Ce la farà, Greenblatt, dove i suoi predecessori hanno fallito?

Per riuscire nella sua missione, l'inviato Usa in Medio Oriente deve creare una versione riveduta e aggiornata dell'iniziativa di pace saudita

Di Noam Tibon

Noam Tibon, autore di questo articolo

Tutti sanno, più o meno, come potrebbe essere un accordo di pace. L’iniziativa di pace saudita, che oggi sembra più rilevante che mai alla luce dei recenti cambiamenti in Medio Oriente, potrebbe costituire una base adatta per un accordo tra Israele, palestinesi e mondo arabo.

Ma l’iniziativa saudita venne presentata a suo tempo come un diktat prendere-o-lasciare. Per riuscire nella sua missione, l’inviato americano Jason Greenblatt, un uomo intelligente che prende sul serio il proprio lavoro, deve adoperarsi per creare una versione aggiornata e riveduta di quell’iniziativa.

I suoi principi di base – uno stato palestinese nelle aree conquistate da Israele nel ’67 ma con scambi di territori, riconoscimento di Israele da parte di tutto il mondo arabo e una soluzione concordata su Gerusalemme – erano e rimangono l’unica formula sul tappeto per cercare di risolvere il conflitto. Tuttavia, ci sono diverse cose che Greenblatt potrebbe e dovrebbe aggiungere all’iniziativa per renderla più pertinente e adattarla a rispondere alla situazione attuale.

Il primo e più importante aggiustamento sta nel mettere in chiaro ai palestinesi e al mondo arabo che non ci sarà il cosiddetto “diritto di ritorno” in territorio israeliano. La soluzione per i profughi palestinesi e i loro discendenti deve essere trovata all’interno delle frontiere dello stato palestinese (o dei paesi dove ora si trovano).

L’inviato Usa in Medio Oriente Jason Greenblatt con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Un altro fondamentale cambiamento assolutamente necessario è escludere dall’equazione le alture del Golan. L’iniziativa saudita prevedeva un completo ritiro israeliano dal Golan, ma oggi la mossa più ragionevole e responsabile per la sicurezza di tutti i paesi della regione è riconoscere le alture del Golan come territorio israeliano. Nel quadro di significativi progressi del processo di pace, gli stati arabi potrebbero appoggiare una tale decisione.

Un’ulteriore modifica, non meno importante, consiste nell’aggiungere una dettagliata sezione sulla sicurezza. Per i cittadini di Israele, da sempre minacciati come singoli e come collettività, questa è la questione più importante in qualsiasi accordo. Senza disposizioni sulla sicurezza solide e rigorose, Israele non potrebbe mai fare concessioni e scendere a compromessi sulle altre questioni. A tale scopo, bisognerà aggiungere all’iniziativa un piano globale per la sicurezza che includa quantomeno una significativa presenza militare israeliana nella valle del Giordano per 15 anni dopo la firma dell’accordo e una presenza israeliana ai valichi di frontiera. Lo stato palestinese dovrebbe essere esplicitamente smilitarizzato: non dovrà avere un esercito (che bisogno avrebbe di spendere somme immense per schierare artiglieria e carri armati alle porte di Tel Aviv?), bensì ben addestrate forze di polizia e di sicurezza interna in grado di assicurare la stabilità delle sue istituzioni. Per lo stesso motivo, Israele dovrebbe mantenere il controllo dello spazio aereo.

L’inviato Usa in Medio Oriente Jason Greenblatt con il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen

Esiste già da tempo una positiva cooperazione sulla sicurezza fra Israele, Autorità Palestinese e Giordania. Un accordo di pace permetterebbe di espandere questa cooperazione, migliorarla e coinvolgere altre nazioni del Medio Oriente. Questo creerebbe un’ampia coalizione contro Iran, Isis e altre organizzazioni terroristiche.

A dispetto di tutte le acrobazie verbali e le bugie di tanti propagandisti, la maggior parte dei palestinesi desidera essere certa che alla fine di tutto avranno uno stato indipendente, mentre la maggior parte degli israeliani vuole essere certa che Israele rimarrà, come è oggi, uno stato ebraico e democratico, sicuro e in grado di difendersi.

La situazione strategica della regione è oggi la più favorevole possibile, da molti anni a questa parte, per promuovere progressi del processo di pace. Ora tocca a Greenblatt: sarà ricordato come il mediatore che ha contribuito a imprimere una svolta o come l’ennesimo diplomatico che non ce l’ha fatta e poi ha scritto un libro di memorie?

(Da: YnetNews, israele.net, 23.8.17)