Attenti a quelle false narrazioni estremiste, sia di sinistra che di destra

Israele continua ad essere un luogo libero, illuminato, creativo ed entusiasmante: non si permetta alle false dicotomie della propaganda elettorale di deturpare questa nobile realtà

Di David M. Weinberg

David M. Weinberg, autore di questo articolo

La prossima campagna elettorale in Israele non è ancora ufficialmente iniziata, ma è già in pieno svolgimento la propaganda negativa. La sinistra ha già rilanciato un vecchio e frusto ritornello elettorale: che è in gioco “l’anima democratica ed ebraica” di Israele perché la destra riporterà Israele al medioevo. La destra sta già spargendo l’indegno messaggio secondo cui la “coalizione per il cambiamento” di Bennett-Lapid ha svenduto Israele agli arabi e se rieletta rappresenterà la fine del sionismo. Entrambe sono narrazioni false e nocive che fanno solo male a Israele. Entrambi questi discorsi delegittimanti vanno assolutamente evitati.

Un esempio del primo tipo di discorso è apparso in un articolo pubblicato all’estero la scorsa settimana dallo stimato autore e giornalista israeliano Yossi Klein Halevi dell’Hartman Institute. Il suo articolo gonfia a dismisura l’angoscia per i rovinosi pericoli che correrebbe Israele se venisse eletto un governo “terrificante”, e cioè “una coalizione antidemocratica di partiti ultra-nazionalisti e ultra-ortodossi” guidata dall’ex primo ministro e leader del Likud Benjamin Netanyahu. “Una vittoria della coalizione di Netanyahu – continua Klein Halevi – consegnerebbe il potere a forze che disprezzano le norme democratiche e i diritti delle minoranze”. L’autore contrappone questo scenario al governo uscente Bennett-Lapid che “aveva la profonda missione di affermare la doppia identità di Israele come stato ebraico e democratico”.

Ebbene, personalmente condivido il dispiacere di Yossi Klein Halevi per la fine del governo uscente. Avrei voluto che durasse più a lungo. Ha ottenuto risultati significativi, non ultimo l’abbassamento dei toni della retorica politica in questo paese e il tentativo di varare una promettente collaborazione con un partito arabo islamista. Inoltre, non credo che un altro ristretto governo Netanyahu, in coalizione principalmente con partiti ultra-ortodossi, servirebbe al meglio Israele in questo momento. E dissento fortemente dalla retorica divisiva di Netanyahu.

“Prossimamente?”. Le probabile quinta tornata di elezioni anticipate in tre anni e mezzo, nella vignetta di Shlomo Cohen

Detto questo, però, non è vero che il governo Bennett-Lapid avesse la profonda missione di affermare la doppia identità di Israele come stato ebraico e democratico. È carino che Klein Halevi la metta in questi termini, ed è una missione che condividerei pienamente. Ma con tutta evidenza quel governo è nato aggrappandosi a qualsiasi coalizione politica possibile pur di destituire Netanyahu dall’incarico di primo ministro, punto. Il reclutamento del partito arabo islamista Ra’am non è stata una scelta di principio, ma di necessità. E sarebbe stato impensabile e politicamente impossibile se Netanyahu non avesse aperto lui per primo la porta a questa eventualità, nella sua disperata ricerca di un governo di coalizione durante la quale fece ricorso a un approccio a Ra’am senza precedenti.

Non basta. Tutti i sondaggi mostrano che, quand’anche Netanyahu avesse la possibilità di formare il prossimo governo, dovrà in ogni caso coinvolgere nella sua coalizione formazioni e personalità più o meno centriste (alcune delle quali fanno parte del governo attuale) che eserciteranno un’influenza moderatrice. E potrebbe persino dover fare affidamento sullo quello stesso partito arabo islamista Ra’am. Quindi, è solo sfrenato allarmismo dipingere il futuro di Israele nelle tinte più fosche possibile se Netanyahu dovesse formare un altro governo. Questi avventati discorsi non fanno che alimentare la delegittimazione di Israele, sempre più diffusa nei circoli liberal all’estero. Di più. Gettano le basi per l’intervento di soggetti esterni “più saggi” per “salvare Israele da se stesso”: un altro mantra trito e deleterio del discorso progressista. Ci si guardi bene da questi presunti “salvatori” esterni, dei quali temo che sentiremo molto parlare nei prossimi mesi di campagna elettorale.

Dall’altra parte, è essenziale respingere l’accusa secondo cui il governo Bennett-Lapid avrebbe tradito il sionismo abbracciando Mansour Abbas di Ra’am e destinando miliardi di shekel all’avanzamento dei settori arabo e beduino in Israele. Al contrario, questa era la cosa giusta da fare e da parecchio tempo (che poi, a dirla tutta, i precedenti governi Netanyahu si erano mossi in questa stessa direzione approvando budget più consistenti che mai per l’istruzione e il lavoro nel settore arabo israeliano, inclusa Gerusalemme est). Inoltre, Mansour Abbas è un leader arabo israeliano di tutto rispetto e coraggioso, che ha pronunciato parole importanti sul riconoscimento dell’identità ebraica di Israele. Una delle tragedie della disgregazione dell’attuale governo è che l’approccio positivo di Mansour Abbas potrebbe andare perso. Ra’am potrebbe persino non riuscire a superare il quorum per entrare nella prossima Knesset perché non è stato al governo abbastanza a lungo per mostrare concreti vantaggi per il settore arabo israeliano, e perché il suo discorso a favore dell’impegno politico all’interno di Israele potrebbe essere stato troppo in anticipo sui tempi della comunità araba israeliana.

La Knesset in seduta plenaria

È anche importante respingere le accuse del Likud secondo cui il governo Bennett-Lapid avrebbe indebolito Israele nell’arena diplomatica e della difesa. Al contrario, il governo (ahimè, di breve durata) ha dimostrato che ci può essere sicurezza per Israele anche senza Netanyahu al timone, che il terrorismo palestinese e l’aggressività iraniana possono essere efficacemente contrastati anche senza Netanyahu al timone, che gli Accordi di Abramo possono essere sviluppati e i legami con Washington e l’Occidente possono essere rafforzati anche senza Netanyahu sulla poltrona di primo ministro.

Insomma, tutto considerato gli israeliani non dovrebbero tollerare né i tambureggianti allarmi sui “pericoli per la democrazia israeliana” fatti dalla sinistra contro la destra, né le ingannevoli malignità su propensioni anti-sioniste e anti-ebraiche fatte dalla destra contro il centro e la sinistra. Un altro governo del Likud non sarà “guidato da Smotrich e Ben-Gvir” (come ha sostenuto Yair Lapid riferendosi a due parlamentari di estrema destra che probabilmente sarebbero alleati del Likud) più di quanto un altro governo Bennett-Lapid sarebbe “sottomesso agli arabi” (come ha accusato Netanyahu). È rozzo e indecente ritrarre la società israeliana come spaccata in due narrazioni in totale conflitto fra loro. Quella di una sinistra israeliana morale, liberal, democratica e universalista contro una destra israeliana immorale, illiberale, isolazionista e iper-nazionalista. E quella di una sinistra israeliana disfattista, pagana e anti-sionista contro una destra israeliana patriottica, ispirata e fiera. Queste sono false dicotomie, ritratti fittizi della società israeliana. Non devono essere accettati come base della prossima campagna elettorale.

Si tenga piuttosto un degno e civile dibattito su importanti questioni di politica pubblica, sulle quali esiste un continuum di opinioni, diverse ma legittime e rispettabili, che sfidano la grezza categorizzazione democratici/antidemocratici, ebraici/anti-ebraici, sionisti/anti-sionisti. Non tutte le controverse proposte politiche del lato conservatore sono motivate da odio, insensibilità morale o autoritarismo. Non tutte le accomodanti politiche socio-economiche, culturali o diplomatiche dal lato liberal derivano da debolezza, pusillanimità o perdita di identità. Israele è e continua ad essere un luogo libero, illuminato, creativo ed entusiasmante. Non si permetta alla propaganda elettorale estremista di deturpare questa nobile realtà.

(Da: Jerusalem Post, 24.6.22)