Ascesa e caduta di Fatah

E nellera Hamas l'Autorità Palestinese ripete gli stessi errori

Da un articolo di Barry Rubin

image_1634Quasi quarant’anni fa il gruppo Fatah prendeva il comando del movimento nazionalista palestinese. Quel lungo regno è finito la settimana scorsa quando Fatah ha accettato di partecipare come membro di minoranza alla coalizione di governo dell’Autorità Palestinese guidata da Hamas. L’ascesa e la caduta di Fatah costituisce uno dei più grandi fallimenti della storia recente, sebbene presenti anche qualche elemento di successo.
Fatah ha certamente reso globale la questione palestinese, accumulando appoggi o per lo meno simpatie internazionali. Tuttavia la disastrosa leadership di Yasser Aarafat ha guidato il gruppo lungo i binari del terrorismo, dell’estremismo e dell’intransigenza. A quasi mezzo secolo dalla sua fondazione, Fatah non ha ottenuto uno stato e non ha portato alcun vantaggio materiale al popolo i cui interessi dichiara di rappresentare.
In un periodo in cui il declino di Fatah era già ben visibile, il momento di svolta più evidente fu la sua sconfitta ad opera di Hamas nelle elezioni del gennaio 2006. Né l’establishment del suo regime, l’Autorità Palestinese, che governava su quasi tutti i palestinesi di Cisgiordania e striscia di Gaza, né i miliardi di dollari degli aiuti internazionali (dissipati in corruzione e incompetenza), né il patrocinio degli Stati Uniti, e nemmeno il completo ritiro di Israele dalla striscia di Gaza e la consegna del confine fra essa e l’Egitto furono in grado di salvare Fatah da quella sconfitta.
Come è potuto accadere? E’ una storia lunga e complicata. Ma fra tutti, spiccano quattro fattori che caratterizzano ancora oggi il movimento nazionale palestinese nel suo complesso.
Innanzitutto c’era l’estremismo dell’obiettivo di perseguire la sconfitta e l’annichilimento di Israele, anziché la fine del conflitto con il raggiungimento di uno stato palestinese in Cisgiordania/striscia di Gaza. Sebbene vi siano oggi esponenti di Fatah che preferirebbero una soluzione di compromesso, essi restano una minoranza e non si battono realmente per affermare le loro posizioni all’interno del gruppo. Fatah non ha mai realmente offerto alla sua gente – né lo fa oggi – una visione alternativa basata sulla coesistenza pacifica e sul ritorno dei profughi all’interno dello stato palestinese (e non di Israele).
In secondo luogo c’era l’estremismo dei metodi, il deliberato uso del terrorismo per mobilitare emotivamente i palestinesi e costringere Israele alla resa. Il terrorismo è sempre stato al centro della strategia di Fatah, un fatto che l’ha profondamente corrotta sia in termini morali che politici.
Terzo, c’era la leadership di Arafat, un uomo di grandi capacità ed enormi limiti. Arafat evitò deliberatamente ogni processo di istituzionalizzazione, si servì dell’anarchia e promosse attivamente la corruzione. Dopo la sua morte, e in conseguenza di essa, né Fatah né l’Olp né l’Autorità Palestinese, tutte governate da lui, disponevano di una gerarchia organizzata o di un apparato decisionale efficiente. Il successore di Arafat, se così lo vogliamo chiamare, è Mahmoud Abbas (Abu Mazen), un uomo che alberga alcuni sentimenti moderati ma che è debole, inefficace e che praticamente fa suo quasi tutto il programma tradizionale di Fatah. Il vero capo di Fatah è Farouk Kaddoumi, l’uomo che ha sempre respinto il processo di pace degli anni ’90. La sua popolarità riflette i fondamenti politici su cui si regge Fatah.
Infine, c’era la smaccata arroganza di Fatah, un gruppo che non ha procurato praticamente nulla alla sue gente un fatto di vantaggi o servizi, e che tuttavia dava per scontato che avrebbe goduto del suo sostegno all’infinito. Ad un convegno poco prima delle elezioni del gennaio 2006, dopo che avevo elencato un’impressionate serie di ragioni per cui Hamas avrebbe vinto, un propagandista di Fatah, uno dei più moderati del gruppo, non trovò di meglio che dichiarare: “Il popolo voterà per Fatah e tutto andrà a posto”.
La sconfitta elettorale è stata resa molto peggiore dal dilagante frazionismo di Fatah, che ha moltiplicato i candidati in gara l’uno contro l’altro disperdendo i voti e aumentando in questo modo il margine di vittoria di Hamas.
Nei quindici mesi trascorsi da allora, Fatah non ha fatto una sola riforma, non uno sforzo che fosse uno per combattere la dilagante corruzione, né ha saputo cooptare nella dirigenza la leva dei dissidenti più giovani. Non ha articolato nessuna vera alternativa alle posizioni di Hamas, e ha solo cercato di competere con essa dimostrando quanto fosse militante e disposta all’uso della violenza. Una strategia perdente.
La scorsa settimana è stato attuato l’accordo fra Fatah e Hamas mediato dai sauditi. Fatah ha accettato il ruolo di partner di minoranza rispetto ai suoi rivali islamisti, su delle basi che riflettono abbastanza il modo di vedere di Fatah ma che sono assai distanti dall’immagine moderata che Fatah vuole dare di sé in occidente. La nuova coalizione non accetta tutti gli accordi fatti in passato durante il processo di pace, compresi quelli che garantivano le basi per l’esistenza stessa dell’Autorità Palestinese e degli aiuti internazionali che riceveva. Il nuovo governo rifiuta l’esistenza di Israele e una soluzione di compromesso, e continua a usare quotidianamente violenza e terrorismo. Vediamo giusto qualche esempio.
Lo scorso giugno forze di Hamas hanno apertamente partecipato, e la sua dirigenza ha apertamente sostenuto, un raid oltre confine durante il quale sono stati uccisi dei soldati israeliani e ne è stato sequestrato uno, tutt’ora trattenuto in ostaggio. L’Autorità Palestinese non ha condannato l’aggressione, non ha punito i responsabili e non ha liberato il soldato in ostaggio. Ogni giorno vengono lanciati razzi verso obiettivi civili israeliani da forze alleate di Hamas che non vengono condannate, né fermate, né punite dall’Autorità Palestinese. Lo scorso 19 marzo un cecchino di Hamas ha sparato e ferito un operaio della società elettrica israeliana su suolo israeliano. Sono tutti atti di guerra o terrorismo condonati o addirittura perpetrati dal partito al governo dell’Autorità Palestinese.
D’altra parte il governo Hamas-Fatah non ha nemmeno fermato l’anarchia e lo spargimento di sangue fra le due fazioni all’interno di Gaza. Lo scorso 21 marzo, ad esempio, miliziani di Hamas hanno circondato la casa di un capo della milizia di Fatah e hanno sparato razzi anti-carro dentro l’abitazione. Ne è seguita l’ennesima ondata di sequestri reciproci. Finora sono almeno cinque, fra cui un bambino di due anni, i palestinesi uccisi negli scontri fra opposte fazioni dopo la nascita del governo di unità nazionale.
Gli errori fatti per decenni dalla leadership di Fatah vengono dunque ripetuti, ed anzi intensificati, nella nuova era Hamas. Il risultato è che qualunque possibilità di pace viene allontanata di altri decenni.

(Da: Jerusalem Post, 25.03.07)