Buone idee (presentate male)

Spogliate da forzature xenofobe, alcune proposte di Lieberman meritano d'essere vagliate seriamente

di Yossi Alpher

image_2469Avigdor Lieberman, il nuovo ministro degli esteri israeliano, si è fatto una cattiva fama con le sue richieste politiche circa i cittadini arabi d’Israele. Lieberman vuole che gli arabi israeliani dimostrino la loro lealtà verso lo Stato prestando un giuramento e prestando un servizio nazionale, pena la perdita della cittadinanza. E vuole spostare la Linea Verde, la ex linea armistiziale 1949-’67 tra Israele e Cisgiordania, in modo che villaggi arabi delle zone del Triangolo e di Wadi Ara diventino parte della (futura) Palestina, e i loro abitanti divengano cittadini palestinesi anziché israeliani.
Nella loro essenza, spogliate delle forzature xenofobe, alcune delle idee di Lieberman meritano di essere seriamente vagliate. In effetti, anzi, nella loro essenza queste proposte politiche non sono nemmeno originariamente sue. Nel momento in cui se ne appropria in modo piuttosto distorto, Lieberman sembra animato da un rabbioso nazionalismo xenofobo che è estraneo alla tradizione israeliana, ma che funziona bene con la sua base elettorale formata innanzitutto da immigrati ex sovietici.
Tuttavia è anche vero che Lieberman reagisce al crescente estremismo presente fra i cittadini arabi israeliani, che sempre più spesso sostengono che Israele non può essere uno Stato ebraico e che deve riflettere anche la loro “nazionalità palestinese”. Cittadini arabi che, a loro volta, reagiscono sia al fallimento del processo di pace di Oslo, sia a decenni di preclusione e negligenza da parte dei governi israeliani.
Volendo sbrogliare questa escalation negativa e trovare il nocciolo positivo strumentalizzato da Lieberman, vediamo le sue proposte una per una.
Circa il giuramento di lealtà e il servizio nazionale, vale la pena notare che il super-laico Lieberman indirizza questa richiesta non solo ai cittadini arabi, ma anche ai cittadini ebrei ultra-ortodossi. In effetti, l’opinione corrente nella maggioranza degli ebrei israeliani è generalmente assai più critica verso gli ultra-ortodossi che si sottraggono al servizio militare che non verso l’esonero degli arabi: ai cittadini arabi non è mai stato chiesto di prestare servizio di leva, mentre gli ultra-ortodossi vengono richiamati salvo poi essere esonerati sulla base di una concessione politica verso il loro orientamento religioso che, nella loro prospettiva, prevale sullo Stato. Lieberman accetta anche la possibilità di un qualche tipo di servizio civile anziché militare (purché obbligatorio per tutti), un’opzione che è stata proprio di recente istituita, sebbene solo su base volontaria. I volontari del primo anno di esperienza comprendono sia arabi israeliani che ebrei ultra-ortodossi: operano in ospedali, gruppi giovanili e con le rispettive autorità municipali e di villaggio. Questi volontari trovano il servizio del tutto accettabile ed anzi desiderabile, giacché li riconnette con il loro paese e i loro concittadini senza bisogno di espressioni esteriori di lealtà verso lo Stato. Perché non rendere obbligatorio questo servizio civile per tutti coloro che non fanno il servizio militare? La misura risponderebbe a una cruciale esigenza di una società altamente pluralistica, per non dire frammentata, come quella israeliana. E renderebbe le richieste venate di xenofobia di Lieberman molto meno allettanti per gli elettori ebrei.
Passando all’idea di spostare la Linea Verde, sinceramente penso di essere stato il primo, già nel 1994, a proporre che alcuni villaggi arabi dentro Israele potessero entrare a far parte di uno scambio territoriale, a complemento di un accordo basato sulla soluzione due popoli-due stati. All’epoca alcuni sondaggi mostravano che tra un quarto e un terzo dei cittadini arabi non disprezzavano l’idea. Personalmente menzionavo sia ragioni politiche che demografiche a sostegno di tale proposta, e nessuno si sognò di accusarmi di razzismo. Dopo di allora, diversi politici di maggioranza israeliani hanno suggerito che i cittadini arabi la cui identità primaria è quella palestinese avessero la facoltà di fare domanda per la cittadinanza e il passaporto del futuro stato palestinese, anche se continueranno a vivere in Israele. La differenza fra queste proposte e quella di Lieberman è che quest’ultimo insiste sulla cancellazione della cittadinanza israeliana per gli arabi che si trovassero con le loro città e villaggi all’interno dello stato palestinese, mentre sappiamo che l’Alta Corte di Giustizia molto probabilmente accoglierebbe i ricorsi di tali cittadini che volessero mantenere la cittadinanza israeliana, giacché la cittadinanza per nascita costituisce un diritto fondamentale che i governi non possono arbitrariamente ricusare. Ciò che francesi e tedeschi hanno potuto fare in Alsazia e Lorena dopo le loro guerre non è più accettabile nell’era dei diritti umani. Tuttavia, nulla impedisce a un governo israeliano di spostare la Linea Verde nello Wadi Ara e nel Triangolo per compensare l’annessione di alcuni blocchi di insediamenti nel quadro di una soluzione concordata. Un abitante di Umm el-Fahm che si trovasse (con la sua città) all’interno dello stato palestinese non perderebbe la cittadinanza israeliana e sarebbe libero di spostarsi a Nazareth o Shfaram, all’interno della Linea Verde. Ma se restasse nello stato palestinese, i suoi discendenti non sarebbero verosimilmente più israeliani.
Non si dimentichi che Lieberman, a differenza di certi suoi colleghi della destra israeliana, è a favore della soluzione due-stati al punto che si è detto disposto, se necessario, a sgomberare anche Nokdim, l’insediamento dove egli stesso vive.
(Da: Jerusalem Post, 9.04.09)

Ha scritto il prof. Sergio Della Pergola (Università di Gerusalemme): “Ho letto con sincero disgusto il commento editoriale del Manifesto (“Due piccoli ritocchi razzisti”) al mio articolo apparso su Forward (“Lieberman’s bright idea”) nel quale discutevo l’idea di un possibile scambio territoriale fra lo Stato di Israele e il futuro Stato palestinese. L’uso da parte del Manifesto della parola “transfer” è erroneo e fazioso. La proposta di scambio territoriale implica, precisamente, il non-trasferimento delle persone, proprio per evitare ciò che i palestinesi di Israele non vogliono fare, ossia traslocare. La rinuncia di Israele alla propria sovranità su alcune centinaia di chilometri quadrati ora in suo possesso, su cui vivono cinquecentomila arabi, a favore dello Stato palestinese – in cambio di un’equivalente porzione di territorio in Cisgiordania abitata da israeliani – dimostrerebbe invece la presa di coscienza di quello che è già oggi un dato di fatto: l’identità nazionale dei palestinesi di Israele non è israeliana, ma palestinese. Le bandiere che sventolano oggi sulle case dei residenti delle località arabe in territorio israeliano non sono quelle di Israele ma quelle della Palestina. In qualsiasi paese europeo un fatto simile non sarebbe tollerato. L’Europa ha invece conosciuto infiniti ritocchi di confine, tra i quali quelli fra l’Italia e la Francia, e fra l’Italia e la Jugoslavia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Cosa c’entra il razzismo?”
(Da: L’Unione informa, 26.03.09)

Nell’immagine in alto: Mappa che mostra la posizione della città arabo-israeliana di Umm el-Fahm, a ridosso della ex linea armistiziale 1949-’67 fra Israele e Cisgiordania