Assuefatti al vittimismo

Il palestinese che mostra senso politico e disponibilità al compromesso perde l’appoggio della sua gente

di Dan Schueftan 2/2

image_2635Gli estremisti palestinesi approfittano fino in fondo della debolezza intrinseca della società palestinese. Sapevano che sarebbe bastato inventare un’accusa immaginaria, come quella degli ebrei che starebbero attentando alle fondamenta della moschea di al-Aqsa per farla crollare e costruire sulle sue rovine il nuovo Tempio, per garantire ampio sostegno popolare ai teppisti che si apprestavano a prendere a pietrate i fedeli ebrei durante la festa di Sukkot.
I leader estremisti, anche se non sembrano più in grado di scatenare le masse per una sommossa nelle piazze, tuttavia sono in grado di costringere la dirigenza nel solito schema della pubblica solidarietà e della paralisi diplomatica. E se i palestinesi in Cisgiordania sono stufi di queste provocazioni, si può sempre contare sul fatto che il Movimento Islamico in Israele arruoli alla causa l’intera leadership araba israeliana, dal parlamentare arabo Ahmed Tibi sino alle figure più “moderate”: tutti uniti nella sagra della propaganda di odio per “difendersi” dai complotti degli ebrei.
In questa atmosfera, Fayyad e Abu Mazen non hanno alcuna chance di ingaggiare un dialogo produttivo con Israele sia perché il loro spazio di manovra non fa che restringersi, sia perché Israele capisce che essi non sono in grado di condurre la loro società ad accettare un accordo su un compromesso concretamente possibile.
E se tutto questo non bastasse, la gestione palestinese del rapporto Goldstone ha rivelato un’altra grave lacuna strutturale. L’intera società palestinese – nella striscia di Gaza, in Cisgiordania e in Israele – si è assuefatta ad atteggiarsi a vittima suprema: il che comporta la delegittimazione dell’esistenza stessa dello stato ebraico.
Nel momento in cui la più classica propaganda antisemita palestinese riguardo ai “crimini” di Israele” viene accolta con la massima cortesia da un giudice ebreo negligente e scorretto che opera al servizio di un organismo esplicitamente ostile a Israele, i palestinesi non potevano non essere della partita. Abu Mazen capiva che sarebbe stato opportuno focalizzarsi sul dialogo con Israele e assicurarsi l’aiuto di un presidente americano convinto che risolvere la questione palestinese sia cruciale per la pace mondiale e per gli interessi statunitensi. E i rappresentanti americani gli spiegarono risolutamente che il festival Goldstone non avrebbe fatto altro che intralciare gli sforzi degli Stati Uniti per spingere Israele ad accettare l’auspicato accordo coi palestinesi. Per questo Abu Mazen accettò di posporre il dibattito all’Onu sul rapporto.
Ma la reazione della società palestinese a questa scelta ha messo in mora gli argomenti diplomatici di Abu Mazen rispetto dell’ossessivo bisogno dei suoi compatrioti di assumere il ruolo delle vittime sulla scena internazionale.
Il problema non è il tentativo di Hamas di presentare Abu Mazen come un traditore, o l’intrinseca irresponsabilità della dirigenza araba eletta in Israele. È vero che Hamas, Tibi e tanti altri hanno tutto l’interesse a dimostrare che rifiutano Israele più di Abu Mazen; ma non potrebbero costringerlo a capovolgere la sua politica se queste loro accuse non godessero di così ampio sostegno.
Abu Mazen ha dovuto prenedere atto che il suo tentativo di reclutare l’appoggio degli Stati Uniti alla causa palestinese ha indignato la sua gente: in sintesi, una persona che non si identifica con i teppisti violenti di Gerusalemme, e che non approfitta di ogni possibilità per delegittimare Israele e la sua lotta al terrorismo, non può essere leader dei palestinesi.
Abu Mazen in realtà ha capito che senza eliminare il terrorismo di Hamas non avrà nessuna chance di procurare una vita migliore alle prossime generazioni dei palestinesi, ma non può far altro che mettersi alla testa della campagna tesa a garantire totale immunità a quello stesso terrorismo a fronte delle contromisure di Israele.
Il problema di Israele non è che non c’è nessun palestinese con cui discutere un accordo costruttivo. Il problema è che quando appare un palestinese che mostra responsabilità politica, questi non può più parlare a nome del suo popolo.

(Da YnetNews, 13.10.09)

Parte 2/2. Per la prima parte di questo articolo vedi:
L’eterno errore dell’estremismo palestinese

https://www.israele.net/articolo,2634.htm

Nella foto in alto: Propaganda sui muri di una scuola palestinese: la mappa che rappresenta le rivendicazioni territoriali del revanscismo palestinese prevede costantemente la totale cancellazione dello stato di Israele