Amnesty accusa Israele di apartheid per negare il diritto ad esistere dello stato ebraico

La manovra è trasparente: proprio quando buona parte del mondo arabo si muove verso la pace con Israele, si moltiplicano a copia/incolla accuse faziose e infondate

Studenti ebrei e arabi all’Università di Gerusalemme

Un rapporto di Amnesty International in uscita martedì etichetta Israele come uno stato di apartheid allo scopo di criminalizzare l’esistenza stessa dello stato come patria nazionale del popolo ebraico. Questa la secca accusa mossa dal gruppo “ONG Monitor” che, insieme ad alcune altre ong, ha potuto vedere in anticipo una copia del rapporto di 211 pagine intitolato “L’apartheid israeliano contro i palestinesi: sistema crudele di dominio e crimine contro l’umanità”, e ne ha twittato una parte accompagnata dal proprio commento. “Lo scopo del rapporto – afferma ONG Monitor – è quello di caratterizzare il diritto degli ebrei ad un’equa sovranità nella loro patria storica come una violazione dell’ordine legale internazionale. L’obiettivo politico generale è cancellare lo stato nazionale del popolo ebraico e inglobarlo in un unico stato di Palestina” (ovviamente a maggioranza araba).

Amnesty International è la quarta ong che accusa Israele del crimine di apartheid negli ultimi due anni. Fa seguito alla stessa accusa avanzata da Human Rights Watch e dal gruppo israeliano B’Tselem. Un altro gruppo israeliano, Yesh Din, ha limitato l’accusa di apartheid alla situazione in Cisgiordania, mentre gli altri tre sostengono che le politiche d’Israele sarebbero qualificabili come apartheid sia all’interno del suo territorio sovrano che nelle aree contese e sotto amministrazione militare.

Secondo diverse ong che hanno visto il rapporto, il documento di Amnesty considera le accuse di apartheid contro Israele sin dal sua nascita nel 1948 e per tutta la storia successiva. La Anti-Defamation League, una ong internazionale ebraica con sede negli Stati Uniti, affermato che l’accusa del rapporto secondo cui “i crimini di Israele risalgono al peccato della sua creazione nel 1948, servono a presentare lo stato ebraico e democratico come singolarmente illegittimo sin dalle sue radici fondamentali”. Il rapporto, affermano le ong, criminalizza Israele come una democrazia “etnica” ebraica senza menzionare né tanto meno criminalizzare in modo reciproco l’obiettivo dei palestinesi di istituire un loro stato arabo “etnico nazionalista”.

Il medico arabo-israeliano Salman Zarka (a sinistra), coordinatore della task force anti-coronavirus

In particolare, il rapporto accusa Israele di apartheid sia per non essersi ritirato sulla linea armistiziale pre-1967 (non considerando che un ritiro dovrebbe avvenire solo sulla base di un compromesso di pace negoziato, già più volte rifiutato dalla parte palestinese), sia per non aver accettato il presunto “diritto al ritorno” all’interno del territorio sovrano di Israele dei profughi palestinesi (e di tutti i loro discendenti senza limiti). “Il numero di persone ora qualificate come profughi palestinesi – sottolinea la Anti-Defamation League – sommergerebbe immediatamente Israele e porrebbe rapidamente fine alla sua esistenza in quanto stato ebraico”.

Non basta. Secondo la Anti-Defamation League, il rapporto di Amnesty non solo mira a delegittimare il “diritto ebraico all’autodeterminazione nella sua patria storica, ma mina anche ogni prospettiva di una soluzione reciprocamente negoziata del conflitto israelo-palestinese che garantisca sicurezza, dignità e autodeterminazione a entrambi i popoli”.

Le ong contestano anche la totale mancanza di contesto del rapporto, che presenta le preoccupazioni demografiche di Israele rispetto ai palestinesi ma trascura e minimizza le sue preoccupazioni per la sicurezza. Inoltre, circa la crescita della popolazione ebraica in Israele, il rapporto non fornisce essenziali elementi di contesto storico per quanto riguarda i profughi ebrei cacciati dai paesi arabi e gli apolidi sopravvissuti alla Shoà accolti da Israele.

Il rapporto si sofferma sulle difficoltà di integrazione dei cittadini arabi in Israele senza menzionare tuttavia il loro significativo contributo allo stato ebraico. Le ong sottolineano che il rapporto “non tiene conto del fatto che la solida democrazia israeliana garantisce ai suoi cittadini arabi pieni diritti e uguaglianza, fino a comprendere un partito nazionalista arabo islamico nell’attuale coalizione di governo, così come non tiene conto di una lunga serie di alti funzionari statali arabo-israeliani come giudici di tribunale e della Corte Suprema, ministri e diplomatici di alto livello, ufficiali delle forze di difesa e parlamentari della Knesset”. Basterebbe considerare che è un arabo anche il coordinatore nazionale della lotta al coronavirus, dott. Salman Zarka, vale a dire una delle persone a cui gli israeliani hanno affidato la propria salute durante la pandemia.

Un’elettrice al voto nella città araba israeliana di Kafr Qasim

Le ong attirano l’attenzione sul fatto che l’iniziativa di etichettare Israele come uno stato di apartheid ha preso particolare vigore  proprio negli anni in cui paesi arabi come Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan stanno facendo la pace con lo stato ebraico. La pubblicazione del rapporto da parte di Amnesty in questo momento sembra fatto apposta per aprire la strada alle iniziative anti-israeliane in programma quest’anno al Consiglio Onu per i diritti umani, tra cui a giugno il primo rapporto della inedita Commissione d’inchiesta permanente contro Israele.

“E’ chiaro – conclude ONG Monitor – che Amnesty vuole usare sanzioni, boicottaggi e l’incriminazione di funzionari israeliani allo scopo di attaccare l’esistenza stessa di Israele come stato ebraico. Gran parte del mondo arabo si muove verso la pace con Israele. Amnesty invece vuole tornare alla guerra fredda, ai boicottaggi statali, alla propaganda sovietica. Da due anni e mezzo, decine di ong e i loro alleati alle Nazioni Unite conducono campagne utilizzando pseudo-rapporti che accusano Israele di apartheid. Ora, un anno dopo il rapporto di Human Rights Watch che è praticamente identico, anche Amnesty salta sul carro della campagna di odio contro Israele”. Dal canto suo, la Anti-Defamation League avverte che il rapporto “porterà a un’intensificazione delle manifestazioni di antisemitismo” e “metterà in pericolo gli ebrei in tutto il mondo”.

(Da: Jerusalem Post, israele.net, 31.1.22)

Mansour Abbas, leader del partito islamico Ra’am, vota nel suo seggio di Maghar (nord Israele) durante le elezioni per la Knesset del 23 marzo 2021

“Lo stato di Israele respinge senza mezzi termini tutte le false accuse che compaiono nel rapporto che Amnesty ha in programma di pubblicare domani – afferma una nota diffusa lunedì dal Ministero degli esteri israeliano – Il rapporto ricicla e rafforza bugie, incongruenze e affermazioni infondate che provengono da note organizzazioni di odio anti-israeliano, il tutto con l’obiettivo di spacciare merce avariata in una nuova confezione. Ripetere più e più volte le stesse menzogne non trasforma le menzogne in realtà: piuttosto scredita Amnesty”.

Il falso rapporto di Amnesty, prosegue la nota, “fa ricorso a doppi standard e demonizzazione per delegittimare Israele: sono esattamente gli elementi di cui si compone l’antisemitismo moderno. Il rapporto nega il diritto d’Israele ad esistere come stato nazionale del popolo ebraico. Il linguaggio estremista e la distorsione del contesto storico sono pensati per demonizzare Israele e gettare benzina sul fuoco dell’antisemitismo. Pochi giorni dopo la Giornata Internazionale della memoria della Shoà, ancora una volta scopriamo che l’antisemitismo non è solo un fatto della storia, ma purtroppo fa anche parte della realtà odierna. Proprio lo scorso fine settimana, degli ebrei sono stati aggrediti a Londra per il solo fatto di essere ebrei. Il rapporto di Amnesty funziona di fatto come un via libera a questi e altri aggressori per colpire non solo Israele, ma gli ebrei di tutto il mondo”.

“Lo stato di Israele – ricorda il comunicato del Ministero degli esteri – è una democrazia forte e vivace che garantisce a tutti i suoi cittadini eguali diritti, indipendentemente da etnia e religione. Lo stato d’Israele è stato istituito come la sede nazionale del popolo ebraico, con un ampio sostegno internazionale, alla luce dell’insegnamento della Shoà”: as the national home of the Jewish people dice la nota di Gerusalemme, citando testualmente la Dichiarazione Balfour adottata dalla Società delle Nazioni come testo di diritto internazionale, poi sfociata nella risoluzione 181 del 1947 che prevedeva esplicitamente la nascita di uno “stato ebraico”.

Invece Amnesty, denuncia il Ministero israeliano, “critica l’esistenza stessa dello stato d’Israele come stato nazionale del popolo ebraico e nega di fatto il suo diritto di esistere”. E rincara: “Non sorprende che questo rapporto venga pubblicato dalla filiale britannica di Amnesty International e sotto gli auspici del Segretariato Generale dell’organizzazione. Quella filiale è nota per essere contaminata da razzismo e xenofobia e in passato il Segretariato Generale dell’organizzazione ha accusato Israele, senza alcuna prova o base fattuale, di aver ucciso Yasser Arafat. Non sorprende che Amnesty abbia impiegato otto anni per fare marcia indietro da quella accusa grave e infondata”. Il Ministero chiede ad Amnesty di fare subito marcia indietro rispetto al rapporto che ha in programma di pubblicare, confidando che questa volta l’organizzazione non ci metta così tanto tempo. E conclude: “Lo Stato d’Israele continuerà a promuovere i valori di democrazia e inclusione, alla cui luce è stato istituito e continua ad esistere”.

Il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid ha personalmente commentato: “Un tempo Amnesty era un’organizzazione stimata che tutti rispettavamo. Oggi è l’esatto contrario. Non è un’organizzazione per i diritti umani, ma solo un’ennesima organizzazione estremista che riecheggia la propaganda senza un’analisi seria. Invece di controllare i fatti, Amnesty ripete bugie diffuse da organizzazioni terroristiche. Cinque minuti di seria verifica dei fatti bastano per constatare che i fatti riportati nel rapporto sono un’illusione avulsa dalla realtà. Israele non è perfetto, ma è una democrazia impegnata verso il diritto internazionale e aperta alle critiche, con una stampa libera e una forte Corte Suprema. Amnesty non definisce ‘stato dell’apartheid’ la Siria, un paese il cui governo ha ammazzato mezzo milione di propri cittadini, né l’Iran o qualsiasi altro regime corrotto e omicida in giro per il mondo. Detesto dover usare l’argomento che se Israele non fosse uno stato ebraico, nessuno in Amnesty oserebbe attaccarlo in questo modo, ma in questo caso non si può fare altrimenti”.

(Da: mfa.gov.il, israele.net, 31.1.22)