Attivista sudafricana: “La sofferenza del mio popolo sotto l’apartheid viene usata per criminalizzare Israele”

Yoseph Haddad, arabo israeliano: “Questi rapporti, prodotti per giustificare budget scandalosamente esagerati e totale mancanza di risultati, rendono l’Onu parte del problema anziché della soluzione”

Di Tovah Lazaroff

Tovah Lazaroff, autrice di questo articolo

La sofferenza dei neri in Sud Africa sotto il regime dell’apartheid è diventata uno strumento antisemita con cui delegittimare Israele. Lo ha affermato l’attivista cristiana nativa di Johannesburg Olga Meshoe Washington. “La storia e l’esperienza della mia gente – ha detto Olga Meshoe Washington intervenendo lunedì a un evento organizzato a Ginevra dalla ong “UN Watch” – vengono usate come uno strumento antisemita per delegittimare politicamente, moralmente e legalmente Israele con mirabolanti contorsioni giuridiche, nella speranza di criminalizzare lo stato ebraico”.

L’incontro si è tenuto in occasione del dibattito del Consiglio Onu per i diritti umani sul primo di quello che sarà una serie potenzialmente infinita di rapporti annuali della “Commissione d’inchiesta internazionale indipendente sui territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est, e in Israele”, altrimenti nota come Commissione d’inchiesta Onu su Israele. La Commissione, guidata dall’ex Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, si ripromette di indagare anche su asserite discriminazioni contro gli arabi israeliani che vivono all’interno di Israele. Il mandato della Commissione d’inchiesta Onu non menziona esplicitamente l’accusa di apartheid contro Israele, ma i rappresentanti israeliani e i critici della Commissione sono convinti che il suo lavoro serva a gettare le basi per portare avanti tale accusa in futuro.

Olga Meshoe Washington

Intervenendo all’incontro di Ginevra, l’esperta legale di “NGO Monitor” Ann Herzberg ha affermato che “accusare Israele di apartheid è chiaramente nell’agenda del Consiglio Onu per i diritti umani: quello che stanno facendo è montare il caso”.

La saggista ed ex parlamentare laburista israeliana Einat Wilf ha tracciato un parallelo tra l’accusa di apartheid e la guerra d’indipendenza del 1948: come allora i paesi arabi cercarono con quella guerra di annientare alla nascita lo stato ebraico, ha spiegato Wilf, così i moderni nemici di Israele usano l’etichetta dell’apartheid per affermare che uno stato ebraico è illegittimo come tale all’interno di qualunque confine.

Olga Meshoe Washington, direttrice della ong sudafricana DEISI International (che promuove rapporti e investimenti con Israele in opposizione alla campagna BDS), ha ribadito che la situazione in Israele è assolutamente incomparabile con quella che vigeva in Sud Africa, tanto che è stata coniata una nuova definizione di apartheid per consentire che quella che era una evidente “menzogna” vecchia di decenni, originariamente concepita dalla propaganda sovietica e araba, venisse riesumata oggi contro Israele. Questa manipolazione è particolarmente preoccupante, ha continuato Olga Meshoe Washington, giacché “banalizza e sminuisce le umiliazioni e le ingiustizie sofferte dai neri sudafricani che hanno subìto il vero apartheid e che ne portano ancora, insieme ai loro discendenti, le cicatrici. La manipolazione cancella l’esperienza molto reale e cupa dell’efferatezza dell’apartheid, una realtà che comporta, ad esempio, madri che ancora oggi non sanno quale sia stata la sorte dei loro figli. L’uso dell’accusa di apartheid come arma contro Israele da parte delle Nazioni Unite, e ora della Commissione d’inchiesta – ha aggiunto l’attivista sudafricana – copre di ridicolo le Nazioni Unite, contraddice il loro obiettivo di difendere i diritti umani e crea un formidabile ostacolo a una futura pace israelo-palestinese”.

L’incontro di lunedì a Ginevra. Da sinistra: Olga Meshoe Washington, Yoseph Haddad, Hillel Neuer direttore di UN Watch, Einat Wilf

Non basta. Oggi, ha spiegato Olga Meshoe Washington, 44 dei 54 paesi africani hanno instaurato  piene relazioni diplomatiche con Israele, complete di accordi di cooperazione in fatto di istruzione, difesa, agricoltura, hi-tech, salute, finanza. Questa realtà, tuttavia, non si riflette negli schemi di voto dei paesi africani alle Nazioni Unite, nonostante quei paesi abbiano instaurato stretti legami con le nazioni occidentali che “hanno colonizzato e schiavizzato la nostra gente, massacrandoci come animali. Come africani, abbiamo assecondato il concetto moralmente e giuridicamente traviato secondo cui Israele sarebbe colpevole di apartheid, colonizzazione e genocidio. A che pro? Oggi l’Africa è nell’occhio del ciclone globale del terrorismo e la schiavitù dilaga in non meno di cinque paesi africani, alcuni dei quali hanno avuto un seggio nel Consiglio Onu per i diritti umani”.

L’attivista arabo-israeliano per i diritti umani Yoseph Haddad, CEO della ong Together–Vouch for Each Other (Insieme-Garantirsi l’un l’altro), è intervenuto all’evento di “UN Watch” dicendo di essere sinceramente “stufo dell’ossessione” delle Nazioni Unite contro Israele, che impedisce di far arrivare le risorse a coloro che operano per creare davvero ponti fra ebrei e arabi israeliani. “Lasciatemi dire a questa Commissione d’inchiesta che io sono un arabo israeliano con eguali diritti in base la legge dello stato d’Israele – ha detto Haddad, che fra l’altro ha prestato servizio nella Brigata Golani delle Forze di Difesa israeliane – Il rapporto di questa Commissione, nella sua essenza, ha completamente frainteso il conflitto, attribuendo erroneamente a Israele ogni e qualunque malanno sociale che colpisce i palestinesi. In nessun punto di questo rapporto hanno affrontato fra le ‘sottese cause profonde’ il rifiuto dei palestinesi di riconoscere il diritto del mio paese ad esistere, o il fatto che i palestinesi hanno rifiutato ripetute proposte di pace, o l’istigazione all’odio all’interno della società palestinese, o la corruzione della dirigenza palestinese. No, hanno dato tutta la colpa a Israele”. Yoseph Haddad ha accusato il Consiglio Onu per i diritti umani di finanziare la Commissione d’inchiesta su Israele anziché occuparsi della reclusione forzata dei musulmani uiguri in Cina, degli abusi contro le donne ad opera dei talebani in Afghanistan e della sponsorizzazione del terrorismo globale da parte dell’Iran. L’Onu, ha spiegato, è diventata parte del problema anziché della soluzione. E ha concluso: “La pace verrà fatta da arabi ed ebrei sul campo, non dai rapporti prodotti dall’Onu per giustificare i suoi budget scandalosamente esagerati e la totale mancanza di risultati concreti”.

(Da: Jerusalem Post, 13.6.22)