quella di ribadire che l’unico confine legittimo è il confine internazionale.

(Da: Ha’aretz, 28.09.06)