Assassini prezzolati

Perché la pace sia possibile, devono cessare gli incentivi economici al terrorismo

Editoriale del Jerusalem Post

Dalla pagina Facebook di Fatah (13.1.17): il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen posa con un bambino che tiene un’immagine di un raduno di Fatah dove si vedono poster dello stesso Abu Mazen e di Dalal Mughrabi, la terrorista che guidò uno dei più sanguinosi attentati della storia d’Israele (37 civili morti, fra cui 12 bambini)

Israele è stanco morto del ciclo apparentemente senza fine di uccisioni terroristiche che è costretto a subire e di cui giustamente incolpa l’incessante indottrinamento all’odio e alla violenza operato dall’Autorità Palestinese, a cominciare da quell’Abu Mazen che ne è il presidente da più di un decennio.

Il mondo è annoiato dal conflitto arabo-israeliano, mentre la sua attenzione è calamitata da una nuova ondata di terrorismo internazionale. Gli attentati dello “Stato Islamico” (ISIS) in tutta Europa non sono causati dall’istigazione palestinese, ma da una correlata propaggine della cultura islamista: l’obiettivo dichiarato dell’ISIS è stabilire un califfato attraverso la jihad (guerra santa), e non solo contro Israele ma il mondo intero.

Tuttavia, se il mondo vuole la pace c’è una cosa relativamente semplice che può iniziare a fare: far sì che l’Autorità Palestinese la smetta di pagare salari e stipendi ai terroristi e alle loro famiglie.

Ben venga l’impegno del neo presidente americano Donald Trump a collaborare con Israele per risolvere il conflitto con i palestinesi. Staremo a vedere se è vero – come sembrano credere parecchi politici israeliani, in particolare di destra – che Trump, da presidente, non sosterrà la creazione a breve di uno stato palestinese a ridosso di Israele. I suoi continui riferimenti a quello che definisce un “accordo definitivo” e la nomina di suo genero Jared Kushner come inviato per la pace potrebbero significare altrimenti. Ma una cosa è certa. Perché la pace sia possibile, il sostegno ai terroristi e i premi alle loro famiglie devono cessare.

La scorsa settimana, il corrispondente diplomatico del Jerusalem Post Herb Keinon ha rivelato che l’Autorità Palestinese spende circa un miliardo di shekel all’anno in stipendi che versa ai terroristi detenuti nelle carceri israeliane e alle famiglie dei terroristi rimasti uccisi mentre perpetravano i loro attentati. Il terrorista che l’8 gennaio scorso a Gerusalemme ha travolto e ucciso con un camion quattro reclute e ne ha ferite altre 17 viene indicato da tutta la pubblicistica dell’Autorità Palestinese come un “martire”. La sua famiglia riceverà d’ora in poi una prebenda a vita oltre a una somma forfettaria di circa 6.300 shekel, stando a quanto riferisce Palestinian Media Watch.

Dalla pagina Facebook del presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen (6.1.17): Abu Mazen scopre la targa che intitola una via di Beit Sahour in onore di Hilarion Capucci, l’arcivescovo greco-cattolico che negli anni ’70 venne sorpreso mentre contrabbandava armi a favore dei terroristi sfruttando il proprio status diplomatico

Secondo un rapporto pubblicato di recente dal Jerusalem Center for Public Affairs, “l’Autorità Palestinese versa ogni anno – direttamente e, a partire dal 2014, in parte attraverso organismi dell’Olp – circa 1,1 miliardi di shekel (più o meno 300 milioni di dollari) in stipendi a terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, continuando a farlo anche dopo che sono stati scarcerati, e alle famiglie di terroristi morti e di altri palestinesi deceduti combattendo contro il sionismo”.

Esiste una scala di livelli salariali per i terroristi detenuti corrispondente alla lunghezza della pena, che va dai 1.400 shekel al mese per quelli condannati fino a tre anni di carcere, ai 7.000 shekel al mese per quelli in carcere da 15-20 anni, fino a 12.000 shekel al mese per quelli detenuti da oltre 30 anni (il che significa che più efferato e sanguinoso è stato il delitto, più alto è il premio). Anche gli assegni assicurati ai detenuti scarcerati vanno dai 1.500 dollari per quelli che sono stati in carcere da uno a tre anni, fino ai 25.000 dollari per i terroristi rilasciati dopo 30 anni.

Tutte queste retribuzioni, si noti, ammontano a circa il 7% del bilancio dell’Autorità Palestinese, e a più del 20% degli aiuti che essa riceve da governi stranieri. Sono soldi che finanziano il terrorismo. Quando gli attentatori e le loro famiglie vengono in questo ricompensati, altri palestinesi che stanno meditando di compiere un attentato possono cancellare dalla loro lista una grossa preoccupazione: qualunque cosa succeda loro, ci sarà chi si prenderà cura dei loro famigliari. Questo assicura un approvvigionamento continuo di assassini a pagamento.

Se Abu Mazen glorifica i terroristi che uccidono israeliani innocenti definendoli “santi martiri” e intitola strade e istituzioni pubbliche in loro onore, non c’è da meravigliarsi che la cultura palestinese rifletta questo atteggiamento e che tanti giovani palestinesi siano spinto a commettere atti di terrorismo.

Ecco dove Trump può essere d’aiuto. L’America è uno dei principali paesi donatori ai palestinesi. Se è importante aiutare i palestinesi a creare le istituzioni e le infrastrutture che un giorno saranno necessarie per uno stato indipendente, dall’altra parte il mondo dovrebbe esigere dai palestinesi che cessino definitivamente di pagare i terroristi. Fermare questi pagamenti contribuirebbe ad avviare la tanto necessaria trasformazione culturale all’interno della società palestinese. E finalmente si potrebbe dire al popolo palestinese che il terrorismo non paga (letteralmente). Questo è il primo passo verso una vera pace: un passo che Trump può aiutare i palestinesi a intraprendere.

(Da: Jerusalem Post, 22.1.17)