Cambiamenti in vista nella politica mediorientale di Parigi

I candidati alla presidenza si dissociano dalla tradizionale posizione filo-araba francese

Da un articolo di Stephanie Levy

image_1669La politica mediorientale è stata uno dei temi al centro della campagna elettorale francese. In base ai risultati, il voto potrebbe segnare il primo grande cambiamento in quella politica negli ultimi tre decenni.
Sia Nicolas Sarkozy che Ségolène Royal, candidati rispettivamente del centro-destra e dei socialisti, hanno prospettato significativi mutamenti nella posizione di Parigi su questioni come l’Iran, il Libano, il conflitto israelo-palestinese. La loro è una reazione al regime del presidente uscente Jacques Chirac che per dodici anni, sulle orme dei suoi predecessori risalendo fino a Charles de Gaulle, ha fatto della Francia l’alleato di dittatori arabi come Yasser Arafat e Saddam Hussein. Facendo della Francia il paese occidentale più gradito agli arabi, Chirac e gli altri gollisti hanno cercato di creare uno schieramento che si contrapponesse alla grande – e, in Francia, assai disprezzata – supremazia americana. Una strategia che, secondo molti osservatori, ha procurato alla Francia scarsi benefici, sia direttamente sia in termini di una credibile politica da potenza mondiale. Quella strategia, infatti, sconta parecchie contraddizione interne. Ad esempio, la politica francese si atteggia a protettrice del Libano e nello stesso tempo rifiuta di considerare Hezbollah per quello che è: un’organizzazione terroristica che inficia pesantemente al sovranità libanese. E lo scorso gennaio Chirac ha dichiarato che un Iran dotato di bombe nucleari “non sarebbe poi tanto pericoloso”, ribaltando la precedente posizione ufficiale di Parigi.
I due maggiori quotidiani francesi, Le Figaro e Le Monde, hanno dato conto di questo dibattito recensendo un nuovo libro intitolato “Chirac d’Arabia: i miraggi della politica francese”, scritto da Eric Aeschimann e Christophe Boltanski, due giornalisti del quotidiano di sinistra Liberation. Gli autori mettono in evidenza gli errori francesi, in particolare sulla questione palestinese che Chirac vedeva praticamente solo attraverso gli occhi di Arafat. Inoltre documentano gli stretti rapporti personali fra Chirac, allora primo ministro, e Saddam Hussein a metà degli anni ’70, quando il futuro presidente francese ricevette da Baghdad sostanziosi fondi per il suo partito politico in cambio dell’appoggio francese al programma nucleare iracheno. Disse a quell’epoca Chirac: “Saddam sarà il De Gaulle del Medio Oriente”. Stessa storia, negli anni ’80, per i legami fra Chirac e il dittatore libico Muammar Gheddafi. Paradossalmente, però, quando la Libia in anni recenti decise di uscire dall’isolamento internazionale, si rivolse agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, e non alla Francia.
Fra gli aspiranti successori di Chirac, di destra e di sinistra, come peraltro in larghi settori dell’arco politico francese, l’ampio consenso sulla storica politica mediorientale del paese si sta sgretolando. I candidati si affrettano a dissociarsi dalla linea di Chirac su Siria, Iran, Israele e palestinesi.
In campo socialista, Ségolène Royal ha adottato una posizione assai dura sul programma nucleare iraniano, dichiarando che all’Iran dovrebbe essere proibito il pieno controllo sul nucleare civile giacché può servire da copertura per quello militare. Secondo la sua analisi, “la prospettiva di un Iran dotato di forza nucleare non è accettabile” dal momento che “permetterebbe l’accesso a tale forza a un governo il cui presidente minaccia apertamente l’esistenza dello stato di Israele”. Inoltre, Ségolène Royal si è dissociata dalla posizione francese filo-palestinese. Esprimendo preoccupazione per la sicurezza di Israele, si è detta a favore della costruzione di quella barriera di sicurezza tanto denigrata dai rappresentanti francesi.
Sarkozy, il candidato gollista, ha adottato una posizione strategica totalmente diversa dalla visione del Medio Oriente di Chirac. Sarkozy predilige una stretta cooperazione con gli Stati Uniti rispetto a un’alleanza con un mondo arabo che è, in una certa misura, schierato contro l’America. Su Israele, Sarkozy promette una politica più equilibrata. Il mese scorso ha detto che i dirigenti francesi dovrebbero “saper dire un certo numero di verità agli amici arabi, come ad esempio che il diritto di Israele ad esistere e a vivere nella sicurezza non è negoziabile, e che il vero nemico dei paesi arabi è il terrorismo”. Inoltre si è dichiarato pronto a difendere “l’integrità del Libano”, disarmo di Hezbolalh compreso.
Quanto poi al candidato centrista François Bayrou, pur rimanendo fedele a una concezione degli affari internazionali improntata a realpolitik da potenza mondiale, tuttavia ha detto che vorrebbe “varare una politica estera francese che abbia come tema principale il diritto alla democrazia”, e ha aggiunto: “Nessuna dittatura è accettabile, anche quando nel breve periodo sembra che possa favorire gli interessi nazionali francesi”.
Va notato che nessuna di queste prese di posizione può essere considerata come volta a catturare il voto ebraico: gli elettori musulmani in Francia sono molte volte più numerosi di quelli ebrei. Esse nascono piuttosto dalla genuina consapevolezza che le attuali politiche non hanno funzionato, ed anzi hanno minato interessi e ambizioni della Francia.
Un cambiamento nella storica politica filo-araba di Parigi potrebbe aprire nuove prospettive per il Medio Oriente. La Francia potrebbe svolgere un ruolo centrale nella difesa dell’indipendenza libanese, nel contenimento della minaccia iraniana, nella lotta contro il terrorismo, nella costruzione di forti rapporti con Israele, e giocare un ruolo decisivo negli sforzi per costruire la pace, persino in collaborazione con gli Stati Uniti.

(Da: Jerusalem Post, 22.04.07)

Nella foto in alto: Jacques Chirac e Saddam Hussein ai tempi della collaborazione nucleare fra Francia e Iraq (1976)