Bambini palestinesi: le vittime del vero apartheid (arabo)

Le organizzazioni che ostentano grande indignazione per le sofferenze dei palestinesi resteranno zitte, come al solito, di fronte a questa tragedia solo perché il bambino è morto in un paese arabo, e non si può incolpare Israele?

Di Khaled Abu Toameh

Khaled Abu Toameh, autore di questo articolo

Mohammed Majdi Wahbeh, un bambino palestinese di tre anni del campo profughi di Nahr al-Bared, nel nord del Libano, è l’ultima vittima delle leggi discriminatorie e segregazioniste che colpiscono i palestinesi che vivono in un paese arabo. Il piccolo Mohammed è morto lo scorso dicembre dopo che gli ospedali libanesi si sono rifiutati di curarlo perché i suoi genitori non erano in grado di coprire i costi dell’assistenza sanitaria. Secondo quanto riportato dai mass-media libanesi, un ospedale ha chiesto alla famiglia del bambino di pagare 2.000 dollari per ammetterlo al ricovero. Il bimbo è rimasto in coma per tre giorni prima di morire, ma nessun ospedale ha accettato di ricoverarlo perché i genitori non potevano sostenere le spese sanitarie.

La morte del piccolo palestinese, avvenuta all’ingresso dell’ospedale, ha suscitato un’ondata di rabbia fra molti libanesi e palestinesi. Rivolgendosi al ministro della salute libanese Ghassan Hasbani, la giornalista libanese Dima Sadek ha scritto su Twitter: “Signor Ministro, da cittadini le chiediamo: perché un bambino di tre anni è morto all’ingresso di un ospedale, e chi ha dato l’ordine di negargli le cure? Il suo Ministero ne è forse responsabile? Da quand’è che una malattia fa distinzione tra un bambino palestinese e uno libanese? Qual è la sua responsabilità, riguardo a questo crimine?”. L’affermata giornalista e conduttrice televisiva libanese Neshan Der Haroutiounian ha postato sui social network un video del bimbo morto, disteso su un letto d’ospedale con accanto la nonna in lacrime. Nel video, la nonna si lamenta dicendo: “A nessuno importa di noi palestinesi”. In un tweet che accompagna il video, la giornalista ha scritto: “Questo bambino palestinese è morto in Libano. Aveva tre anni”.

Il tweet della giornalista libanese Rabia Zayyat

Rabia Zayyat, un’altra famosa giornalista libanese, ha espresso su Twitter la sua indignazione: “Oh mio Dio! Come può un bambino morire all’ingresso di un ospedale a causa di una manciata di dollari? Se l’ospedale non ha avuto pietà, la sua amministrazione non avrebbe potuto telefonare a qualche funzionario per chiedere di coprire le spese sanitarie del bambino anziché coprire le spese per una festa o un banchetto? Come si può continuare a vivere in un paese che non riconosce i diritti umani?”. Anche Hussein Banjak, un cittadino libanese, ha espresso sdegno e disgusto per la morte del bambino dovuta all’impossibilità della famiglia di pagare le spese sanitarie: “Quel bambino è stato ucciso nel mio paese, senza una guerra, da gente senza coscienza. È morto per 2.000 dollari: il costo delle cravatte di un dirigente, di un paio di scarpe della moglie di un leader, della boccetta di colonia per il figlio di un alto funzionario, della borsetta di una dirigente, delle medicine per il cane di un esponente di punta”.

Il Ministero della salute libanese ha dichiarato che il bambino palestinese era stato precedentemente ricoverato in tre differenti ospedali, dove era stato sottoposto a un intervento chirurgico alla testa. Secondo il Ministero, Wahbeh era stato ricoverato al Tripoli Government Hospital il 17 dicembre, e le spese mediche precedenti erano state coperte dall’Unrwa. “È morto all’interno dell’ospedale” ha affermato il Ministero, negando che il bimbo sia morto all’ingresso. La dichiarazione del Ministero incolpa l’Unrwa per essersi rifiutata di coprire le spese sanitarie per il ricovero nell’ultimo ospedale. Dal canto suo l’Unrwa (l’agenzia Onu per i profughi palestinesi) ha negato la propria responsabilità, e i suoi rappresentanti hanno sostenuto d’aver garantito la copertura medica e finanziaria per il bambino. Secondo l’Unrwa, i medici hanno cercato di trasferire il piccolo Wahbeh in un reparto di terapia intensiva di un altro ospedale, ma è stato detto loro che non c’era posto in nessun ospedale libanese. I palestinesi del campo profughi di Nahr al-Bared sono scesi in piazza per protestare contro la morte del bimbo, hanno bruciato pneumatici e bloccato le strade scandendo slogan contro l’Unrwa e le autorità libanesi per non aver salvato la vita del bambino.

La tragedia del piccolo palestinese non è la prima di questo tipo, in Libano. Nel 2011 un altro ragazzino palestinese, l’11enne Mohammed Nabil Taha, perse la vita all’ingresso di un ospedale libanese dopo che i medici si erano rifiutati di ricoverarlo poiché la famiglia non poteva permettersi di pagare le cure. Ma quest’ultima tragedia non può che ricordare a tutti l’apartheid e le discriminazioni che i palestinesi subiscono in Libano. Secondo varie organizzazioni per i diritti umani, i palestinesi subiscono discriminazioni sistematiche in quasi ogni aspetto della vita quotidiana. È vietato loro esercitare gran parte delle professioni, comprese quelle che riguardano medicina e trasporti.

Protesta di palestinesi in Libano per il diritto all’assistenza sanitaria

Secondo l’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), “per i profughi palestinesi permane il divieto giuridico di accesso a 36 professioni libere o consorziate (compresi settori come medicina, agricoltura, pesca, trasporti pubblici). Inoltre, a quanto risulta, i profughi palestinesi in Libano hanno accesso soltanto parziale al Fondo Nazionale di Previdenza Sociale. Per lavorare, i profughi palestinesi sono obbligati a ottenere un permesso di lavoro annuale. A seguito di una modifica delle legge approvata nel 2001, risulta che ai profughi palestinesi viene giuridicamente impedito di acquisire, trasferire o ereditare proprietà immobiliari in Libano”. Come non bastasse, l’UNHCR rileva anche che i palestinesi in Libano non hanno accesso ai servizi sanitari pubblici libanesi, e per l’assistenza sanitaria dipendono essenzialmente dall’Unrwa, da organizzazioni non-profit e dalla Mezzaluna Rossa Palestinese. Ai palestinesi viene inoltre negato l’accesso alle scuole pubbliche libanesi.

A quanto pare, i leader libanesi preferiscono chiudere gli occhi e mentire. Invece di ammettere che in quel paese arabo i palestinesi subiscono discriminazioni e sono soggetti a un regime di apartheid, i leader libanesi cercano di gettare ogni colpa su Israele. Molti di loro, compreso il presidente Michel Aoun, continuano ad accusare Israele di praticare il “razzismo” contro i palestinesi: accuse che rappresentano il colmo dell’ipocrisia se mosse da un paese arabo che nega ai palestinesi i diritti più elementari. Gettando ogni colpa su Israele, i leader del regime di apartheid libanese cercano di occultare i loro abusi, e le discriminazioni che subiscono i palestinesi che vivono in mezzo a loro. Un paese che nega cure mediche urgenti a un bambino di tre anni non ha il diritto di continuare a mentire al mondo sostenendo di appoggiare i palestinesi e di sostenere la loro causa.

E per finire, la domanda che sorge ogni volta che si ha notizia di tragedie di questo genere: dove sono le organizzazioni internazionali per i diritti umani e i gruppi pro-palestinesi di tutto il mondo che ostentano sempre grande indignazione per le sofferenze dei palestinesi? Resteranno anche questa volta zitte di fronte al menefreghismo con cui è stato trattato Wahbeh, solo perché il piccolo è morto in un paese arabo e Israele con c’entra nulla con la sua morte?

(Da: gatestoneinstitute.org, 3.2.19)