Aprire gli occhi sullantisemitismo mediorientale

Dovrebbe essere un compito ovvio di giornalisti degni di questo nome

Da un articolo di Joel Rubinfeld

image_1373L’antisemitismo, aborrito in occidente, è forse meno censurabile quando proviene da oriente? Questa è la domanda che ci si potrebbe porre quando vediamo le notizie in tv o scorriamo i giornali europei e non troviamo traccia dell’ideologia antisemita che, al di là del conflitto territoriale, domina gli atti di Hezbollah e Hamas.
Vi sono senz’alto dei giornalisti europei che dicono pane al pane, e ad esempio chiamano terrorista un terrorista, e denunciano a chiare lettere l’antisemitismo celebrato dagli islamisti mediorientali. Ma molti dei loro colleghi hanno smesso di farlo, facendo ricorso a parole come “militanti” e “movimenti politici” o persino “resistenza” e “organizzazioni sociali”. E’ vero che pure la Hitlerjugend aveva anche una funzione sociale.
L’analogia è pertinente: al giorno d’oggi, molto più che gli skinhead che si vedono qua e là in Europa e negli Stati Uniti, sono i barbuti libanesi e palestinesi – questi uomini che vediamo fare orgogliosamente il saluto romano durante le loro parate militari a Gaza e in Libano – sono loro quelli che si sono dati i compiti del Terzo Reich. E la guerra che stanno conducendo contro Israele è una guerra antisemita: da una parte, contro gli ebrei israeliani e, dall’altra, contro gli ebrei in tutto il mondo.
Giacché un’accusa così grave non può essere fatta alla leggera, ascoltiamo che cosa ha da dire in proposito il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, che ha la reputazione di essere uno che fa quello che dice e che dice quello che fa. Il 19 luglio 2006 un razzo Katyusha colpì la città israeliana di Nazareth uccidendo due fratellini di tre e sette anni, Ravia e Mahmoud Taluni. Il giorno successivo, sulla tv al Jazeera, Nasrallah porse le sue scuse alla famiglia dei due bambini. Non perché fosse improvvisamente colpito da rimorso nel vedere le immagini di decine di vite annientate dai suoi missili, ma perché i due bambini israeliani, Ravia e Mahmoud, non erano ebrei. Il leader islamista ci offre qui una versione contemporanea della selezione che aveva luogo durante la seconda guerra. Per Nasrallah, come per Hitler, solo in bambini ebrei sono quelli che devono morire.
Un’altra idea folle accomuna i due uomini: tutti gli ebrei devono morire. Le parole di Nasrallah nel 2002 non potrebbero essere più esplicite: “Se tutti gli ebrei si riunissero in Israele, questo ci risparmierebbe la fatica di dare loro la caccia in giro per il mondo”. E infatti, mentre aspettava l’ipotetica immigrazione di massa, Nasrallah agì in conformità alle sue parole quando, nel 1994, terroristi Hezbollah fecero saltare in aria il centro comunitario ebraico a Buenos Aires uccidendo 87 persone.
Troviamo gli stessi ingredienti nella Carta di Hamas che, va ricordato, è il partito attualmente al potere nell’Autorità Palestinese. “Con il loro denaro gli ebrei hanno preso il controllo dei mass-media mondiali… Con il loro denaro, hanno scatenato rivoluzioni in varie parti del mondo… Gli ebrei sono dietro alla rivoluzione francese, alla rivoluzione comunista e alla maggior parte delle rivoluzioni di cui abbiamo sentito e sentiamo… Con il loro denaro, hanno formato società segrete come la Massoneria, i Rotary Club, i Lions ecc. in diverse parti del mondo allo scopo di minare la società… Con il loro denaro, sono riusciti a controllare paesi imperialisti e istigarli a colonizzare molti paesi allo scopo di sfruttarne le risorse e diffondere la corruzione… Non c’è guerra in corso in cui non vi sia la mano degli ebrei”.
Se fosse appena consapevole di questa retorica di sinistra memoria, l’opinione pubblica europea sicuramente si scandalizzerebbe e probabilmente vedrebbe sotto un’altra luce il conflitto che contrappone le Forze di Difesa israeliane e gli eredi spirituali di Adolf Hitler. Dunque, come mai questo silenzio da parte di tanti giornalisti cui pure non mancano le parole quando si tratta di criticare Israele?
Criticare la politica israeliana non è certo in sé un fatto reprensibile, né sul piano legale né su quello morale. Ciò che è discutibile è selezionare Israele, è il trattamento speciale cui viene sottoposto lo stato degli ebrei. Giacché come diavolo si può spiegare che una nazione che copre lo 0,0001% della superficie del pianeta, i cui abitanti ammontano a un millesimo della popolazione mondiale e che, secondo il rapporto annuale della Freedom House, è uno degli stati più democratici del mondo, come mai questo paese attira così tanta attenzione dai mass-media mentre una regione come il Darfur (ma porremmo allo stesso modo citare il Tibet, la Cecenia, la Birmania o il destino dei curdi in Siria) è teatro di dieci “Qana” al giorno da almeno tre anni e resta luminosamente assente? Vi sono diverse possibili spiegazioni.

Militanza. Alcuni giornalisti sono motivati da una quantità di ragioni ideologiche per cui, pur essendo ben consapevoli delle miserabili condizioni delle popolazioni del Medio Oriente, ritengono giusto optare per il campo dei nemici di Israele che, ai loro occhi, assurge a simbolo del neo-colonialismo e dell’imperialismo (curioso, se si considera che la superficie di Israele – pari a quella del New Jersey [o di una regione italiana medio-grande] – è fronteggiato da un blocco arabo 676 volte più grande). Per questi professionisti dell’informazione, schierarsi nella lotta giustifica il silenzio o il mascheramento di un certo numero di dolorose verità. Quella sulla morte del piccolo Mohammed Al-Dura è un esempio; le foto ritoccate della Reuters e dell’Associated Press sono l’esempio più recente.

Antisemitismo. Per altri, l’antisionismo è una comoda copertura di un impresentabile anti-ebraismo. Dal momento che quest’ultimo, nei nostri paesi, è considerato un delitto, sostituiscono l’individuo (ebreo) con lo Stato (ebraico). Naturalmente costoro negheranno con forza queste accuse tanto è vero che, alibi o paradosso, non è raro vederli spargere calde lacrime sulle vittime della Shoà. Ma la sola vista dei figli di coloro che scamparono alla Shoà, che si difendono armi in pugno dallo stesso progetto genocidi, è per loro insopportabile.

Conformismo. Per superficialità, ignoranza o viltà molti giornalisti, pur non condividendo in alcun modo l’impegno dei primi e gli insani sentimenti dei secondi, si accontentano di accodarsi obbedienti al gregge condotto da quei “pastori”.

Tutti e tre questi atteggiamenti appaiono piuttosto abominevoli. Tuttavia, se è poco realistico sperare di ragionare coi militanti e con gli antisemiti, il tentativo che merita sicuramente d’essere fatto è quello di scuotere i conformisti. Bisogna appellarsi alla loro coscienza, invocare il codice etico e professionale. Oppure, più semplicemente, invitarli a digitare “Hamas charter” su Google affinché la smettano di scimmiottare inconsapevolmente la tv Al Manar di Hezbollah.

(Da: YnetNews, 18.09.06)

Nella foto in alto: Un’adunata Hezbollah in Libano