C’è voluto Abu Mazen per dimostrare che la pace non è possibile finché i palestinesi non capiscono i diritti degli ebrei in quella terra

Quando persino il New York Times scrive che Abu Mazen ha perso ogni credibilità come interlocutore di pace, vuol dire che qualcosa comincia a cambiare

Di Raphael Ahren

Raphael Ahren, autore di questo articolo

Quando mercoledì scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha esortato la comunità internazionale a “condannare le gravi espressioni antisemite di Abu Mazen”, il mondo ha risposto con rara solerzia. Le condanne sono piovute non solo da parte dei governi di Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada, Lituania, ma anche da ambienti molto più improbabili: l’inviato delle Nazioni Unite in Medio Oriente, il capo della politica estera dell’Unione Europea, il principale gruppo di pressione pro-palestinese in Germania, persino il capo dell’Unesco, l’agenzia culturale delle Nazioni Unite che Israele sta abbandonando a causa del suo noto pregiudizio anti-israeliano.

Gli ignobili commenti di Abu Mazen, gli ultimi e forse i peggiori di una serie volta a fomentare fra la sua gente sentimenti anti-ebraici e anti-israeliani, suonano in effetti come una conferma abbastanza clamorosa del punto di vista di coloro, come il primo ministro israeliano, che da anni cercano di spiegare che la mancanza di pace non è dovuta alle attività edilizie negli insediamenti israeliani in Cisgiordania, né a qualsiasi altra politica israeliana presunta intransigente nei confronti dei palestinesi. Netanyahu ha ribadito innumerevoli volte nel corso degli anni che, allo stato attuale, la pace è irraggiungibile perché gli arabi palestinesi e la loro dirigenza semplicemente si rifiutano di accettare uno stato ebraico entro qualunque confine. È proprio per questa ragione che Netanyahu cita sempre il riconoscimento palestinese di Israele in quanto stato nazionale del popolo ebraico come uno dei due pilastri essenziali su cui deve poggiare qualsiasi futuro accordo di pace (l’altro è la smilitarizzazione dello stato palestinese con garanzie a prova di bomba per la sicurezza di Israele).

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) accolto a Bruxelles, il 22 gennaio 2018, dalla responsabile della politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, per partecipare al Consiglio degli affari esteri dell’UE

Molti leader occidentali, e anche diversi osservatori e politici israeliani, considerano l’insistenza di Netanyahu sul riconoscimento di Israele come stato ebraico un ostacolo inutile. Ma il discorso di Abu Mazen al Consiglio Nazionale palestinese – in cui ha sostenuto, fra l’altro, che la Shoà è stata causata dal “comportamento sociale” degli ebrei a partire dal prestito a interesse, e che gli ebrei ashkenaziti non hanno alcun legame storico con Terra di Israele – non ha fatto che evidenziare il punto che sta a cuore a Netanyahu: come puoi aspettarti che gli israeliani facciano la pace con coloro che negano ogni loro legame con questo paese (e en passant riciclano uno fra i peggiori stereotipi antisemiti)?

Questo concetto non è sfuggito alla comunità internazionale. “La retorica di Abu Mazen – si è affrettato a dire giovedì il ministro britannico per il Medio Oriente Alistair Burt – non serve gli interessi del popolo palestinese ed è profondamente inutile per la causa della pace”. Ancora più esplicita l’Unione Europea: “Questa retorica – ha dichiarato l’European External Action Service – farà solo il gioco di coloro che non vogliono la soluzione a due stati che il presidente Abu Mazen ha ripetutamente invocato”.

Non è che la comunità internazionale stia per iniziare a sostenere gli insediamenti o a giustificare i metodi delle Forze di Difesa israeliane. Certamente non abbandonerà il suo sostegno alla soluzione a due stati. Ma certamente la reazione negativa alle frasi di Abu Mazen mostra che – forse – inizia a farsi strada l’argomento secondo cui il conflitto israelo-palestinese non è solo una contesa su porzioni di territorio che potrebbe essere facilmente risolta se solo Israele fosse disposto a fare un po’ di concessioni. Stando alle tante dichiarazioni, pare che molti soggetti internazionali stiano finalmente capendo che, per arrivare alla pace, è davvero necessario che i palestinesi interiorizzino il fatto che gli ebrei hanno millenni di storia in questa terra e hanno diritto a esercitare qui la loro sovranità senza che ciò abbia nulla a che fare con la Shoà.

Quando persino il New York Times scrive in un editoriale che Abu Mazen, “alimentando ignobili miti anti-semiti e teorie del complotto” e “cedendo a oscuri istinti” ha ormai “perso ogni credibilità come interlocutore affidabile”, vuol dire che forse qualcosa di fondamentale comincia a cambiare.

(Da: Times of Israel, 3.5.18)