Breve bilancio del 2007 in Medio Oriente

I processi da tener d'occhio nell'anno a venire

Da un articolo di Barry Rubin

image_1945Sebbene, rispetto ad alcuni suoi predecessori, non abbia marcato grandi cambiamenti in Medio Oriente, l’anno 2007 ha visto emergere alcuni significativi processi verosimilmente destinati a continuare nell’anno entrante.

Il golpe di Hamas a Gaza. E’ il singolo evento più importante, per il Medio Oriento, nel 2007, giacché si tratta di uno spostamento di potere netto e probabilmente irreversibile. Si sono conclusi quattro decenni di un movimento dominato dai nazionalisti. Data la perdurante debolezza di Fatah, si può immaginare che Hamas nel giro di qualche anno finirà per assumere il controllo anche in Cisgiordania, emarginando il gruppo rivale. Per gli islamisti si tratta di una grossa vittoria. Di fatto, però, è un disastro per palestinesi e arabi: acuisce le divisioni e demolisce la loro concreta opzione diplomatica (a differenza di certi insulsi eventi che catturano il tempo e l’attenzione di governi e mass-media). La soluzione negoziata del conflitto arabo-israeliano o israelo-palestinese, e la conseguente prospettiva di uno stato palestinese, è arretrata di decenni. Persa gran parte della simpatia che avevano guadagnato in occidente. Negli anni a venire, le lotte fra nazionalisti arabi e islamisti e fra sunniti e sciiti metteranno in ombra il conflitto arabo-israeliano. Durante il 2008 bisognerà valutare se l’Autorità Palestinese, che ancora controlla la Cisgiordania, sarà in grado di reggere la sfida di Hamas. Quello che già sappiamo è che non è in grado di reggere la sfida diplomatica, ma ci vorrà tutto l’anno venturo perché la maggior parte dei politici e dei mass-media occidentali se ne renda conto.

Il successo militare del “surge” americano in Iraq. Smentendo le analisi pessimistiche, le forze statunitensi sono riuscite a ridimensionare le forze degli insorti anti-governativi e a ridurre il numero di vittime. Tuttavia si è ancora ben lontani dall’aver vinto la guerra. Durante il 2008 le due questioni chiave saranno: se inizieranno sul serio i ritiri delle truppe Usa e se si farà qualche progresso politico nel riconciliare le comunità sciita e sunnita in Iraq. Difficile immaginare quale cambiamento potrebbe portare a un tale accordo. E se anche gli insorti riescono a uccidere meno persone, è probabile che possano infliggere abbastanza danni da impedire ai sunniti di fare la pace. Comunque il governo e la società iracheni potrebbero diventare abbastanza forti da poter fare a meno di truppe combattenti Usa.

Insuccesso occidentale nel rafforzare significativamente le sanzioni contro l’Iran. Nel 2007 è apparso chiaro che i negoziati con Teheran non sono riusciti a fermare la campagna iraniana volta a dotarsi di armi nucleari. Francia, Gran Bretagna a Germania erano si’ più determinate ad adottare – o perlomeno a parlare di adottare – provvedimenti concreti, ma a causa delle loro stesse esitazioni, unite all’opposizione di Russia e Cina, si è fatto ben poco. Mista la reazione in Iran a questi eventi. Da un lato c’è stata maggiore preoccupazione per le pressioni che il paese doveva affrontare, oltre alle difficoltà economiche. Dall’altro, il regime ha espresso maggior fiducia che l’occidente fosse una tigre di carta e che il tempo lavorasse a favore dell’Iran. Nel 2008 potremo vedere se la spinta di Teheran verso le armi nucleari continuerà senza seri impedimenti. Allo stesso modo sarà possibile vedere se il presidente Mahmud Ahmadinejad risulterà indebolito dagli oppositori della sua fazione, soprattutto alla elezioni parlamentari di marzo, oppure se rafforzerà la sua presa sul potere, insistendo nel suo corso avventurista.

Ritorno della politica Americana alla sua posizione tradizionale. Quali che fossero, nel bene e nel male, le innovazioni apportate dal presidente George Bush nella politica mediorientale Americana, con il 2007 sono svanite. Bush è in gran parte tornato all’approccio tradizionale che era stato sia di suo padre che del suo predecessore. L’amministrazione Usa ha rinunciato alle riforme e alla promozione della democrazia. Nel 2008 verrà eletto un nuovo presidente, ma il vero passaggio di poteri naturalmente non avrà luogo prima del 2009.

Israele prospera. Il primo ministro Ehud Olmert, nonostante i discorsi ormai superati sulla sua debolezza, ha utilizzato il 2007 per ricostruire la sua autorevolezza. Particolarmente interessante la crescita dell’economia israeliana, con la disoccupazione scesa ai minimi storici. Lo zelo rivoluzionario e i proclami di vittoria continuano a entusiasmare Iran e mondo arabo, ma i benefici materiali restano cio’ che fa la vera differenza.

Democratizzazione del Libano. Timorose d’essere abbandonate dall’occidente, le forze che sostengono il governo moderato libanese hanno incominciato a domandarsi se in effetti Iran, Siria e Hezbollah non siano in grado di riprendere il controllo del Libano. Un elemento chiave sarà l’identità del prossimo presidente. Nel 2008 sarà importante vedere come si modificano gli equilibri di potere a Beirut, e se le indagini sul coinvolgimento siriano nel terrorismo contro le figure dell’opposizione anti-siriana libanese sfoceranno o meno in un tribunale internazionale.

Mutata posizione della Francia. Il presidente Francois Sarkozy ha smarcato la Francia dallo sforzo nazionalistico di indebolire gli Stati Uniti, accondiscendendo i regimi estremisti. Ma ha corteggiato Siria e Libia. L’interrogativo per il 2008 è: Sarkozy manterrà la promessa di essere più determinato? E le istituzioni francesi lo seguiranno nel nuovo corso?

(Da: Jerusalem Post, 24.12.07)