C’è un preciso colpevole, ed è Hamas

Il gruppo terrorista che controlla Gaza ha bisogno del conflitto continuo, ma teme una conflagrazione che metta a rischio i suoi capi e il suo potere. Anche se molta stampa internazionale fa finta di non capire

Editoriale del Jerusalem Post e altri

Aviv Levi, 21 anni, il soldato israeliano ucciso venerdì da un cecchino di Hamas

La striscia di Gaza è uno dei posti più invivibili (sebbene non sia poi molto diversa da tanti altri luoghi poveri e male amministrati del terzo mondo). L’acqua potabile scarseggia, la povertà dilaga, la disoccupazione continua a crescere, in alcune strade scorrono le acque di fogna. Ma cerchiamo di essere chiari: questa situazione non è colpa di Israele. Gaza è controllata e gestita da un’organizzazione terroristica che ha deciso di investire incessantemente tutte le sue risorse e le sue energie nello sforzo di uccidere israeliani anziché cercare di migliorare la qualità della vita della sua gente. Si dice anche che Gaza è un’enorme prigione a cielo aperto. Anche questo è colpa di Hamas. Hamas tiene la sua gente come prigioniera in ostaggio. La popolazione di Gaza non è libera. Non hanno la possibilità di esprimersi contro il regime cui sono sottomessi, come possono fare invece i cittadini delle democrazie. Non hanno la minima possibilità di protestare liberamente contro le politiche del gruppo terrorista, che ha trasformato gli abitanti di Gaza in prigionieri. Sono intrappolati.

E’ questo che è importante ricordare, dopo il nuovo ennesimo round di violenze scoppiato venerdì scorso. È ancora troppo presto per dire come andrà a finire, ma è importante che il mondo in generale, e la popolazione di Gaza in particolare, capiscano come mai continua a ripetersi questo pessimo copione: è a causa di Hamas. Da quando ha preso il controllo con la violenza  sulla striscia di Gaza nel 2007, Hamas si è continuamente trovata di fronte allo stesso aut aut: deporre le armi e venire a patti con l’esistenza di Israele in cambio di prosperità economica e un futuro migliore per la sua gente, oppure continuare a tentare – invano – di sfibrare e distruggere Israele. Per la sfortuna di tutti, Hamas ha scelto e continua a scegliere con insistenza la strada dello scontro e della violenza.

Una casa di Ashkelon centrata da un razzo di Hamas

“Da cento anni combattiamo il terrorismo, e lo facciamo con grande determinazione – ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu la scorsa settimana durante una visita a Sderot – Oggi questo luogo è il punto di scontro tra il terrorismo islamista e lo stato degli ebrei, e noi siamo più che mai determinati a vincere. Ciò comporta uno scambio di colpi, che non è ancora finito”. Netanyahu ha continuato spiegando che il conflitto con Hamas è una “lotta lunga” che non è destinata a concludersi nel futuro immediato. Purtroppo Israele deve fare i conti con un conflitto che non ha una soluzione militare chiara e netta, e può solo puntare a rafforzare ciclicamente la propria deterrenza. La guerra anti-Hamas dell’estate 2014 garantì a Israele una certa tranquillità fino a pochi mesi fa, quando sono iniziate le violenze al confine e gli attacchi con gli ordigni incendiari. Anche questo round di violenze finirà con un cessate-il-fuoco che porterà, ancora una volta, a un altro periodo di calma fino a che la violenza non divamperà di nuovo. Lo scorso fine settimana la violenza è scoppiata quando, venerdì pomeriggio, un cecchino di Hamas ha ucciso a freddo un soldato israeliano, il 21enne Aviv Levi di Petah Tikva.

È una situazione ben triste, di cui Hamas è pienamente responsabile. Potrebbe cambiare il futuro, ma per farlo dovrebbe cambiare la propria ragion d’essere e trasformarsi da entità ossessionata dalla distruzione di Israele, in un’entità concentrata sulle esigenze della propria gente e sul miglioramento della loro qualità di vita. Bisogna dolorosamente prendere atto del fatto che la realtà attuale corrisponde ancora a quella descritta nella nota citazione attribuita a Golda Meir, che disse: “Se gli arabi abbassassero le armi, non ci sarebbero più combattimenti. Se gli israeliani abbassassero le armi, non ci sarebbe più Israele”.

Hamas è la continua dimostrazione che, anche a 70 anni dalla nascita di Israele, vi sono nemici che sono ancora ciecamente mossi da un’ideologia di odio estremista caratterizzata da uno sprezzo totale per la realtà. Hamas non ha alcuna possibilità di sconfiggere o distruggere Israele. Ma questo non le impedisce di provarci con i razzi, i tunnel terroristici, i palloni incendiari, le folle scagliate contro il confine come carne da cannone. È un gruppo terroristico, per nulla diverso da qualsiasi altro gruppo che usa il terrorismo per cercare di portare avanti aspirazioni politiche immorali e irrealistiche.

Hamas deve pagare un prezzo. Israele ha tutto il diritto legittimo di attaccare gli obiettivi di Hamas e di usare la forza militare per fermare gli attacchi che subisce. Questa è la prima e più importante cosa da ricordare di fronte all’ennesimo round di violenze. Vi sono politici, istituzioni internazionali e molti mass-media che sostengono il contrario, ma hanno torto. C’è una parte da incolpare per ciò che accade a Gaza, e quella parte è Hamas.

(Da: Editoriale del Jerusalem Post, 22.7.18)

Secondo una prima indagine delle Forze di Difesa israeliane, il sergente Aviv Levi, ucciso venerdì da un cecchino palestinese sul confine con Gaza, è stato colpito da un proiettile perforante sparato da un fucile di precisione di fabbricazione iraniana. Lo ha riferito la tv Hadashot specificando che si tratta di una replica iraniana del fucile austriaco Steyr, in grado di penetrare i giubbotti ceramici standard usati dalla maggior parte dei soldati israeliani. Vedi una foto su Times of Israel (Da: Times of Israel, 22.7.18)

Khaled Abu Toameh

Scrive Khaled Abu Toameh: Gli eventi degli ultimi mesi al confine tra striscia di Gaza e Israele dimostrano che la strategia di Hamas è quella di mantenere il conflitto in continua ebollizione, e con esso l’attenzione internazionale, cercando al contempo di evitare che il conflitto sfoci in una vera e propria guerra. Ma per la prima volta dopo molte settimane, venerdì scorso, dopo che un cecchino palestrese ha ucciso il sergente Aviv Levi della Brigata Givati, i capi di Hamas hanno capito che Israele era più vicino che mai a lanciare una grande operazione militare che avrebbe potuto porre fine al loro malgoverno di 11 anni sulla striscia di Gaza. Ecco perché Hamas si è affrettata ad accettare l’ennesima tregua mediata da Egitto e Nazioni Unite. I massicci attacchi delle Forze di Difesa israeliane contro numerosi obiettivi di Hamas nella striscia di Gaza hanno convinto i capi del movimento terrorista che Israele aveva perso la pazienza e che era determinato a porre fine allo stillicidio di aggressioni contro i suoi civili e militari. Sebbene le fonti di Gaza abbiano insistito sul fatto che l’attacco del cecchino fosse una “iniziativa locale” di alcuni membri dell’ala armata del movimento, le Brigate di Izzadin al-Qassam, sia Hamas che altre fazioni palestinesi l’hanno presentato come un “successo”. Per Hamas, è vitale mostrare continuamente ai suoi fan d’essere capace di far pagare Israele un prezzo per le azioni con cui Israele reagisce agli attacchi palestinesi, evitando tuttavia una guerra aperta con Israele. La principale priorità di Hamas, in questo momento, è rimanere al potere, mantenendo acceso un continuo conflitto con Israele “a fiamma bassa”. (Da: Jerusalem Post, 22.7.18)

Daniel Siryoti

Scrive Daniel Siryoti: Hamas, che si è abituata al lusso di essere avvertita in anticipo degli attacchi delle Forze di Difesa israeliane in modo da poter rimuovere i suoi combattenti dalle postazioni che saranno attaccate, è rimasta sorpresa e spiazzata dalla rapidità e dall’intensità con cui le forze israeliano hanno reagito, venerdì, all’uccisione del loro soldato. L’organizzazione terroristica si è precipitata a cercare la mediazione dell’Egitto e dell’inviato Onu in Medio Oriente, Nickolay Mladenov, per arrivare al più presto a un cessate il fuoco. Gli israeliani, tuttavia, non si sono accontentati delle assicurazioni di Hamas e hanno chiesto agli egiziani la garanzia che Hamas si impegnasse a interrompere completamente il terrorismo degli ordigni incendiari prima di fermare gli attacchi aerei sui bersagli terroristici a Gaza. I mediatori egiziani hanno messo in chiaro con Hamas il messaggio di Israele: “se non la smettete, continueremo a non sparare ai ragazzini che lanciano aquiloni incendiari ma non esiteremo a procedere con uccisioni mirate di membri dell’ala militare e persino di esponenti politici di Hamas”. Questo messaggio è bastato a convincere i capi di Hamas che, se l’escalation fosse degenerata in un conflitto militare con Israele, gli stati arabi non li avrebbero supportati ciecamente come hanno fatto in passato, e che era assai più saggio accettare i termini del cessate il fuoco limitandosi a menar vanto d’aver ucciso il soldato israeliano al confine. (Da: Israel HaYom, 22.7.18)

Il cessate-il-fuoco non ufficiale raggiunto tra venerdì e sabato è arrivato dopo che l’Egitto ha avvertito il gruppo terroristico palestinese che Israele avrebbe lanciato una guerra “nel giro di due ore” se Hamas avesse reagito agli attacchi delle Forze di Difesa israeliane che facevano seguito all’uccisione di un soldato israeliano ad opera di un cecchino palestinese. Lo ha riferito sabato l’emittente israeliana Canale 10 secondo la quale l’Egitto ha anche minacciato di imporre pesanti sanzioni a Hamas se non metterà fine ai lanci di ordigni incendiari verso il territorio israeliano. Dal canto suo, Hamas avrebbe chiesto all’Egitto di mantenere aperto il valico di frontiera di Rafah fra Sinai e striscia di Gaza e di fare pressione sul presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen affinché riprenda a pagare gli stipendi dei dipendenti dell’Autorità Palestinese a Gaza. Prima dell’entrata in vigore del cessate-il fuoco, a mezzanotte fra venerdì e sabato, le Forze di Difesa israeliane avevano dichiarato d’aver colpito più di 60 obiettivi di Hamas tra cui tre comandi di battaglione. Quattro palestinesi sono rimasti uccisi, almeno tre dei quali combattenti di Hamas. Secondo Canale 10, l’Egitto ha sottolineato con forza a Hamas che gli attacchi israeliani erano una risposta all’uccisione del soldato Aviv Levi, avvertendo che qualsiasi ulteriore reazione da parte di Hamas avrebbe spinto Israele ad entrate in guerra “nel giro di due ore”. (Da: Times of Israel, 22.7.18)

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato sabato Hamas a cessare i suoi attacchi incendiari transfrontalieri per evitare “un altro conflitto devastante”. “Sono seriamente preoccupato per la pericolosa escalation di violenza a Gaza e nel sud di Israele – ha affermato Guterres in una dichiarazione – Invito Hamas e gli altri militanti palestinesi a cessare il lancio di razzi e di aquiloni incendiari e le provocazioni” lungo la recinzione di confine che separa Israele da Gaza. Guterres  ha aggiunto che Israele “deve esercitare moderazione per evitare di infiammare ulteriormente la situazione”. (Da: Times of Israel, 22.7.18)

Tre comandi di battaglione di Hamas colpiti venerdì scorso dalle Forze di Difesa israeliane dopo gli attacchi da Gaza che avevano causato la morte di un soldato israeliano

 

Il Ministero degli esteri israeliano ha contestato con forza il modo in cui CNN e BBC hanno dato notizia degli eventi di venerdì a Gaza, accusando le due emittenti di “manipolare” i fatti.

Il tweet della CNN era costruito in modo da lasciar intendere che la morte di quattro palestinesi, almeno tre dei quali terroristi di Hamas, sia avvenuta prima che un cecchino di Gaza uccidesse un soldato israeliano. Il tweet della CNN parla infatti di uno scoppio di “violenza che ha provocato la morte di quattro palestinesi, tra cui tre militanti di Hamas, e di un soldato israeliano”.

“No, CNN! Hai sbagliato, e non è la prima volta – ha scritto in un tweet il portavoce del Ministero degli esteri israeliano, Emmanuel Nahshon – Un soldato israeliano è stato ucciso da Hamas e le Forze di Difesa israeliane hanno reagito, per proteggere il loro paese e i loro cittadini dai terroristi assassini. Travisando i fatti, voi manipolate contro Israele!”. La CNN non ha risposto al tweet di Nahshon.

Nahshon ha anche rilanciato un tweet scritto da Omri Ceren, consigliere del senatore Ted Cruz, che criticava la BBC per aver travisato i recenti eventi a Gaza con un trucco ormai classico: Israele viene menzionato esplicitamente, mentre chi lo attacca resta avvolto in un generico anonimato. “Israele effettua attacchi a Gaza mentre un soldato muore a causa di un colpo di fucile” titola infatti la BBC, senza nominare né i palestinesi né Hamas: è la nuova versione di quei titoli in cui fino a poco tempo fa la BBC diceva “israeliani investiti da un’auto”, commenta Nahshon. E aggiunge: “Non possiamo permettere ai mass-media internazionali di continuare a distorcere deliberatamente i fatti che si svolgono in Israele e nella nostra regione. Risponderemo a ogni titolo distorto, chiedendo la sua immediata correzione”. (Da: YnetNews, 22.7.18)

 

Intanto si è appreso che sabato Israele ha portato in salvo diverse centinaia di operatori della difesa civile siriana – i famosi “caschi bianchi” – e i loro famigliari dal sud-ovest della Siria alla Giordania, affermando d’aver preso parte allo “sforzo umanitario” su esplicita richiesta degli Stati Uniti e di altri paesi come Canada, Regno Unito e Germania. L’eccezionale intervento è stato deciso alla luce del “rischio di vita immediato” per questi civili, nel momento in cui si avvicinano all’area le forze del regime di Damasco sostenute dalla Russia. Israele ha tenuto a sottolineare che continua comunque a mantenere la sua politica di non intervento nei combattimenti in corso fra siriani da più di sette anni. Secondo l’agenzia ufficiale giordana Petra, gli sfollati sono almeno 800, comprese le rispettive famiglie. Il governo giordano, che negli ultimi anni ha ripetutamente rifiutato di accogliere altri profughi siriani, ha detto che in questo caso è stata fatta un’eccezione dal momento che Regno Unito, Canada e Germania hanno accettato di accogliere i “caschi bianchi” e le loro famiglie entro la fine di ottobre. Il quotidiano tedesco Bild ha riferito che sabato scorso un convoglio di dozzine di autobus ha attraversato il confine siriano verso Israele, ed è stato poi scortato fino al confine giordano dalla polizia israeliana e dalle forze Onu.

L’evacuazione è avvenuta dalla zona di Quneitra, che si trova a cavallo della frontiera siro-israeliana sulle alture del Golan, dove le squadre della protezione civile siriana si trovavano intrappolate: si tratta dell’ultima porzione della regione ancora non riconquistata dalle forze del regime. Secondo il reportage della Bild, l’operazione segreta è iniziata la sera di sabato, raggiungendo il suo picco dopo la mezzanotte. Gli sfollati sono arrivati al confine, dove le Forze di Difesa israeliane hanno aperto i cancelli e li hanno fatti passare, offrendo immediate forniture di cibo e acqua e cure mediche a chi ne aveva bisogno. Gli operatori umanitari e le loro famiglie sono poi saliti su una flotta di autobus che li stava aspettando sul posto. Esercito e polizia israeliana hanno bloccato le strade dell’area, permettendo al convoglio di passare senza impedimenti. Una persona coinvolta nell’operazione di salvataggio citata da Hadashot TV ha definito l’impresa “una delle operazioni più toccanti”, aggiungendo che “c’erano anche molti bambini”. Secondo il Dipartimento di stato americano, l’organizzazione dei Caschi Bianchi ha salvato più di 100mila vite umane durante la guerra civile siriana. Il rapporto afferma che l’organizzazione è finanziata da Regno Unito, Paesi Bassi, Danimarca, Germania, Giappone e Stati Uniti. Molti attivisti dell’organizzazione sono rimasti uccisi nei combattimenti in Siria. Uno degli incidenti più noti si verificò nel 2016, quando cinque “caschi bianchi” rimasero uccisi a seguito di un attacco russo su uno dei loro centri ad Aleppo. (Da: Times of Israel, YnetNews, 22.7.18)