Capo anti-terrorismo UAE: “Dobbiamo raccogliere tutte le risorse e operare insieme contro i terroristi”

Un'accademica saudita: “Gli accordi contribuiscono a minare la retorica antisemita e anti non-musulmani, che in Medio Oriente ha dominato per decenni”

Di Melanie Swan

Melanie Swan, autrice di questo articolo

Gli accordi di Abramo, che portano la normalizzazione tra Israele, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, rappresentano un successo nella lotta per sconfiggere l’estremismo in Medio Oriente. Lo ha detto al Jerusalem Post Ali al-Nuaimi, capo consigliere antiterrorismo del governo degli Emirati. Secondo Nuaimi, da tempo era necessario un nuovo approccio ed era giunto il momento di riconoscere finalmente il posto centrale di ebrei e cristiani nella storia del Medio Oriente. “Dobbiamo raccogliere tutte le risorse e operare insieme per contrastare il terrorismo – afferma Nuaimi – Loro [i terroristi] vanno oltre i confini, sono ovunque. È nostra responsabilità come musulmani riprenderci la nostra religione e mostrarla ai nostri figli come una religione di pace”.

Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, ricorda Nuaimi, gli Emirati Arabi Uniti inviarono truppe in Afghanistan a fianco degli Stati Uniti, e da allora hanno sviluppato una strategia globale contro il terrorismo nella regione. “Il terrorismo non ha religione – continua – I terroristi sono una minaccia per tutti noi, per il mondo, e nessuna nazione sarà in grado da sola di contrastarlo”.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno intrapreso una guerra contro l’estremismo sia in patria che all’estero attraverso il soft power, come gli aiuti esteri e l’istruzione, dice Nuaimi. E aggiunge che tale approccio è essenziale per prevenire la radicalizzazione.

Ali al-Nuaimi

“La coesistenza – spiega – è un aspetto chiave per un futuro più stabile, e le radici degli ebrei e del cristianesimo sono in questa regione, non nel Nord America o in Europa. Appartengono a questo luogo, sono parte di noi. Coloro che contribuiscono a far sgomberare cristiani ed ebrei da paesi come l’Iraq, il Marocco, la Siria e l’Egitto fanno una cosa che è una minaccia per tutti noi. Chi fa parte della nostra storia deve far parte del nostro futuro”.

Dagli anni ’90, gli Emirati Arabi Uniti hanno espulso decine di membri della Fratellanza Musulmana e di al-Islah (un gruppo islamista), che predicavano odio nelle scuole, nelle moschee e persino nel Ministero degli affari islamici. I predicatori estremisti hanno “dirottato” il vero islam a vantaggio dei loro piani, dice Nuaimi, arrivando sino ai vertici della società, compresi gli insegnanti di reali come il principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed Al Nahyan: un’esperienza che lo ha portato su una posizione di tolleranza zero contro i gruppi estremisti.

La cerimonia della firma degli accordi si è svolta il mese scorso alla Casa Bianca e la scorsa settimana vi è stata la ratifica da parte di governo e parlamento israeliano. E’ il momento giusto, dice Nuaimi: “Vogliamo promuovere il messaggio che questa regione ha sofferto abbastanza e che abbiamo dovuto rompere il ghiaccio e superare i confini. Abbiamo esaminato quello che abbiamo fatto per 70 anni e che non ci ha portato da nessuna parte: quindi optiamo per qualcosa di diverso”.

I tempi sono cambiati e un riflesso di questa nuova era nella regione sono le dimensioni delle manifestazioni che si sono viste contro gli accordi: molto più ridotte di quanto sarebbe stato in passato, dice Nuaimi. E quelle che hanno avuto luogo erano sponsorizzate, aggiunge. “Se avessimo fatto questo accordo vent’anni fa, avremmo visto centinaia di migliaia di manifestanti in molte città arabe. Non si è visto niente di tutto questo. Si sono viste, invece, poche manifestazioni a pagamento finanziate dal Qatar, dai Fratelli Musulmani, da Abu Mazen e da Hamas. Non rappresentano il popolo palestinese né il mondo arabo. Sapevamo che sarebbe successo e che è in corso una campagna contro di noi”.

Le bandiere Usa, israeliana, degli Emirati e del Bahrein proiettate sulle mura di Gerusalemme

In un recente studio, il Ministero degli affari strategici israeliano ha stimato che circa il 90% dei post sui social network arabi riguardanti i recenti accordi sono ostili alla novità. Lo studio suggeriva che i post facessero parte di una campagna orchestrata, giacché la maggior parte degli account era riconducibile a Hezbollah, Hamas e Autorità Palestinese. I capi politici e religiosi in Iran e Turchia non hanno fatto mistero della loro totale condanna degli accordi di pace Israele-Emirati-Bahrein, minacciando conseguenze.

Secondo Mohammed Abdullah al-Ali, direttore generale del think tank degli Emirati Arabi Uniti TRENDS Research & Advisory, “gli accordi di Abramo riguardano la costruzione di ponti di pace e aiuteranno a spegnere le fiamme dell’estremismo. I paesi e le organizzazioni che alimentano la retorica estremista devono rendersi conto che è nell’interesse di tutti promuovere la pace e la sicurezza. Questo è l’unico modo per garantire progresso e prosperità nella regione”.

Najah al-Otaibi, accademica saudita specialista in estremismo islamico, dice che gli accordi contribuiscono a minare la retorica antisemita e anti non-musulmani in Medio Oriente, dove purtroppo ha dominato per decenni. “L’odio per le fedi ‘altre’ – dice Otaibi – va diminuendo grazie a queste scelte politiche verso la pace. Se si guarda ai principali attacchi islamisti violenti del recente passato, si vede che le persone implicate citavano spesso il conflitto arabo-israeliano e l’odio per i kuffar [non credenti], e giustificavano la loro violenza a sostegno di cause islamiche contro i non musulmani”.

Najah al-Otaibi

Grazie a un maggiore accesso all’istruzione e al lavoro di alcuni governi della regione per contrastare questo genere di idee, gli atteggiamenti stanno cambiando in meglio, dice Otaibi, aggiungendo che il futuro è nelle mani delle giovani generazioni: “L’idea che Israele o altri paesi non musulmani siano nemici tenderà a svanire con questa nuova generazione tollerante”.

Anche se alcuni musulmani considerano gli accordi un tradimento della causa palestinese, Nuaimi dice che non c’è alternativa migliore della via della pace: “In molti casi – spiega – consideriamo la loro causa una priorità, anziché la nostra sicurezza o il nostro interesse nazionale. Siamo stati molto favorevoli ad aiutare i negoziati e a sostenere il processo di pace, ma alla fine ci siamo stancati della loro agenda negoziale. Ogni volta che proponevamo loro qualcosa di buono, la rifiutavano. Quando tornavano anni dopo a chiedere la stessa cosa, ormai non era più sul tappeto”.

Gli accordi non sono un favore a Israele, conclude Nuaimi, ma sono ciò che gli Emirati Arabi Uniti ritengono giusto per la regione, e sono solo l’inizio: “C’è un’opportunità che non dovremmo perdere. Ecco perché incoraggiamo anche gli altri a farlo”.

(Da: Jerusalem Post, 15.10.20)