Ancora una volta i sostenitori del BDS dimostrano che si tratta di antisemitismo

La virtuosa scrittrice che non vuole pubblicare in Israele (ma non ha problemi in Cina, Iran, Iraq, Russia) e i gelatai liberal che non sanno spiegare perché Israele è l’unico stato che boicottano svelano come oggi viene giustificato l’odio anti-ebraico

Di Jonathan S. Tobin

Jonathan S. Tobin, autore di questo articolo

La scrittrice irlandese Sally Rooney pensa di essere una sostenitrice dei diritti umani e che il pregiudizio e l’odio non abbiano nulla a che fare con il suo lavoro o le sue posizioni politiche. Per quanto riguarda Ben Cohen e Jerry Greenfield, i Ben e Jerry che hanno fondato l’omonimo marchio di gelati, si ritengono tra i più virtuosi sostenitori della giustizia sociale. Eppure, a dispetto delle loro nobili intenzioni ben pubblicizzate e dell’enorme autostima, Rooney, Cohen e Greenfield stanno promuovendo l’odio contro gli ebrei. Ciò che rende la cosa così esasperante è che nessuno di loro – come tanti altri che sostengono il movimento BDS che prende di mira Israele – è abbastanza onesto da ammettere quali sono le conseguenze delle loro azioni. Rifiutandosi di riconoscere che sostenere un movimento che persegue la distruzione dell’unico stato ebraico al mondo è di per sé un atto intrinsecamente antisemita, non solo non vogliono vedere ciò che stanno facendo, ma danno una chiara dimostrazione di come le attuali mode intellettuali liberal stanno favorendo la diffusione dell’odio che prende specificamente di mira gli ebrei.

Il caso di Rooney è piuttosto semplice, nonostante i suoi poveri tentativi di aggrapparsi all’illusione di essere in una posizione eticamente superiore. La scrittrice, il cui è appena uscito terzo libro Beautiful World, Where Are You, ha detto alla casa editrice israeliana Modan Publishing che ha pubblicato i suoi due precedenti lavori che non avrebbe permesso loro di pubblicare quest’ultimo. Rooney ha detto che non vuole pubblicare il suo libro in ebraico né in Israele perché sostiene il movimento BDS che propugna la cessazione di tutti gli affari e i contatti con lo stato ebraico a qualunque livello. Rooney si è detta spinta a farlo da un rapporto diffamatorio pubblicato da Human Rights Watch che etichetta falsamente Israele come uno “stato dell’apartheid”. Successivamente la scrittrice ha goffamente cercato di aggiustare un po’ il tiro con una e-mail al New York Times in cui dice di non essere contraria alla pubblicazione dei suoi scritti in ebraico di per sé, ma che non vuole “accettare un nuovo contratto con una società israeliana che non prende pubblicamente le distanze dall’apartheid e non sostiene i diritti del popolo palestinese sanciti dalle Nazioni Unite”. In un ulteriore chiarimento, ha affermato che lo fa per “rispondere all’appello della società civile palestinese” ed esprimere solidarietà “alla sua lotta per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza”.

La scrittrice Sally Rooney

Due cose sulla questa posizione di Rooney vanno comprese chiaramente. Primo, che l’obiettivo del BDS non è correggere le politiche di Israele verso la Cisgiordania e lo stato terrorista di Hamas a Gaza, né sostenere l’indipendenza della Palestina come parte di una soluzione a due stati. Lo scopo del movimento BDS è abolire Israele in quanto unico stato ebraico del pianeta (basta ascoltare quello che dice il co-fondatore Omar Barghouti ndr). Secondo, che i discorsi sull’apartheid non sono altro che una distorsione della situazione anomala che perdura nei Territori dove i palestinesi hanno ripetutamente rifiutato le più avanzate e concrete proposte di indipendenza e di pace, nonché una descrizione profondamente falsa e insostenibile della vita delle minoranze arabe all’interno dell’unica democrazia in Medio Oriente.

Non a caso, come ha riportato il Guardian, Rooney è stata uno dei tanti letterati che a maggio hanno firmato una “lettera contro l’apartheid” che indicava come inizio del “dominio coloniale dei coloni israeliani” il 1948 (e non il 1967, l’anno in cui Israele assunse il controllo della Cisgiordania difendendosi dall’aggressione araba della guerra dei sei giorni), e definiva “un massacro di palestinesi” gli sforzi di Israele di difendere i suoi cittadini (ebrei e arabi) da più di 4.000 razzi e missili terroristici lanciati da Hamas. In parole povere, quella lettera non era solo un compendio di menzogne anti-israeliane e stereotipi antisemiti, ma era incompatibile con qualsiasi nozione di pace che non implichi la distruzione di Israele. Ciò significa che gli editori israeliani, per conformarsi alla definizione di Rooney del “prendere le distanze dall’apartheid”, dovrebbero aderire alla richiesta di eliminare la loro nazione.

Ben Cohen e Jerry Greenfield intervistati da Alexi McCammond

Appena un po’ più sottile ma non meno indicativa è stata la spiegazione che hanno dato Cohen e Greenfield del parziale boicottaggio di Israele promosso dall’azienda di gelati che hanno fondato e successivamente ceduto alla Unilever Corporation. In un’intervista con Axios trasmessa su HBO, la coppia ha cercato di difendere la decisione del Consiglio “etico” che hanno voluto creare quando hanno venduto l’azienda. Hanno sostenuto che la decisione di abbandonare il loro partner israeliano e vietare la vendita dei loro prodotti nelle parti di Gerusalemme che furono illegalmente occupate dalla Giordania dal 1949 al 1967 così come in Cisgiordania, costituisce nulla più che una protesta contro quelle che ritengono politiche illegali di Israele. Ma quando la giornalista di Axios Alexi McCammond ha chiesto loro perché pensano che sia giusto boicottare Israele ma non altri stati e paesi le cui politiche considerano illegali, i due si sono visibilmente impappinati. Perché, ad esempio, ha chiesto McCammond, non interrompono la vendita dei loro gelati nel Texas che ha approvato una legge contro l’aborto considerata anticostituzionale da tutti i progressisti, o nella Georgia che ha approvato una legge elettorale considerata così iniqua da spingere la Major League di Baseball a spostare il suo All-Star Game 2021 da Atlanta a Denver? La risposta a queste domande è stato un imbarazzato silenzio seguito da una risatina nervosa. “Non lo so – ha infine risposto Cohen – È una domanda interessante. Non so cosa otterrebbe. Stiamo lavorando su questi temi, sui diritti di voto. Penso che lei ha effettivamente posto una buona domanda. E penso che dovrei sedermi e pensarci un po’ su”. All’insistenza dell’intervistatrice sul caso del Texas e delle sue nuove leggi sull’aborto, Cohen ha risposto: “Con questo ragionamento non dovremmo vendere nessun gelato da nessuna parte. Ho da ridire con ciò che viene fatto in quasi tutti gli stati e paesi”.

Manifestazione BDS in Times Square, a New York. Sul cartello: “Io non riconosco Israele”

Naturalmente, Ben & Jerry’s non smetterà di vendere i suoi gelati in Texas e in Georgia. La loro postura virtuosa sull’ambientalismo e altre cause di moda si è dimostrata parecchio redditizia per la loro azienda e non metteranno in pericolo i loro profitti ritirandosi da mercati dove guadagnano alla grande. Ma non è un caso se Israele è il paese che viene sempre preso di mira dai cosiddetti difensori dei diritti umani per i suoi presunti crimini, mentre vengono bellamente ignorate altre nazioni che sono vere tirannie. Israele è l’unica nazione al mondo che ha dato origine a un movimento mondiale che mira alla sua distruzione. Solo gli ebrei e i diritti degli ebrei vengono trattati in questo modo. Vale a dire che il BDS, qualunque forma assuma, è intrinsecamente antisemita. E il fatto che sia sostenuto anche da alcuni ebrei, come Cohen e Greenfield, o da gruppi con nomi ebraici come Jewish Voices for Peace che diffondono versioni moderne della calunnia del sangue, non conferisce nessuna patente di credibilità a un movimento che prende di mira gli ebrei con odio e discriminazione.

Sulla gran parte dei principali mass-media e nella società liberal benpensante, il BDS viene ancora trattato come una legittima protesta e non come il movimento antisemita che è. Ma le azioni di persone come Rooney e Ben & Jerry’s smascherano l’inganno. Coloro che pensano che gli sforzi di Israele per difendersi dalla guerra contro la sua esistenza e per affermare i diritti degli ebrei siano gli atti più intollerabili che accadono in tutto il pianeta non devono potersi atteggiare a campioni del bene. Sia attivamente che passivamente, sono complici di una campagna di odio con un obiettivo antisemita – la distruzione dell’unico stato ebraico – che essenzialmente giustifica la violenza terroristica. Chi opta per un comportamento così spregevole merita lo stesso disprezzo e lo stesso boicottaggio che vorrebbero sobillare contro Israele ed ebrei.

(Da: jns.org, 12.10.21)