All’Onu, l’Autorità Palestinese di Abu Mazen si batte a favore di Hamas

Un ennesimo esempio dell’ipocrisia che caratterizza due fazioni palestinesi nemiche su tutto, tranne che sull’ostilità ad oltranza contro Israele

Con un’analisi di Khaled Abu Toameh

L’ambasciatore d’Israele alle Nazioni Unite, Danny Danon

L’Autorità Palestinese, che considera Hamas un acerrimo avversario e ha adottato sanzioni contro di essa a Gaza, si sta adoperando con determinazione all’Onu per sconfiggere una proposta di risoluzione che condanna l’organizzazione terrorista e che dovrebbe essere sottoposta giovedì alla discussione dell’Assemblea Generale. Lo ha detto al Jerusalem Post l’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon, aggiungendo che è sua intenzione mettere in luce questa evidente ipocrisia quando prenderà la parola a favore della bozza di risoluzione presentata dagli Stati Uniti. I tagli operati dall’Autorità Palestinesi al pagamento di stipendi e bollette energetiche nella striscia di Gaza, che hanno pesantemente colpito la popolazione civile locale, sono considerati da molti osservatori uno dei motivi che spiegano le violenze lungo la barriera di confine con Israele che scoppiano ogni settimana sin dalla fine di marzo.

La risoluzione sarà presentata il 29 novembre, 71esimo anniversario dell’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del piano di spartizione che nel 1947 sancì la piena legittimità nel diritto internazionale della nascita dello stato d’Israele. Mentre la parte ebraica accettò il piano – che prevedeva la fine del Mandato Britannico e la creazione di uno stato ebraico e uno stato arabo – i paesi arabi lo respinsero in blocco, affermando esplicitamente che si sarebbero opposti con la forza alla sua attuazione. Dal 1977 l’Onu – contraddicendo il suo stesso piano approvato trent’anni prima – ha designato il 29 novembre quale “Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese”. Ogni anno in questa data vengono presentate  e automaticamente approvate dall’Onu numerose risoluzioni unilateralmente anti-israeliane.

L’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley

Quest’anno invece, dice l’ambasciatore Danon, i rappresentanti palestinesi sono sulla difensiva a causa della bozza di risoluzione che condanna Hamas per gli indiscriminati attacchi di razzi su Israele e gli ordigni incendiari lanciati di continuo oltre il confine, che mettono a rischio i civili israeliani e dirottano su armi e tunnel terroristici  le risorse che sarebbero destinate alla popolazione civile palestinese. “Questa risoluzione – spiega Damon – sta causando un bel po’ di clamore: tutti nell’Assemblea Generale erano abituati a votare, il 29 novembre, risoluzioni-fotocopia contro Israele, ed ecco che improvvisamente c’è sul tavolo  una proposta di risoluzione contro Hamas”.

Danon dice che sia Israele sia gli Stati Uniti, guidati dall’ambasciatrice uscente Nikki Haley, stanno facendo intense pressioni alle Nazioni Unite e nelle capitali di un po’ tutto il mondo a favore della risoluzione. Se la risoluzione venisse approvata, aggiunge Danon, sarebbe un degno “regalo di addio” per l’ambasciatrice americana che da due anni si batte contro il pregiudizio anti-israeliano imperante alle Nazioni Unite.

Ma anche se non dovesse passare il voto, che è previsto per venerdì o lunedì, secondo Danon la proposta di risoluzione rappresenta comunque un successo. “Il fatto che ora si parli di Hamas – spiega – e che l’Autorità Palestinese, le cui posizioni contro Hamas sono note a tutti, stia sudando sette camice per cercare di giustificare il fatto che improvvisamente si schiera a favore di Hamas, significa che abbiamo già ottenuto una vittoria”.

Riguardo alla possibilità che la risoluzione venga effettivamente approvata, Danon esprime un cauto ottimismo. E ricorda che lo scorso giugno, quando l’Assemblea Generale approvò una risoluzione anti-Israele sulle violenze a Gaza, un emendamento sostenuto dagli Stati Uniti che condannava Hamas per quelle violenze ottenne una maggioranza di 62 voti contro 58 (anche se poi tecnicamente l’emendamento non risultò approvato a causa di problemi procedurali e della necessità di ottenere una maggioranza di due terzi).

(Da: Jerusalem Post, israele.net, 27.11.18)

Khaled Abu Toameh

Scrive Khaled Abu Toameh: Da più di dieci anni ormai, Hamas e la fazione di Fatah al governo, guidata dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), sono in guerra tra loro. I tentativi dei fratelli arabi, tra cui Egitto, Arabia Saudita e Qatar, di risolvere la lotta di potere fra i due gruppi palestinesi sono finora falliti e difficilmente avranno successo nel prossimo futuro. Il divario tra Hamas e Fatah rimane più ampio che mai: le due parti si disprezzano a vicenda. Fatah vuole tornare nella striscia di Gaza e Hamas dissente categoricamente. Fatah vuole che Hamas si disarmi e ceda il controllo sulla striscia di Gaza, e Hamas disapprova.

Ma su una particolare questione le due parti mettono da parte le divergenze e sono pienamente d’accordo. Quando si tratta di Israele, si fatica a distinguere tra Hamas e Fatah. Entrambe usano lo stesso linguaggio brutale quando si riferiscono a Israele e alle politiche e alle decisioni del governo israeliano. Le dichiarazioni quotidiane che condannano Israele, rilasciate separatamente da Hamas e Fatah, sembrano quasi identiche. Definiscono Israele uno “stato di occupazione”, e continuano a fomentare i palestinesi e il resto del mondo all’odio contro Israele, accusandolo di commettere “crimini di guerra” contro i palestinesi e di “violare il diritto internazionale”. Gli attacchi quotidiani sferrati da Hamas e Fatah contro Israele hanno radicalizzato i palestinesi a tal punto che molti di loro non prenderebbero in considerazione nessuna forma di compromesso con Israele.

Immagine postata il 25 novembre sulla pagina Facebook della Guardia Presidenziale dell’Autorità Palestinese. Sotto lo slogan “torneremo sicuramente”, compare la consueta mappa con la scritta “Palestina” da cui risulta che Israele è cancellato dalla carta geografica. Sulla mappa sono indicati, nei colori della bandiera palestinese, nomi di città e località israeliane: oltre a Gerusalemme, Haifa, Safed, Nazareth, Giaffa, Tal Al-Rabia (cioè Tel Aviv), Tiberiade, Be’er Sheva, Ramle, Ashkelon, Negev, Lod, Acco, Beit Shean

Nelle settimane scorse, le fazioni rivali palestinesi si sono trovate di nuovo d’accordo – questa volta su ciò che percepiscono come tentativi di normalizzare le relazioni tra Israele e alcuni paesi arabi. Tali tentativi si riferiscono alla recente visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in Oman, un paese arabo che non ha relazioni diplomatiche con Israele. Si riferiscono anche alla partecipazione di atleti israeliani a una competizione di judo negli Emirati Arabi Uniti, un altro paese arabo che non ha relazioni diplomatiche con Israele. Le due fazioni palestinesi hanno fermamente condannato i paesi arabi per essersi “precitati” a normalizzare i rapporti con Israele prima che il conflitto israelo-palestinese sia risolto. Le dichiarazioni sono sorprendentemente simili nelle parole e nei messaggi lanciati.

Prendiamo, ad esempio, quello che ha detto il capo di Hamas Ismail Haniyeh sul presunto riavvicinamento tra Israele e alcuni paesi arabi. Il 29 ottobre scorso Haniyeh ha dichiarato :”Tutti i tentativi di normalizzare i rapporti non cambieranno la realtà. Non c’è posto per il nemico [Israele] sulla carta geografica. Il popolo invia un messaggio furente a tutti coloro che normalizzano le relazioni [con Israele]”. Un’altra dichiarazione rilasciata dal movimento Hamas è arrivata a denunciare i tentativi di normalizzazione definendoli “una pugnalata alle spalle dei palestinesi”, accusando inoltre gli arabi impegnati in varie forme di dialogo con Israele di aver “abbandonato i palestinesi e la loro giusta causa”. In altre parole, Hamas insinua che qualsiasi leader arabo che stabilisce relazioni con Israele sarà considerato un traditore dei palestinesi e della loro causa. Haniyeh è brutalmente schietto sul motivo per cui lui e Hamas si oppongono a qualsiasi forma di normalizzazione dei rapporti con Israele: è perché “non c’è posto” per Israele sulla carta geografica. Ai loro occhi, Israele non ha diritto di esistere e deve essere rimpiazzato da uno stato islamico.

I rivali di Hamas dentro a Fatah hanno assunto una posizione analoga riguardo al miglioramento nelle relazioni tra Israele e alcuni paesi arabi. Un certo numero di alti dirigenti di Fatah, tra cui Munir al-Jaghoob e Mohammed Shtayyeh, ha condannato l’Oman per aver ricevuto Netanyahu in visita ufficiale nel sultanato. Questi alti funzionari hanno anche stigmatizzato gli Emirati Arabi Uniti per aver permesso agli israeliani di partecipare a una competizione di judo. “Fatah condanna la normalizzazione pubblica dei rapporti fra Israele e alcuni paesi arabi”, dichiarato al-Jaghoub, il quale ha poi affermato che la visita di Netanyahu in Oman fa parte del piano di pace in Medio Oriente annunciato dal presidente americano Donald Trump. I palestinesi sono convinti che tale piano, che nessuno in Medio Oriente ha finora visionato, preveda la definizione di trattati di pace tra Israele e i paesi arabi prima che il conflitto israelo-palestinese sia risolto.

Hamas e Fatah sono contrari alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e i paesi arabi perché temono che i fratelli arabi li abbandoneranno: temono che gli arabi firmino trattati di pace con Israele e si concentrino sull’obiettivo di portare prosperità e stabilità nei paesi arabi. I palestinesi cercano di continuare a tenere il mondo arabo in ostaggio delle loro richieste irrealistiche: una tattica che ha funzionato negli ultimi settant’anni, ma che a quanto pare sta diventando meno utilizzabile da quando un paese arabo dopo l’altro apre le porte ai leader, ai politici e agli atleti israeliani.

Evidentemente Hamas e Fatah vogliono giocare la carta del vittimismo sino alla fine. Da tempo affermano di essere vittime di Israele. Ora stanno cercando di convincere il mondo che i palestinesi sono vittime di una sorta di complotto israelo-americano per arrivare alla pace con Israele. Nel mondo dei palestinesi, la pace tra Israele e paesi arabi equivale al tradimento: un complotto ordito da Israele e dall’amministrazione americana. Anziché accogliere con favore un miglioramento dei rapporti fra Israele e alcuni paesi arabi come uno sviluppo positivo che porta speranza e ottimismo in Medio Oriente, i capi di Hamas e Fatah sono impegnati a condannare e aizzare contro gli arabi che “collaborano” con Israele. Tali minacce avranno indubbiamente un impatto negativo su alcuni paesi arabi, che le considereranno un ricatto esercitato dai palestinesi. Quando Hamas e Fatah esortano la “piazza araba” a opporsi alla normalizzazione dei rapporti con Israele, in realtà invitano le popolazioni dei paesi arabi a ribellarsi contro i loro leader e governi. È difficile immaginare che qualsiasi leader arabo rimanga indifferente di fronte a queste minacce e condanne da parte dei palestinesi.

I palestinesi stanno ancora una volta agendo contro i propri interessi, inimicandosi paesi ricchi e potenti come gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman. Davvero Hamas e Fatah stanno guidando la loro popolazione verso un esito certo: estremismo e isolamento. Sicché, Fatah e Hamas non riescono mettersi d’accordo sul pagamento degli stipendi ai loro dipendenti, non riescono mettersi d’accordo sulle forniture di energia elettrica alla striscia di Gaza e sull’approvvigionamento di attrezzature sanitarie agli ospedali del posto. Vanno perfettamente d’accordo, invece, quando si tratta di infliggere ulteriori danni e sofferenze alla loro stessa popolazione. Se continuano così, verrà il giorno in cui i palestinesi scopriranno che i loro amici e fratelli sono diventati i loro peggiori nemici.

(Da: gatestoneinstitute.org, 7.11.18)