Benvenuti nella “fake history” dell’Unesco

Ma in un anno il rifiuto di sostenere le menzogne palestinesi è praticamente raddoppiato

Di Nadav Shragai

Nadav Shragai, autore di questo articolo

Molti anni fa, quando comparve davanti a una commissione d’indagine del governo mandatario britannico, il rabbino Abraham Isaac Kook si rifiutò di trattare ciò che doveva essere “scontato” – il legame degli ebrei con il Muro Occidentale (“del pianto”) e con il Monte del Tempio di Gerusalemme – sostenendo che era così ovvio che discettarne sarebbe stato come tenere in mano una candela per illuminare il sole. Tuttavia nel caso dell’Unesco, che quasi costantemente si prende cura di nascondere la verità e la luce del sole, bisogna adottare un approccio diverso.

La risoluzione votata martedì non è che la più recente di una serie di sciagurate risoluzioni approvate dall’Unesco. La Tomba di Rachele presso Betlemme non è e non è mai stata una moschea musulmana intitolata a Bilal ibn Rabah, un muezzin sepolto ad Aleppo, in Siria, che servì il profeta Muhammad.

La Grotta dei Patriarchi a Hebron, secondo la Bibbia acquistata da Abramo a Efron l’Hittita, nel corso delle generazioni è stata rubata agli ebrei dai musulmani che vietarono loro persino di accedervi (potevano pregare avvicinandosi solo fino al settimo gradino della scala d’accesso esterna). Lo status attuale del sito, condiviso dalle due religioni, è frutto di un compromesso imposto ai musulmani cinquant’anni fa quando Israele, aiutato dalle circostanze della storia, pose fine ad alcune colossali assurdità che i musulmani pensavano di poter mantenere in vigore in quel sito per l’eternità.

Il quartiere ebraico di Gerusalemme vecchia fotografato nel 1898. Si distinguono le cupole delle grandi sinagoghe Tiferet Yisrael e Hurva, distrutte durante l’occupazione della Legione Araba (clicca per ingrandire)

Gerusalemme, con tutta la sua santità, non è mai stata capitale né di diritto né di fatto di nessun regno, stato e nemmeno distretto arabo o islamico. Anche i giordani, che controllarono Gerusalemme come occupanti per quasi vent’anni, non ne fecero mai la loro capitale. Profanarono, invece, i luoghi santi degli ebrei e vietarono loro di accedervi. A quei tempi i giordani e i palestinesi, che non avevano ancora adottato questo nome per definirsi, sulle loro mappe e nei loro scritti indicavano il Monte del Tempio come il luogo del Tempio di Salomone, un fatto che ora negano spudoratamente falsificando e riscrivendo la storia.

Il mucchio di menzogne palestinesi che 22 paesi hanno sottoscritto martedì continua a crescere. Le si potrebbe semplicemente considerare evidenti panzane, facilmente confutabili facendo ricorso a fonti storiche, reperti archeologici e persino alle fonti musulmane e ai rapporti precedenti di funzionari Unesco più corretti, come il compianto professor Raymond Lamer. Il problema è che – come al solito – una bugia ripetuta abbastanza spesso finisce con l’essere accettata come una verità e, in questo caso, con l’alimentare la violenta battaglia palestinese contro l’esistenza stessa dello stato ebraico.

Nonostante la vergognosa risoluzione sia passata, questa volta Israele e i suoi diplomatici hanno guadagnato molto terreno. E’ vero che 22 paesi hanno votato a favore della distorta risoluzione, ma ben 35 paesi non l’hanno fatto: dieci hanno votato contro (tra cui Italia, Germania, Paesi Bassi, Ucraina e Togo), 22 si sono astenuti e altri tre (Nepal, Serbia e Turkmenistan) si sono assentati dal voto. Solo un anno fa, una risoluzione simile era stata sostenuta da 32 paesi. Il che significa che il sostegno alla posizione di Israele, o l’astensione dal votargli contro, è praticamente raddoppiato e si è esteso a Europa orientale, Africa e Sud America.

(Da: Israel HaYom, 3.5.17)