Attentato a Tel Aviv e processo di pace

Che ci vengano almeno risparmiate le espressioni di condanna...

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_590Scrive Yediot Aharonot: L’attentato terrorista (di venerdì sera a Tel Aviv) era puntato contro l’Autorità Palestinese quanto contro Israele. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il primo ministro israeliano Ariel Sharon hanno ora una causa in comune contro le organizzazioni estremiste del terrorismo che vogliono far naufragare il processo di pace appena germogliato. Sono incoraggianti le condanne dell’attentato venute dall’Autorità Palestinese, ma attenzione: se Abu Mazen non vuole vedere le aree sotto Autorità Palestinese trasformate in un secondo Iraq, deve agire in modo rapido e deciso. Per fare i conti con coloro che usano il terrorismo e con i focolai del terrorismo nei territori, ad Abu Mazen verrà dato abbastanza tempo, ma non un tempo illimitato.

Scrive Hatzofeh: Questi i fatti: dei palestinesi hanno perpetrato la strage razzista nel cuore di Tel Aviv; l’organizzazione che ha perpetrato l’attentato era palestinese; l’assassino era palestinese. Ma noi diamo la colpa alla Siria. Perché? Perché questo ci permette di continuare a chiudere gli occhi e andare avanti con la stupida e scellerata politica di espellere ebrei da Gush Katif (striscia di Gaza).

Scrive Ha’aretz: Nei momenti di lutto è assai difficile vedere il mezzo bicchiere pieno. Tuttavia, uno sguardo ponderato sulle migliori condizioni di sicurezza degli ultimi mesi ci dice che l’autocontrollo militare e la cooperazione con il governo di Abu Mazen hanno già dato i loro frutti. Probabilmente occorre uno sforzo maggiore, forse con aiuti internazionali, per fermare il flusso di denaro verso Hezbollah che permette al terrorismo di continuare. In passato, fiammate di terrorismo hanno troncato più di un progetto politico. Ma anche nei momenti peggiori, l’opinione pubblica israeliana nella sua maggioranza non ha mai smesso di sostenere il ritiro dai territori. Il 67% della gente esprime appoggio al piano di disimpegno da Gaza, stando a un sondaggio condotto la settimana scorsa dal Cartographic Institute. Questo appoggio non dipende dalla rabbia e dal dolore per le perdita di vite umane, ma piuttosto da una spassionata visione della realtà e della necessità che ha il paese di un confine difendibile.

Scrive il Jerusalem Post: Che ci vengano almeno risparmiate le espressioni di condanna. Le condanne dell’attentato da parte dell’Autorità Palestinese, che non ha mosso un dito per prevenirlo, sono fiato sprecato. Ora altri quattro israeliani sono morti, e tanti altri feriti e mutilati, per un altro attentato suicida il venerdì sera nel cuore di Tel Aviv. E ancora ne moriranno se il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen continuerà a sottrarsi alle misure che deve prendere. Il test più semplice di tutto questo è la questione dell’istigazione. Non crediamo che la difficoltà di arrestare terroristi e confiscare armi sia una buona scusa per non farlo, soprattutto nel momento in cui Israele sembra sul punto di lacerarsi pur di sgomberare insediamenti unilateralmente. Se l’esitazione nasce dalla difficoltà di ricorrere alle maniere forti contro i “fratelli palestinesi”, come è allora possibile che le stesse autorità siano così pronte a emettere sentenze di ergastolo e di morte contro palestinesi “collaborazionisti”?

(Da: Yediot Aharonot, Hazofeh, Ha’aretz, Jerusalem Post, 27.02.05)

Nella foto in alto: Le vittime dell’attentato terrorista palestinese di venerdì sera a Tel Aviv.