Caos in Egitto e processo di pace israelo-palestinese

L’instabilità della regione rafforza la richiesta israeliana di ferree garanzie di sicurezza.

Di Herb Keinon

image_3051Ricordate lo scoop di Al Jazeera? Con i tumulti in corso ora in Egitto, la pubblicazione la settimana scorsa da parte di Al Jazeera di documenti che dicevano di svelare cosa è accaduto per anni nelle segrete stanze dei negoziati fra israeliani, palestinesi e americani sembra improvvisamente molto lontana. Alla luce di un possibile rovesciamento del potere in Egitto – una rivoluzione che da un giorno all’altro potrebbe alterare completamente la situazione strategica di Israele – molto di ciò che è contenuto in quei documenti sembra bruscamente antiquato, notizie di ieri vecchie e stantie, già irrilevanti.
Ad esempio, un tema ricorrente – e motivo di dissidio – era se una forza internazionale oppure israeliana dovesse controllare il confine orientale del futuro stato palestinese: con i palestinesi che insistevano perché fosse una parte terza, e Israele impegnato ad assicurare una sua presenza lungo il fiume Giordano. Secondo autorevoli fonti europee (non citate nei documenti di Al Jazeera), negli ultimi giorni del governo Olmert il generale americano James Jones sarebbe risuscito a far accettare a Israele che fosse una forza Nato guidata dagli Stati Uniti quella chiamata a stazionare lungo il fiume Giordano. Secondo queste stesse fonti, una delle maggiori frustrazioni dei negoziatori palestinesi nei mesi scorsi era che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si ritraeva da principi sui quali ritenevano si fosse già raggiunto un accordo e rimetteva in discussione questioni che i palestinesi pensavano già risolte. Una di tali questioni era appunto il concetto di una presenza di preallarme militare israeliana sul fiume Giordano e sulle colline di Cisgiordania immediatamente sovrastanti Gerusalemme e la piana costiera.
Se Netanyahu insisteva su una presenza di sicurezza israeliana sul fiume Giordano prima degli eventi del Cairo, si può star certi che porrà tale richiesta in modo ancora più risoluto. L’instabilità che scuote il vicino meridionale di Israele, così come il Libano a nord, non farà che rafforzare l’imposizione standard di Netanyahu: che qualunque accordo di pace debba essere preceduto e accompagnato sul terreno da ferree misure di sicurezza, e che quelle misure di sicurezza non possano dipendere da una parte terza. Israele deve essere presente in prima persona.
Quando all’inizio di gennaio i dimostranti in Tunisia hanno portato al rovesciamento del presidente Zine el-Abidine Ben Ali, non sono mancati quelli che deridevano l’idea di un effetto domino in altri paesi della regione, Egitto compreso, dicendo che la cultura politica in Egitto era completamente differente, così come diverso era il rapporto del presidente egiziano Hosni Mubarak con l’esercito e complessivamente tutto il suo sistema di potere. L’Egitto non è la Tunisia, ripetevano. Ora che l’Egitto è sull’orlo di una rivoluzione, non mancano quelli che raccomandano di non estrapolare le cose da lì alla Giordania, perché la Giordania non è l’Egitto.
E se invece accadesse? E se invece gli eventi dall’Egitto si allargassero alla Giordania, e massicce proteste minacciassero il regno Hashemita? E se re Abdullah II venisse rovesciato e rimpiazzato non da democratici jeffersoniani, ma da estremisti islamisti sostenuti dall’Iran, con i mirini puntati su Israele dall’altra sponda del Giordano? Chi preferirebbe avere Israele sulla sponda occidentale del fiume Giordano: delle forze Nato guidate dagli Usa o delle forze israeliane? Se fino a pochi mesi fa tale scenario poteva essere tranquillamente liquidato come pura paranoia di estrema destra, le cose – come si vede – sono precipitosamente cambiate.
Una ventina di giorni fa, prima che i jet egiziani sorvolassero a bassa quota il Cairo e i tank irrompessero nelle strade, in un incontro coi giornalisti stranieri a Gerusalemme Netanyahu diceva che una presenza israeliana nella valle del Giordano “è assolutamente necessaria per la smilitarizzazione” dello stato palestinese. “Siamo usciti dal Libano meridionale ed è subentrato Hezbollah – diceva Netanyahu – Siamo usciti dalla striscia di Gaza mentre c’era al confine, e c’è ancora, un esercito egiziano, ed è subentrato l’Iran. Abbiamo bisogno di precise tutele per non ripetere questo schema una terza volta, giacché ovviamente quello che è in gioco è la sicurezza della nostra nazione; sono in gioco la sicurezza della nostra gente e la sicurezza della pace”.
“Esiste un paese – aveva continuato Netanyahu – col quale avevamo rapporti estremamente stretti, incontri fra i rispettivi leader, scambi fra le rispettive forze di sicurezza, scambi commerciali ed economici. Quel paese si chiama Iran, e da un giorno all’altro tutto è cambiato. Esiste un altro paese con cui avevamo fiorenti relazioni pacifiche, incontri fra i leader, esercitazioni militari congiunte, 400mila turisti israeliani all’anno: quel paese si chiama Turchia. La conclusione di una pace formale – aveva ammonito Netanyahu – non garantisce la continuità della pace. Invece, precise disposizioni di sicurezza già in atto sul terreno contribuiscono a rafforzare la pace e allo stesso tempo ci proteggono nel caso la pace venga rovesciata, nel caso in cui arrivasse l’Iran, o cercasse di arrivare”.
Se questo è ciò che diceva Netanyahu in quel momento, a soli cinque giorni da una “ampia, cordiale ed esauriente discussione” con Mubarak a Sharm el-Sheikh, si immagini cosa direbbe oggi sulla questione. Il che non promette particolarmente bene per il processo diplomatico, perché se i palestinesi non erano disposti a consentire una presenza israeliana a Efrat due anni fa, che probabilità vi sono che accettino oggi una presenza armata israeliana nella valle del Giordano? Qui non si tratta, come si usa dire, dell’Egitto che starnutisce e Israele si prende un raffreddore. Qui si tratta dell’Egitto che ha un attacco di cuore, e tutti i parametri cambiano dalla sera alla mattina.

(Da: Jerusalem Post, 31.1.11)

Nella foto in alto: Postazione giordana al confine con Israele