Ben venga la chiarezza

Verso le elezioni: le fratture della sinistra israeliana di fronte a Gaza

Da un articolo di Gadi Taub

image_2395I diversi atteggiamenti rispetto alla controffensiva israeliana anti-Hamas nella striscia di Gaza ci permette, più d’ogni altra cosa, di vedere le fratture che ha subito la sinistra israeliana e di distinguere con maggiore chiarezza tra le varie posizioni che vengono generalmente accomunate sotto il termine generico di “sinistra”.
Ad una estremità dello spettro abbiamo quella che viene indicata come sinistra estremista (o post-sionista). Questa porzione del campo della sinistra, per lo più radicata negli ambienti universitari e un po’ nei mass-media, ha una duplice natura: è motivata da un potente sentimento anti-israeliano e le sue argomentazioni si basano sulla sensibilità per i diritti umani.
Dopo gli attentati dell’11 settembre e a maggior ragione dopo l’ascesa di Hamas, gran parte del prestigio di questo settore si è volatilizzato: la sua sensibilità per le violazioni dei diritti umani da parte israeliana a fronte dell’indifferenza per le (tanto peggiori) violazioni dei diritti umani da parte dei nemici di Israele ha eroso la sua credibilità all’interno della stessa sinistra israeliana. Oggi appare evidente che questa estrema sinistra è pronta a difendere anche i peggiori criminali dei diritti umani pur di gettare fango su Israele.
La campagna anti-Hamas a Gaza ha costretto gli esponenti di questa sinistra a concentrarsi sul conteggio dei morti. Ma questa volta il computo dei morti non gli è servito a granché: quaggiù era fin tropo evidente che a Israele non era rimasta altra scelta che lanciare quella controffensiva, dopo anni e anni di incessanti aggressioni contro i suoi cittadini anche all’indomani del completo ritiro israeliano dalla striscia di Gaza. Così la sinistra estremista si è trovata costretta ad affidarsi all’argomento che condivide con la sinistra meno estremista, cioè con il campo delle sinistra che è ancora a malapena un po’ sionista.
Questo settore non disprezza lo stato ebraico in linea di principio, ma lo fa in pratica: è convinto che Israele tenda a ricorrere sempre e solamente alla forza, anziché tentare le strade della pace. Da qui è venuto il tentativo di addossare a Israele la responsabilità per lo scoppio delle ostilità. Gli esponenti di questo campo ci hanno detto che Israele si è ritirato, sì, dalla striscia di Gaza, ma le ha poi imposto un tale assedio da trasformarla in una prigione a cielo aperto. E si sarebbe rifiutato di intavolare negoziati, preferendo come sempre l’opzione militare.
L’argomento, per essere creduto in Israele, necessita di un dose rimarchevole di riscrittura della storia recente. I valichi verso Gaza, qui lo sanno tutti, vennero chiusi (solo in parte e solo per certi periodi) come conseguenza dei continui attacchi missilistici, e non il contrario. In realtà, Israele lasciava aperti i valichi per la maggior parte del periodo cosiddetto di “calma”, tutte le volte che Hamas ci usava la cortesia di onorare abbastanza il cessate il fuoco. In secondo luogo, anche quando i valichi venivano chiusi, Gaza non è mai diventata una prigione e non ha mai subito un blocco israeliano. Dopotutto, confina anche con l’Egitto. In terzo luogo, Israele ha intavolato eccome dei negoziati (seppure attraverso terzi), ed è stata notoriamente Hamas quella che ha posto fine alla “tregua”.
Dunque era piuttosto difficile convincere gli israeliani che in tutta questa vicenda, dopo anni di autocontrollo (tanto da sconfinare nell’ignavia), sarebbero loro la parte bellicosa. Ed ecco perché la sinistra “a malapena sionista” questa volta è riuscita a malapena a farsi ascoltare.
La sinistra davvero sionista non s’è bevuta gli argomenti avanzati alla sua sinistra, e la maggior parte dei suoi esponenti ha sostenuto la controffensiva anti-Hamas, perlomeno in linea di principio. Però aveva ragioni assai migliori dei deboli argomenti degli estremisti: è apparso ben presto evidente che chiunque voglia promuovere la spartizione della terra deve garantire una risposta decisa alla minaccia dei missili (in presenza della quale è impossibile proporre ulteriori ritiri). E d’altra parte, se non riusciamo a dividere la terra, alla lunga il sionismo finirà col naufragare nella palude dello stato “unico bi-nazionale”. In altri termini, la sinistra davvero sionista ha davvero capito che la controffensiva era necessaria proprio per promuovere la sua agenda.
Ecco perché, in questa occasione, è venuta a galla la frattura fondamentale tra questo campo e quello estremista, cioè quello di coloro che squillano le trombe della pace, ma preferiscono indulgere in pose moralistiche quando occorre sporcarsi le mani per promuovere davvero la spartizione in due stati.
Ma anche la sinistra sionista è divisa in due settori: quelli che pensano ancora che Mahmoud Abbas (Abu Mazen) aspiri, anche lui, alla spartizione; e quelli che sanno che dovremo tirarci fuori unilateralmente dal pantano bi-nazionale, costringendo i palestinesi all’indipendenza.
In un modo o nell’altro, un’adeguata risposta alla minaccia dei missili è comunque indispensabile.

(Da: YnetNews, 29.01.09)

Nella foto in alto: Gadi Taub, autore di questo articolo