Alla ricerca del (solito) capro espiatorio

Fratellanza Musulmana e Hamas sono in imbarazzo e danno la colpa al Mossad.

Di Eli Avidar

image_3510Guardare la televisione egiziana all’indomani dell’attentato di domenica scorsa presso il valico di Kerem Shalom al confine israelo-egiziano era come guardare un numero di satira politica. La notizia che terroristi della jihad globale avevano ammazzato sedici militari egiziani in pieno mese di Ramadan, rubato armi e veicoli e si erano scagliati contro il territorio israeliano (per inciso, fermati solo dalla pronta reazione delle Forze di Difesa israeliane) andava di pari passo con le immagini di una folla delirante di manifestanti egiziani radunata davanti alla residenza dell’ambasciatore israeliano al Cairo per accusare il Mossad di essere dietro all’attentato e invocare la rottura dei rapporti diplomatici tra Egitto e Israele.
Quella manifestazione sarà anche stata contro Israele, ma quello che ha davvero messo in luce è lo stato di inettitudine e confusione in cui versa la Fratellanza Musulmana dopo questi ultimi eventi. Il presidente egiziano Mohammed Morsi, che da buon Fratello Musulmano di recente aveva ribadito il suo sostegno a Hamas, ha scoperto la triste verità. I sostenitori della jihad globale hanno dimostrato ancora una volta che non fanno praticamente differenza fra Israele e governo musulmano al Cairo: chiunque non condivida il loro credo è un nemico.
Se Morsi è in imbarazzo, Hamas è in seria difficoltà. Il capo di Hamas nella striscia di Gaza, Ismail Haniyeh, cercherà in tutti i modi di dimostrare che non aveva saputo in anticipo dell’attacco, giacché in effetti il “governo” di Gaza deve agli egiziani qualche spiegazione. Se gli apparati di sicurezza israeliani erano riusciti a sapere qualcosa prima dell’attacco, tanto da avvertire i propri turisti nel Sinai e il Cairo stesso, non v’è dubbio che anche Hamas a Gaza deve aver saputo dell’imminente attentato, solo che ha scelto di restarsene in silenzio.
La notizia che Israele aveva avvertito il Cairo è ormai venuta fuori, in Egitto, ed è al centro del dibattito pubblico sul sanguinario attentato. Non manca chi vede in questa notizia la prova del solito complotto del Mossad, ma sono molti quelli che invece puntano il dito contro il governo egiziano e ancora di più contro Hamas.
Lunedì Haniyeh ha condotto una preghiera di massa davanti all’ambasciata egiziana a Gaza in segno di solidarietà per le vittime dell’attentato. Nell’occasione ha usato un linguaggio che forse solo l’arabo consente: “Israele – ha detto – in un modo o nell’altro è responsabile”. Sia alla Fratellanza Musulmana che a Hamas fa molto comodo incolpare Israele. Ma i mass-media egiziani indicano chiaramente che questa volta la gente non la beve.
Più che altro, la manifestazione di fronte alla residenza dell’ambasciatore d’Israele al Cairo ci invia un chiaro messaggio circa il nostro futuro geopolitico. Se qualcuno in Egitto aveva pensato per un momento che Gerusalemme avrebbe potuto essere un alleato contro il terrorismo islamista, i manifestanti e chiunque li abbia mandati hanno messo in chiaro che esiste un solo vero nemico, e che la cooperazione con Israele non va nemmeno presa in considerazione.
L’esercito egiziano e i suoi comandanti sono i meglio messi. Molti in Egitto vedono nell’esercito l’ultima barriera prima del caos, e l’attentato fornisce loro un argomento convincente. Il feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi ha nuove carte da giocare. Senza di lui sarebbe impossibile ripristinare l’ordine nel paese. E poi, le indagini sull’attacco di domenica scorsa potrebbero danneggiare seriamente la posizione dei Fratelli Musulmani e del presidente Morsi. Basterebbe che venisse fuori che gli attaccanti avevano studiato all’Università Al-Azhar del Cairo insieme a diversi importanti esponenti dell’attuale regime per suscitare massicce proteste contro di loro. Tantawi userà questo genere di informazioni per alimentare il sordo conflitto con la Fratellanza Musulmana, che non è mai cessato nemmeno per un momento.

(Da: Israel HaYom, 8.8.12)

Nella foto in alto: Mohamed Hussein Tantawi e Mohammed Morsi