Cercasi «nuova pace» disperatamente

La «vecchia pace» è morta sotto i colpi dell’intransigenza palestinese.

Di Ari Shavit

image_3357Dapprima la vecchia pace venne ferita. Dopo che Israele aveva dato ai palestinesi la maggior parte della striscia di Gaza, in Piazza Dizengoff saltò in aria il primo autobus. Dopo che Israele aveva dato ai palestinesi le città di Nablus e Ramallah, iniziarono a esplodere altri autobus nel centro di Gerusalemme e di Tel Aviv. E dopo che Israele aveva ipotizzato che i palestinesi istituissero uno stato sovrano sulla maggior parte dei territori occupati, i palestinesi risposero con un’ulteriore ondata di attentati terroristici. Mentre i terroristi suicidi imperversavano nelle nostre città, fra gli israeliani iniziava a farsi strada il dubbio che forse c’era qualcosa che non funzionava in quella grandiosa promessa di una pace.
Poi la vecchia pace venne ferita in modo più grave. Dopo che Israele si fu ritirato dal Libano meridionale, in quel territorio venne creata una base sciita per il lancio di missili capaci di minacciare l’intero paese. Dopo che Israele ebbe sgomberato tutti gli insediamenti dalla striscia di Gaza, quel territorio venne trasformato in un Hamastan armato che attacca continuamente il sud del paese. Due ritiri audaci, unilaterali e motivati, che diedero luogo, entrambi, a situazioni assai complicate. Quando i razzi Qassam iniziarono ad abbattersi sulla città di Sderot e i razzi Grad a cadere su Ashdod, e i missili Fajr colpirono Haifa dal nord, gli israeliani iniziarono a sentire un certo mal di pancia all’idea di ciò che poteva attenderli dopo il vero, grande ritiro.
Dopodiché la vecchia pace venne ferita ancor una volta. Tzipi Livni si sedette a trattare con Ahmed Qureia (Abu Ala) per un anno intero, ma Abu Ala non firmò nulla. Ehud Olmert offrì a a Mahmud Abbas (Abu Mazen) di dividere Gerusalemme, ma Abu Mazen non si fece più vedere. Il fatto che i palestinesi moderati voltassero le spalle alle più generose offerte di pace che Israele avesse mai fatto suscitò tetri sospetti circa le loro vere intenzioni. Erano davvero intenzionati a dividere il paese in due stati nazionali che vivessero in pace fianco a fianco?
Infine la vecchia pace è stata ferita in modo fatale. Dopo aver incassato innumerevoli colpi, anche gli israeliani più ragionevoli e moderati persero fiducia nella riconciliazione. Sebbene fossero ancora disposti a cedere i territori e dividere Gerusalemme, intuivano che non c’era nessuno, dall’altra parte, a cui cedere i territori o con cui dividere Gerusalemme. Ecco perché abbandonarono l’agenda diplomatica e iniziarono ad occuparsi dell’agenda socio-economica. Avevano perso la passione che permetteva loro di combattere l’estrema destra e i coloni estremisti. La perdita di speranza degli israeliani nella possibilità di arrivare alla pace inflisse un colpo alla pace non meno dell’intransigenza dei palestinesi.
Ora la vecchia pace è morta. Proprio morta. La rivoluzione islamica in Egitto ha rimosso l’àncora meridionale di quella promessa di pace. La sanguinosa repressione in Siria ha neutralizzato il suo cinico garante settentrionale, e le relazioni sempre più calorose fra Fatah e Hamas ne toglie di mezzo l’asse centrale. Chiunque osservi la realtà che è emersa attorno a Israele capisce oggi ciò che non era del tutto comprensibile un anno fa: che il risveglio arabo ha ucciso il processo diplomatico. Negli anni a venire, nessun leader arabo moderato avrà sufficiente legittimazione o potere per firmare un accordo di pace con Israele. Ciò che abbiamo desiderato dal 1967, e che abbiamo creduto possibile dal 1993, semplicemente non accadrà. Non ora, non in questo decennio.
La morte accertata della vecchia pace costituisce uno dei più gravi sviluppi del 2011. Senza una speranza di pace, più grande è il rischio che il fronte palestinese si deteriori. Senza un processo di pace, più grande è il rischio di un’esplosione in Medio Oriente. Senza una pace all’orizzonte, l’occupazione attecchisce e minaccia di seppellirci tutti.
Ecco perché la morte della vecchia pace richiede uno sforzo di pensiero creativo per una nuova pace: una pace che non sarà imminente, ma graduale. Una pace che non sarà definitiva, ma parziale. Una pace che non sarà necessariamente basata su accordi firmati. Una pace che trarrà insegnamento dalla morte della vecchia pace e dovrà adattarsi alla nuova, burrascosa realtà storica.
Questa nuova pace non sarà la pace dei nostri sogni. Non sarà la pace che mette fine a tutto il conflitto. Non sarà nemmeno una pace che mette fine a tutta l’occupazione. Ma forse questa nuova, modesta pace ci permetterà di aprire un sentiero attraverso la bufera, di gestire il conflitto israelo-palestinese e in qualche misura di mitigarlo.
Questa nuova pace potrebbe offrire al centro e alla sinistra israeliana un nuovo programma diplomatico appropriato. Ora che la vecchia pace è morta, bisogna al più presto sostituirla con una pace nuova e realistica.

(Da: Ha’aretz, 9.2.12)

Nella foto in alto: Ari Shavit, autore di questo articolo