Attivisti anti-israeliani contro il dialogo e la pace. E contro i palestinesi

Relatori arabo-israeliani, rumorosamente osteggiati da agitatori prevenuti, hanno fatto un lavoro straordinario contro calunnie e demonizzazione. Ma non basta

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

E’ stato un evento emozionante e assai insolito. Cinque arabi israeliani – cristiani, musulmani, beduini, drusi – e un residente di Gerusalemme est hanno parlato in una sinagoga liberal ortodossa, nel centro di Manhattan. Non viviamo in uno stato di apartheid, hanno detto, ognuno a modo proprio, al folto pubblico che ha partecipato all’evento. E’ stata un’esperienza di quelle che aiutano a riflettere, visto che per la maggior parte coloro che vi hanno assistito sono abituati a sentirsi dire il contrario: rappresentanti di gruppi pro-palestinesi e anti-israeliani, anche provenienti da Israele, vengono regolarmente ospitati nei campus e nei centri comunitari in America.

L’evento, organizzato da Reservists on Duty (una ong israeliana che si batte contro la campagna di boicottaggio BDS), è andato come previsto. L’ultimo a prendere la parola è stato Bassam Eid, un ex ricercatore dell’organizzazione israeliana di sinistra B’Tselem. A quel punto improvvisamente qualcuno è balzato dal fondo urlando qualcosa di poco chiaro e dopo aver disturbato per un paio di minuti è stato allontanato dalla sala. Si è poi saputo che si trattava di uno studente venuto dai Territori a studiare negli Stati Uniti. Era entrato solo per sabotare l’evento.

La delegazione arabo-israeliana che ha tenuto un tour di conferenze negli Stati Uniti

Diversi minuti dopo è iniziata la sessione dedicata alle domande del pubblico. “Voi siete qui e dire che Israele è meraviglioso. E allora perché i soldati israeliani hanno ucciso un ragazzo di 12 anni?” ha gridato una persona, senza specificare di quale caso stesse parlando e in quale contesto. Faceva parte di un gruppo di attivisti anti-israeliani che a quanto pare si erano infilati nell’auditorium. Non sono stati espulsi, e l’ospite ha cortesemente promesso loro una risposta. Ma quando una delle componenti della delegazione ha cercato di rispondere, non ha potuto farlo: il tizio che aveva gridato la domanda ha continuato a urlare e a interromperla, e gli altri del suo gruppo si sono uniti a lui inveendo in arabo. Alcuni di loro ha anche gridato parole come sharmuta (puttana, in arabo) mentre un altro li spalleggiava con slogan antisemiti. Nessuno di costoro era interessato al dialogo e al dibattito. Non erano minimamente interessati alle risposte. Volevano solo sabotare l’evento. Questa volta non ci sono riusciti: dopo diversi minuti di agitazione, sono stati allontanati dalla sala con l’aiuto degli agenti della polizia di New York.

Gli oratori della delegazione non erano per nulla stupiti. Avevano sperimentato disordini dello stesso genere sin da quando hanno iniziato il loro tour di conferenze e incontri negli Stati Uniti. I membri dello schieramento anti-israeliano non sono disposti a sentire voci che confutano le loro calunnie su apartheid e demonizzazione. Per quanto li riguarda, chiunque non definisca Israele un paese criminale che non ha diritto di esistere, deve essere semplicemente zittito.

L’ufficiale israeliano: “C’era un’intera famiglia, come hai potuto sparare?!”. Il capo terrorista: “C’era un’intera famiglia, come hai potuto mancare il colpo?!”

Lo stesso giorno dell’evento in cui l’agitatore anti-israeliano faceva riferimento al non meglio specificato “ragazzo di 12 anni”, l’UNICEF (il Fondo Onu per l’infanzia) pubblicava un rapporto sulle vittime dei conflitti armati, inclusi i minori. Secondo il rapporto, all’inizio del XX secolo solo il 5% delle vittime di guerra era composto da “innocenti” (non combattenti). Le guerre venivano combattute fra gli eserciti e la morte di civili era un effetto collaterale secondario. Nella prima guerra mondiale, il 15% dei decessi riguardava civili. Verso la fine della seconda guerra mondiale il numero era salito al 60%. La situazione ha continuato a deteriorarsi e negli anni ’90 del secolo scorso la quota di civili innocenti vittime di guerra era salita al 90%. Con tutto il rispetto per la fonte del rapporto, la questione è controversa ed esistono dati diversi. Ma anche coloro che non condividono questa analisi complessiva (e ricordano ad esempio le stragi di civili dei secoli precedenti) concordano sul fatto che negli ultimi decenni la maggior parte dei morti e feriti in guerra ha riguardato innocenti. Secondo un rapporto pubblicato dalla rivista medica Lancet, la percentuale di minorenni uccisi in Iraq dopo l’invasione del 2003 è stata superiore alla loro quota relativa nella popolazione.

Nella maggior parte dei conflitti non si dispone di informazioni affidabili e del tutto accurate. Si ragiona sulla base di stime. Non è così nel caso del conflitto israelo-palestinese, dove ogni singola vittima viene riportata con nome, sesso, età, luogo e contesto dell’incidente. L’analisi dei dati provenienti da fonti palestinesi e da B’Tselem rivela che il numero di minorenni colpiti è molto inferiore alla loro quota relativa nella popolazione, e molto inferiore a quella di tutti gli altri conflitti della nostra epoca.

Fin dove si spinge la calunnia. La didascalia dice: “Ecco cosa ha visto il personale medico dopo che l’esercito israeliano ha lasciato questa casa di Gaza”. Ma le foto sono quelle dei bambini della famiglia Fogel ammazzati insieme a padre e madre, nella loro casa a Itamar l’11 marzo 2011, da due terroristi palestinesi. Chi ha messo in circolazione il falso non si è nemmeno preso la briga di cancellare la tipica mezuzah ebraica sullo stipite della porta nella foto in basso. Cliccare per ingrandire. Attenzione: contenuto crudamente esplicito

Ogni minorenne colpito è una tragedia. E certamente non consola il fatto che la Nato, l’esercito americano e l’esercito britannico abbiano colpito molti più minorenni, o decisamente molti più minorenni. Ma una persona che urla di “un ragazzo di 12 anni ucciso da Israele” evidentemente non vuole sapere nulla delle Forze di Difesa israeliane e degli sforzi che fanno, più di qualsiasi altro esercito, per cercare di evitare vittime innocenti (dovendosi spesso confrontare, oltretutto, con forze terroristiche che fanno spudoratamente uso dei civili come scudi umani). Quella persona e i suoi sodali sono solo impegnati a tentare di fare il contrario: convincere il mondo libero che Israele si dedica al massacro di persone innocenti. Tra lo sforzo israeliano di evitare vittime innocenti e lo sforzo anti-israeliano di diffondere una calunnia, è quest’ultimo che ha la meglio.

I membri della delegazione arabo-israeliana sono tornati in Israele pochi giorni fa. Hanno fatto un lavoro straordinario. Li ho potuti ascoltare. Ma certamente non basta. Occorre fare molto di più per combattere coloro che diffondono calunnie. La demonizzazione, sia contro gli ebrei che contro gli arabi, non favorisce mai la riconciliazione. Al contrario, perpetua l’odio. E allontana la pace. Quindi la battaglia contro le calunnie fatta dai membri della delegazione arabo-israeliana è una battaglia per la riconciliazione e la pace. Per questo non è solo una battaglia a favore di Israele: è anche una battaglia a favore dei palestinesi.

(Da: YnetNews, 8.11.17)