Alla ricerca di nuovi amici

Israele intreccia nuovi rapporti con gruppi di paesi preoccupati per l’ondata islamista.

Di Herb Keinon

image_3303Israele sta attivamente cercando amici e alleati più lontani, per controbilanciare gli eccezionali successi degli islamisti nei paesi a lui più immediatamente vicini. È quanto ha affermato la scorsa settimana un alto funzionario governativo israeliano, alla luce della schiacciante vittoria che gli islamisti sembrano destinati a raccogliere nelle elezioni parlamentari in corso in Egitto.
Secondo il funzionario sentito dal Jerusalem Post, il collasso di così tanti regimi arabi nella regione, unito alla posizione di Iran e Turchia che da bordo campo aspettano solo di approfittare della situazione per i loro disegni, Israele punta su tre gruppi di paesi come alleati e possibili contrappesi.
Il primo gruppo è quello del Mediterraneo orientale, composto da paesi come Grecia, Cipro, Romania e Bulgaria: paesi storicamente rivali della Turchia e assai preoccupati per l’ampliarsi dell’intervento e delle ambizioni di Ankara, cosa che li ha portati a stringere con Israele rapporti molto più stretti di quanto non avessero in passato.
Il secondo gruppo è costituito da paesi dell’Africa sub-sahariana come Kenya, Uganda, Etiopia, Tanzania, Nigeria e Sudan del Sud, la cui preoccupazione per il terrorismo islamista al loro stesso interno li ha condotti ad una crescente cooperazione politica e di sicurezza con Israele. Tale cooperazione è apparsa evidente nell’apertura di rapporti diplomatici con Israele da parte del Sudan del Sud subito dopo aver ottenuto l’indipendenza all’inizio di quest’anno, e nelle visite ufficiali in Israele, il mese scorso, dei leader del Kenya e dell’Uganda.
Il terzo gruppo comprende paesi mediorientali che, sebbene non nominati ufficialmente, secondo fonti governative israeliane si mantengono in contatto con Israele su questioni come l’Iran e i travolgenti cambiamenti in corso nella regione. Di recente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto un paio di vaghe allusioni a legami con questi paesi, che si ritiene siano soprattutto stati del Golfo Persico. Secondo la fonte governativa, Netanyahu intendeva far sapere all’opinione pubblica israeliana che, nonostante le turbolenze che attraversano il Medio Oriente, vi sono ancora “zone di luce”.
Tuttavia – ha voluto chiarire una delle fonti governative – anche se punta gli occhi alla ricerca di amici in altre aree, Israele non chiude affatto la porta ai legami con l’Egitto. “Non abbiamo rinunciato all’Egitto” ha detto la fonte, aggiungendo che i risultati preliminari del voto egiziano, secondo i quali la Fratellanza Musulmana e gli ancor più estremisti salafiti starebbero per conquistare circa il 65% dei seggi, “in realtà non sono una sorpresa per nessuno”. “E’ senz’altro possibile che andremo incontro a un periodo in cui le nostre relazioni con il governo egiziano non saranno più così cordiali – ha detto la fonte – ma si può sperare che prevarranno gli interessi di base comuni ad entrambe le parti. Israele ed Egitto si sono combattuti nelle guerre del 1948, del 1956, del 1967 e del 1973. Migliaia di persone sono morte. È questo ciò a cui vogliono tornare? È questo quello che propongono?”, si è chiesto il funzionario israeliano facendo rifermento all’ondata islamista in Egitto.
Ufficialmente Gerusalemme finora non ha commentato le elezioni in Egitto. Come spiega una fonte diplomatica, qualunque cosa dica Israele “potrebbe e verrebbe usata contro di noi dai mass-media egiziani”. La fonte afferma, tuttavia, che l’obiettivo di Israele a breve termine è mantenere aperti i canali di comunicazione con gli egiziani dovunque possibile, e assicurarsi di non intervenire, né che gli egiziani abbiano la sensazione di un’interferenza di Israele nel processo in corso nel loro paese. Israele, dice la fonte diplomatica, sta cercando di ridurre al minimo eventuali danni nei legami col Cairo, e certamente non ha alcuna intenzione di “dare per perso” l’Egitto, soprattutto alla luce dei così numerosi elementi di incertezza circa gli sbocchi verso cui andrà a sfociare il processo. “Siamo solo all’inizio” sottolinea il diplomatico, ricordando che, dopo le elezioni parlamentari, gli egiziani dovranno ancora redigere la nuova costituzione ed eleggere il presidente. “Ci vorranno mesi prima che il quadro divenga chiaro”, conclude.

(Da: Jerusalem Post, 2.12.11)