Ben poco da festeggiare

Perché mai l'Iran vuole arricchire l'uranio, costruire un reattore ad acqua pesante per la produzione di plutonio e limitare le ispezioni? C'è una sola spiegazione

Alcuni commenti sulla stampa israeliana

Israeli Press 2Scrive Boaz Bismuth, su Israel HaYom: «Ecco una mezza dozzina di insegnamenti che si possono trarre da questa vicenda. Primo, le sanzioni avranno anche funzionato, ma a quanto pare non abbastanza giacché l’Iran non si è affatto piegato. E questa è l’unica ragione per cui Teheran non era disposta ad accettare tutte le richieste dell’Occidente. Secondo, il programma nucleare civile iraniano non è veramente progettato per scopi civili. Altrimenti gli iraniani non sarebbero stati così irremovibili nelle loro richieste. Perché mai il regime iraniano vuole arricchire l’uranio, costruire ad Arak un reattore ad acqua pesante per la produzione di plutonio e limitare la portata delle ispezioni? C’è una sola spiegazione: perché vuole la bomba atomica. Terzo, la sorridente delegazione iraniana non era autorizzata a parlare di fine del programma nucleare. La sua missione era limitata all’obiettivo di ottenere un allentamento delle sanzioni, niente di più. Quarto, aumentare la pressione sull’Iran avrebbe spinto Teheran ad accettare le richieste dell’Occidente e a smantellare completamente il suo programma nucleare. Quella sarebbe stata l’unica azione che avrebbe sortito tale cambiamento. Quinto, il mondo si fa ipocrita quando si tratta di Israele (e questa non è una gran novità). Come al solito i negoziatori occidentali hanno continuato a sorridere ai loro interlocutori iraniani poche ore dopo che la Guida Suprema d’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, aveva ribadito a chiare lettere che Israele deve essere cancellato dalla carta geografica (come? magari col ricorso al programma nucleare iraniano? su questo non ha fornito dettagli). I negoziatori occidentali avrebbero dovuto disdegnare gli iraniani e biasimarli per quello che aveva detto il loro leader. E invece sono rimasti zitti. Sesto, le difficoltà incontrate sulla via di questo accordo lasciano capire quanto fosse pessima la bozza di accordo di due settimane prima. Si immagini cosa ne sarebbe venuto fuori se la Francia non avesse pigiato sul freno durante il primo round di colloqui. Infine, i negoziati di Ginevra dimostrano un’altra cosa: che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva visto giusto. Il mondo intero si è fatto ingannare dall’Iran. La Repubblica Islamica, usando sorrisi e improperi, ha tratto in inganno le potenze. I negoziati di Ginevra si potrebbero definire una tragedia shakespeariana, ma anche i Monty Python vi si troverebbero a loro agio». (Da: Israel HaYom, 24.11.13)

Scrive Reuven Berko, su Israel HaYom: «La minaccia di distruggere Israele è diventata così banale e abituale che non merita nemmeno una richiesta di scuse o un’interruzione dei colloqui. Eppure non uno dei partecipanti ai negoziati di Ginevra, nemmeno la baronessa Ashton, avrebbe continuato indifferente a trattare se il suo paese fosse stato minacciato di distruzione dal capo supremo dei suoi stessi interlocutori negoziali». (Da: Israel HaYom, 24.11.13)

Scrive Emily Landau, su Ma’ariv: «L’accordo interinale non è un disastro, ma certo non è un motivo per festeggiare. Non c’è alcuna ragione per credere che l’Iran agisca necessariamente in buona fede e che non cercherà di aggirare le restrizioni. Dopo anni di imbrogli e bugie davanti alla comunità internazionale, il regime iraniano ha perso ogni credibilità e dunque la vigilanza deve essere totale e le visite degli ispettori frequenti. Finché l’Iran non fa un completo dietrofront sulle sue intenzioni militari quella che continua a giocare è una partita tattica con cui cerca di ottenere il massimo allentamento delle sanzioni in cambio delle minime concessioni». (Da: Ma’ariv, 25.11.13)

Scrive l’editoriale di Ha’aretz: «Netanyahu, così come ha indotto nelle potenze mondiali un impegno per la sicurezza di Israele contro la minaccia iraniana, allo stesso modo deve ora accogliere il risultato di questi sforzi e dare una possibilità all’accordo firmato. La precipitosa reazione negativa di Netanyahu e la sua dichiarazione che Israele non è vincolato da questo accordo sono mosse distruttive. L’opposizione automatica e le minacce isolano Israele e indeboliscono la sua capacità di influenzare i futuri accordi con l’Iran, che saranno ancora più importanti di questo». (Da: Ha’aretz, 25.11.13)

Scrive Ronen Bergman, su Yediot Aharonot: «Israele ha ragione di preoccuparsi. Innanzitutto perché la sua richiesta principale, il completo smantellamento di Fordow, l’impianto fortificato sotterraneo nei pressi di Qom, non è stata soddisfatta. Secondo, perché l’accordo vale per soli sei mesi e quindi fra sei mesi l’Iran potrà riprendere lo sviluppo nucleare senza nemmeno essere accusato d’averlo violato. Terzo, perché la parte dell’accordo che riguarda le sanzioni è molto vaga: non è chiaro che sanzioni saranno revocate e come. Se si dovesse scoprire che l’Iran sta violando l’accordo o che si rifiuta di firmare un accordo permanente, la capacità di minacciarlo nuovamente con le sanzioni sarà gravemente compromessa». (Da: Yediot Aharonot, 25.11.13)

Scrive Menashe Amir, su Yisrael Hayom: «La corsa dell’Iran a Ginevra e il suo grande sforzo per non far naufragare i colloqui dimostrano quanto sia pesante la situazione economica in cui versa il paese per effetto di svariati anni di sanzioni. Le casse dello stato sono vuote tanto che il governo non può pagare i sussidi che ha promesso alla popolazione né investire nella creazione di posti di lavoro. La disoccupazione è salita in modo preoccupante poiché l’afflusso di petrodollari in Iran è praticamente interrotto. I sette miliardi di dollari che, secondo le stime americane, dovrebbero affluire ora nel bilancio dello stato iraniano non risolveranno i problemi economici se non per pochi mesi».

Scrive l’editoriale del Jerusalem Post: «In sintesi, l’accordo non smonta la gran parte dei progressi tecnologici che ha fatto l’Iran negli ultimi cinque anni e che hanno drasticamente accorciato il tempo minimo che gli ci vuole per costruire un’arma nucleare il giorno in cui la sua dirigenza decidesse di procedere. Le centrifughe, che erano qualche migliaio nel 2009 quando si insediava il presidente americano Barack Obama, sono salite a 18.000, non saranno smantellate e continueranno a girare. Addirittura, stando all’accordo, quelle che dovessero guastarsi potranno essere sostituite con centrifughe dello stesso tipo in modo tale che la capacità dell’Iran di arrivare alla bomba rimarrà intatta al livello attuale. L’Iran ha accettato di non arricchire l’uranio oltre il 5% e di convertire o diluire le scorte di combustibile più vicine al livello militare del 20%, ma dal momento che le sue centrifughe rimarranno in funzione, Teheran manterrà la capacità di produrre altro combustibile di questo livello se solo lo desidera. E potrebbe farlo clandestinamente: nell’accordo non è previsto che consenta il monitoraggio dei siti sotterranei dove la CIA, l’Europa e Israele sospettano, anche se non ne hanno la prova certa, che l’Iran stia conducendo l’arricchimento. Inoltre, non è previsto lo smantellamento del reattore ad acqua pesante presso la città di Arak, un impianto che ha l’unico scopo di produrre un’arma nucleare. E tutta questa attività nucleare militare potrà continuare mentre le potenze rinunciano a vari aspetti del meccanismo delle sanzioni, messo insieme meticolosamente e faticosamente con un lavoro di anni. È semplice smontare il meccanismo delle sanzioni; molto più difficile sarà ripristinarle se gli iraniani dovessero rinnegare la loro parte del patto. E le crepe nel regime delle sanzioni, combinate con le fortissime spinte degli interessi economici per un ritorno al “business as usual” con l’Iran, potrebbero tradursi in un allentamento della pressione economica su Teheran molto maggiore del previsto. In conclusione, l’accordo firmato a Ginevra nella migliore delle ipotesi potrà rallentare un poco e provvisoriamente i progressi dell’Iran verso la capacità di dotarsi di armi nucleari. Più probabilmente fornirà a Stati Uniti e altre nazioni occidentali la falsa impressione d’aver fatto passi avanti, mentre in realtà si garantisce agli iraniani una copertura dietro la quale possono avanzare verso la capacità nucleare. Date queste circostanze, ci pare davvero che vi sia ben poco da festeggiare». (Da: Jerusalem Post, 25.11.13)