Ancora una volta l’Autorità Palestinese dimostra che non vuole davvero uno stato indipendente

Anche se lo stato palestinese non è dietro l’angolo, uno sviluppo economico oggi aumenterebbe la concreta fattibilità di uno stato domani. Allora perché la dirigenza palestinese si rifiuta di andare in Bahrain a discutere di questo sviluppo?

Di Evelyn Gordon

Evelyn Gordon, autrice di questo articolo

Il rifiuto dei palestinesi di partecipare al workshop economico sponsorizzato dagli Stati Uniti in Bahrain il 25-26 giugno è stato considerato da molti come una ragionevole reazione all’improbabilità che il piano di pace del presidente Usa Donald Trump (la cui sezione economica verrà illustrata al workshop) possa soddisfare le loro rivendicazioni. Invece non è altro che un’ulteriore prova che la dirigenza palestinese in realtà non vuole uno stato, o perlomeno non uno stato concretamente realizzabile. Giacché, infatti, anche se lo stato palestinese non è imminente, uno sviluppo economico oggi aumenterebbe senz’altro la concreta fattibilità di uno stato futuro.

La consapevolezza di questo concetto è precisamente ciò che guidò la leadership sionista sia negli anni prima della fondazione di Israele sia in quelli immediatamente successivi. La comunità ebraica pre-statale era in forte contrasto con i governanti inglesi del Mandato a causa delle loro molteplici violazioni delle promesse contenute nella Dichiarazione Balfour del 1917, nella Risoluzione di San Remo del 1920 e nel Mandato della Società delle Nazioni sulla Palestina del 1922. Ad esempio, le continue riduzioni da parte britannica del territorio assegnato alla “sede nazionale ebraica” e la continua riduzione dell’immigrazione ebraica, culminata come è noto nel blocco praticamente totale dell’ingresso degli ebrei in fuga dai nazisti. Ciononostante, la leadership pre-statale sionista accolse comunque con favore e collaborò attivamente con gli sforzi britannici di sviluppare il paese, consapevole che ciò avrebbe avvantaggiato lo stato ebraico una volta che fosse stato fondato (a dispetto dei notevoli sforzi della Gran Bretagna per impedirlo). E quattro anni dopo la nascita di Israele, con una decisione estremamente controversa e sofferta il governo israeliano accettò persino le “riparazioni” per la Shoà versate dalla Germania pur di ottenere i fondi di cui aveva disperatamente bisogno per favorire lo sviluppo del nuovo stato.

15 giugno, manifestazione a Ramallah: “Il piano Trump è nato morto”

La conferenza nel Bahrain non richiede all’Autorità Palestinese un compromesso morale così lacerante. Il suo obiettivo dichiarato è semplicemente quello di aumentare gli investimenti nell’economia palestinese, principalmente da parte dei paesi arabi e del settore privato. Quindi, se l’Autorità Palestinese volesse davvero gettare le basi per uno stato viable (concretamente realizzabile), quello che dovrebbe fare è partecipare alla conferenza e discutere le proposte. Sostenere che questo in qualche modo indebolirebbe le sue posizioni negoziali è una stupidaggine, giacché la partecipazione non le impedirebbe di respingere qualsiasi proposta che avesse implicazioni politiche.

Non è la prima volta che il comportamento dell’Autorità Palestinese dimostra che uno stato che funzioni (in quanto opposto ai semplici emblemi e addobbi della statualità) non è ciò che vuole realmente. L’esempio più clamoroso è la sua gestione della questione dei profughi. La comunità internazionale ha sempre affermato che lo stato palestinese è necessario, in parte, per dare soluzione al problema dei profughi palestinesi. Lasciamo stare per un momento il fatto che, secondo la definizione usata dalle Nazioni Unite per tutti tranne che i palestinesi, la maggior parte dei quasi 5,5 milioni di “profughi” palestinesi non sarebbero nemmeno definiti tali. Resta il fatto che circa la metà di quei 5,5 milioni di persone vive da 25 anni sotto governo palestinese.

Vignetta palestinese su Arabi21 (21.5.19): l’anziano profugo rifiuta si svendere il “diritto al ritorno” dicendo: “ci sono cose che non si possono comprare”. Notare la mappa della rivendicazione palestinese: Israele è cancellato dalla carta geografica

In effetti, circa il 40% di tutti i palestinesi di Cisgiordania e striscia di Gaza (dunque, in Palestina) sono registrati come “profughi”. Eppure in questi 25 anni né la l’Autorità Palestinese né Hamas (che controlla Gaza dal 2007) hanno mai tolto neanche una di queste persone dai campi profughi. E nessuno dei due governi palestinesi si è mai assunto la responsabilità finanziaria per loro. Anzi, una delle poche cose su cui entrambi i governi rivali di Fatah e Hamas concordano pienamente è che la comunità internazionale deve essere totalmente responsabile per l’istruzione, l’assistenza sanitaria e il benessere dei profughi attraverso le donazioni all’Unrwa, l’agenzia Onu appositamente creata per loro e solo per loro. In altre parole, il futuro stato palestinese, già riconosciuto come tale da oltre due terzi del mondo, insiste di non avere nessuna responsabilità per un colossale 40% della sua popolazione, che vive sotto il suo controllo. Questo, per usare un eufemismo, non è esattamente il comportamento di chi vuole diventare uno stato indipendente funzionante.

Un altro esempio notevole è la crisi in corso sulle tasse che Israele riscuote per conto dell’Autorità Palestinese. Recentemente (e molto tardivamente) il governo israeliano ha deciso di dedurre da questa somma l’ammontare che l’Autorità Palestinese spende per incentivare il terrorismo anti-israeliano pagando ai terroristi detenuti dei vitalizi, che oltretutto sono assai più alti della media degli stipendi palestinesi. Per tutta risposta, l’Autorità Palestinese si è rifiutata di accettare tutto il trasferimento fiscale da Israele. Dal momento che questi trasferimenti fiscali finanziano più della metà del budget dell’Autorità Palestinese, la decisione ha messo in scena quella che persino il New York Times ha definito “una scelta da kamikaze”. Tra l’altro, l’Autorità Palestinese ha tagliato del 50% le retribuzioni dei dipendenti pubblici (una batosta esacerbata dalla recente notizia che due anni fa il governo palestinese ha elargito ai propri membri un aumento del 67%), e ha interrotto l’invio di pazienti palestinesi negli ospedali israeliani per cure non disponibili in quelli palestinesi.

Vignetta sull’account Twitter Palinfo (23.5.19): il palestinese disdegna le offerte economiche. Notare la mappa della rivendicazione palestinese: Israele è cancellato dalla carta geografica

Si noti che di per sé la detrazione israeliana avrebbe creato al massimo un modesto guaio finanziario, poiché ammontava a meno del 5% del budget dell’Autorità Palestinese. E forse non avrebbe creato nessun guaio del tutto, dal momento che sia l’Unione Europea (con alcune condizioni) sia gli stati arabi (senza condizioni) si erano offerti di compensare il deficit. Ma l’Autorità Palestinese ha respinto entrambe le offerte. In altre parole, l’Autorità Palestinese avrebbe potuto ricevere le sue entrate per intero senza nemmeno dover modificare la sua politica dei vitalizi a favore dei terroristi. Invece ha scelto di devastare la sua economia e la sua società pur di rifiutare qualsiasi soluzione che non vedesse Israele obbligato ad accettare i premi in denaro agli assassini dei suoi cittadini. Anche questo non sembra esattamente il modo in cui si comporta chi vuole creare davvero uno stato funzionante.

Naturalmente, la prova più chiara del fatto che la dirigenza palestinese non vuole davvero uno stato è il suo continuo rifiuto di ogni offerta di compromesso, sia israeliana che internazionale. Una dirigenza che mira davvero a ottenere uno stato non continua a respingere le offerte solo perché non riescono a soddisfare il 100% delle sue rivendicazioni. Anche qui, la leadership sionista pre-statale offre un esempio istruttivo: poiché voleva davvero uno stato, disse più volte “sì” a offerte molto più discutibili e deludenti di quelle che i palestinesi hanno rifiutato.

La parte più sorprendente di tutto questo è che il resto del mondo, benché insista di volere uno “stato palestinese viable”, cioè concretamente realizzabile (per citare la politica ufficiale dell’Unione Europea), continua a incoraggiare questo comportamento palestinese: nel caso specifico, giustificando apertamente il rifiuto dell’Autorità Palestinese di presenziare al workshop nel Bahrain. Il resto del mondo dovrebbe invece dire all’Autorità Palestinese ciò che le ha detto Washington: che dovrebbe cogliere ogni opportunità di sviluppo economico perché senza tale sviluppo non c’è alcuna possibilità che un futuro stato palestinese sia effettivamente realizzabile. Sarebbe soltanto l’ennesimo stato fallito.

(Da: jns.org, 19.6.19)