Certo che gli israeliani hanno votato sull’economia

Ma la campagna dell’opposizione che dipingeva un paese al collasso era tutta sbagliata

Di Sever Plocker

Sever Plocker, autore di questo articolo

Sever Plocker, autore di questo articolo

Un futuro studioso di storia non avrà problemi ad analizzare e spiegare i risultati delle elezioni del 2015 in Israele: non farà altro che attenersi ai fatti. Dalle statistiche apprenderà che nei sei anni di governo a guida Likud la situazione economica degli israeliani era migliorata: l’inflazione era scomparsa, il tasso di disoccupazione era diminuito e il tenore di vita delle famiglie era aumentato in maniera significativa, anche ai livelli inferiori. Ecco i dati che avrà a disposizione: nel 2009, ogni famiglia della fascia di reddito medio di circa 9.000 shekel mensili (2.075 euro) aveva un’automobile; nel 2013 la proprietà di auto private nelle famiglie della stessa fascia è salita del 61%. Nel 2009, il 66% delle famiglie di questa fascia aveva due telefoni cellulari; nel 2013 erano diventate il 72%. Nel 2009 c’era un condizionatore d’aria installato negli appartamenti del 74% delle famiglie di questa fascia; nel 2013 c’era un condizionatore nelle case dell’86,5% di queste famiglie.

Lo studioso di storia della società israeliana scoprirà che la situazione economica era migliorata anche nella fascia di reddito inferiore: dal 2009 al 2013 la percentuale di famiglie povere che possiedono un’automobile è passata dal 24,5% al 31,5%; la percentuale di famiglie povere con due telefoni cellulari è aumentata dal 50% al 58%; e la percentuale di famiglie povere con aria condizionata nel proprio appartamento è passata dal 42,4% al 62,5%. Si tratta di un impressionante aumento del tenore di vita, si dirà lo studioso.

Pil pro capite israeliano fra il 2012 e il 2014

Pil pro capite annuo israeliano fra il 2006 e il 2014, in dollari Usa. Dati: Banca Mondiale (cliccare per ingrandire).

Da altre fonti statistiche, lo storico riceverà informazioni su importanti investimenti nelle infrastrutture che collegano la periferia al centro del paese, con conseguente forte aumento del valore dei beni della gente che vi abita. Tutto questo lo porterà alla sola conclusione razionale: gli israeliani hanno votato a favore della rielezione di un governo guidato da Netanyahu per motivi economici.

Quello che sarà difficile, per il nostro storico del futuro, sarà capire e spiegare il dibattito che si è sviluppato in Israele dopo le elezioni: un dibattito incentrato sullo sforzo di spiegare i risultati utilizzando ogni fattore possibile tranne il fattore economico-fattuale. E sarà sorpreso nel leggere che il centro-sinistra ha perso le elezioni benché la situazione degli elettori, obiettivamente, non fosse mai stata peggiore: per cui loro, gli elettori, devono aver mentito a se stessi, oppure hanno votato in modo viscerale, oppure hanno ceduto alla propaganda nazionalistica, oppure hanno seguito il proprio istinto etnico come un gregge cieco, oppure hanno voluto punire il partito laburista che non è al potere da quindici anni, oppure si sono messi tutti d’accordo per dare una lezione a quei radical-chic che vivono a Tel Aviv, o più probabilmente sono stati guidati da tutti questi motivi irrazionali messi insieme. Ma certamente non perché volessero, da elettori perfettamente razionali, che il Likud in generale, e il primo ministro Benjamin Netanyahu in particolare, restassero al potere per continuare a trarne benefici economici.

Perché mai, si domanderà il futuro storico della politica israeliana (e mi domando io oggi) dovremmo ricorrere ad astruse spiegazioni a metà tra teorie complottiste, teorie post-marxiste sulla “falsa coscienza” e teorie post-moderne sulla “politica dell’identità”, quando i fatti parlano da soli in modo chiaro? L’opposizione aveva promesso agli elettori un “rivolgimento politico” che avrebbe “cambiato il motore” dello stato d’Israele. Ma la maggior parte degli elettori non voleva un rivolgimento economico e nessun cambio del motore. Gli andava bene quello che avevano, disposti ad accontentarsi di alcune piccole riparazioni. Anche Moshe Kahlon (di Kulanu) è sembrato troppo. Va bene come ministro, purché sotto Bibi Netanyahu.

E’ ora che i partiti dell’opposizione la smettano di incolpare gli elettori per le loro sconfitte gridando “cattivi, cattivi!” e inizino a incolpare se stessi, e in particolare la loro campagna sbagliata sulla questione economica che descriveva falsamente Israele come se fosse sull’orlo del collasso economico.

(Da: YnetNews, 22.3.15)