Capire le scelte dei palestinesi

Due teorie per un conflitto: una spiega molto, laltra (la più diffusa) quasi niente.

Da un articolo di Martin Sherman

image_1126In linea teorica vi sono due ipotesi opposte per spiegare il conflitto israelo-palestinese. Secondo la concezione tradizionale prevalente, ciò che alimenta il conflitto è la mancata auto-determinazione palestinese, e ciò che vogliono tutti i palestinesi è poter costituire un proprio stato.
Esiste tuttavia una concezione alternativa, diametralmente opposta a questa, e che alla luce degli atti e delle dichiarazioni degli stessi palestinesi appare più plausibile. Secondo quest’altra spiegazione, ciò che alimenta il conflitto non è la mancata autodeterminazione dei palestinesi bensì l’esistenza di un’autodeterminazione ebraica: in questo senso, finché continuerà ad esistere una forma di autodeterminazione ebraica, continuerà ad esistere il conflitto. Secondo questa spiegazione alternativa, l’obiettivo dei palestinesi non è costituire un proprio stato, bensì smantellare uno stato altrui, quello degli ebrei.
La domanda che si pone è: quale di queste due ipotesi alternative meglio spiega i fatti? La risposta sembra puntare inequivocabilmente a favore della seconda ipotesi, giacché essa fornisce una spiegazione plausibile per tutta una serie di eventi che la prima ipotesi lascia completamente senza spiegazione. Vediamo alcuni esempi.
– La seconda ipotesi spiega come mai i palestinesi hanno sempre considerato insoddisfacenti e hanno regolarmente respinto tutte le proposte di compromesso territoriale che avrebbero permesso loro di crearsi un proprio stato (dalla spartizione del 1947 fino all’offerta di Barak nel 2000 a Camp David).
– La seconda ipotesi spiega perché per i palestinesi sembra accettabile solo la negazione totale dell’indipendenza ebraica, come si vede non solo dal menzionato rifiuto di ogni possibile soluzione “a due stati”, ma anche da praticamente tutta la retorica e il simbolismo palestinese che invariabilmente ritrae l’intera Terra d’Israele (o ex Palestina Mandataria) dal mar Mediterraneo al fiume Giordano come parte irrinunciabile della Palestina araba.
– La seconda ipotesi spiega come mai i palestinesi si guardarono dal rivendicare una sovranità nazionale sui territori di Cisgiordania e striscia di Gaza prima del 1967 (come dice espressamente il testo della versione originaria del 1964 della loro Carta Nazionale, con la quale essi rinunciavano ad ogni aspirazione a “esercitare una qualunque sovranità nazionale sulla Cisgiordania o la striscia di Gaza…”), e spiega anche come mai oggi i palestinesi, che costituiscono la maggioranza della popolazione in Giordania, si rassegnano di buon grado a sottostare al governo della monarchia hashemita, espressione della minoranza non palestinese di quel paese. Questo fatto indica con chiarezza che i palestinesi non sono ostili a un governo non-palestinese in sè, ma sono senz’altro ostili all’esistenza di un governo ebraico.
– La seconda ipotesi spiega perché i palestinesi abbiano rifiutato la lungimirante proposta di Barak del 2000, ma anche il modo estremamente violento con cui l’hanno respinta. Infatti, sebbene quella proposta includesse effettivamente una clausola sulla “fine del conflitto”, essa contemplava concessioni senza precedenti volte a rendere concretamente realizzabile la prospettiva di costituire uno stato palestinese. Ma il grado di violenza con cui i palestinesi l’hanno respinta sembra indicare che anche quella proposta era lontanissima dalle loro reali rivendicazioni. Dopo tutto, se quella proposta fosse stata solo marginalmente inadeguata, era logico aspettarsi che i palestinesi optassero per un ulteriore negoziato sul dettaglio delle questioni in discussione anziché lanciarsi in una spietata e devastante ondata di stragi terroristiche. Tale reazione appare invece spiegabile se si ammette che quello della “fine del conflitto” viene considerato dai palestinesi un concetto assolutamente inaccettabile.
– La seconda ipotesi spiega come mai i palestinesi insistono ostinatamente sul cosiddetto “diritto al ritorno” (di tutti i profughi e loro discendenti all’interno di Israele anche dopo la nascita di uno stato palestinese): una pretesa che assai sorprendentemente comporterebbe il passaggio sotto giurisdizione israeliana di centinaia di migliaia di palestinesi (forse anche più) che ora vivono sotto governi arabi. È una rivendicazione che smaschera completamente le intenzioni palestinesi giacché si tratta di una rivendicazione in totale contraddizione con l’asserito desiderio di auto-governarsi affrancati dal “dispotico dominio israeliano”, nonché incompatibile con qualunque equa soluzione basata sul principio “due popoli-due stati”.
D’altro canto, nessuno di questi fenomeni si concilia con la spiegazione proposta da coloro che sostengono la lettura tradizionale del conflitto. In effetti i palestinesi sembrano essere ben poco interessati ad esprimere una loro sovranità nazionale in territori sotto governo arabo non palestinese, ma curiosamente il loro desiderio si manifesta con la massima violenza quando quei territori cadono sotto governo ebraico. In effetti le scelte dei palestinesi appaiono molto più comprensibili se vengono viste come volte all’eliminazione, o perlomeno all’indebolimento, della sovranità ebraica più che alla creazione di una loro sovranità indipendente.
Se questo è vero, allora avanzare proposte sempre più generose per uno stato palestinese finirà con l’essere totalmente inutile, ed anzi controproducente, giacché tali proposte non susciteranno affatto una risposta pacifica. Dopo tutto, come ebbe a dire Zuheir Muhsin, “la creazione di uno stato palestinese non è che un nuovo strumento per continuare la battaglia contro Israele”.
Così, in ultima analisi, la domanda cruciale che la dirigenza israeliana e la comunità internazionale devono porsi è: su quale di queste due ipotesi deve basarsi la politica di una nazione prudente, l’ipotesi che può spiegare tutti i fatti di cui sopra o quella che non è in grado di spiegarne neanche uno?

“Non c’è differenza fra giordani, palestinesi, siriani e libanesi: siamo tutti parte di una nazione. È solo per ragioni politiche che sottolineiamo accuratamente la nostra identità palestinese… L’esistenza di un’identità separata palestinese serve solo a scopo tattico. La creazione di uno stato palestinese non è che un nuovo strumento per continuare la battaglia contro Israele”. (Zuheir Muhsin, ex capo del Dipartimento Militare e membro del Comitato Esecutivo dell’Olp, al quotidiano olandese Trouw, marzo 1977)

(Da: Yet News, 9.03.06)

Vedi anche:

Cosa intendono per “fine dell’occupazione”?

http://israele.net/prec_website/mappepal/pagina01.html