Ciò che molti leader mondiali non capiranno a Yad Vashem

La domanda è: quanti di loro, dopo Gerusalemme, correranno a Ramallah? E cosa si sentiranno dire dai dirigenti palestinesi?

Di Lyn Julius

Lyn Julius, autrice di questo articolo

Giovedì 23 gennaio più di cinquanta capi di stato, primi ministri e membri di famiglie reali visiteranno Yad Vashem (il memoriale della Shoà a Gerusalemme) per commemorare il 75esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz.

Dopo discorsi solenni per sottolineeranno che “mai più” dovrà accadere un fatto così catastrofico, l’evento si concluderà con una cerimonia commemorativa. Alcuni sopravvissuti alla Shoà accenderanno una torcia per la memoria e i capi-delegazione deporranno delle corone.

Va benissimo fare tesoro della lezione dell’antisemitismo nazista, che ancora oggi ispira gli estremisti fascisti e le ultra-destra in Occidente. Ma la domanda è: quanti di questi primi ministri e capi di stato si affretteranno, dopo la tappa allo Yad Vashem, a recarsi in visita nella sede dell’Autorità Palestinese a Ramallah? E cosa dirà loro la dirigenza palestinese? Non è difficile immaginarlo: dirà loro che i palestinesi “hanno pagato il prezzo” per la creazione dello stato d’Israele.

Esiste il serio pericolo che i leader mondiali se ne vengano via con la ferma convinzione che l’antisemitismo sia stato un fenomeno puramente europeo, e che Israele sia l’”ammenda dell’Europa” per aver ucciso sei milioni di ebrei europei. Dei leader mondiali renderanno visita a Ramallah senza avere la minima idea delle dimensioni del sentimento filo-nazista che esisteva fra gli arabi durante la seconda guerra mondiale.

Il padre del movimento nazionale palestinese, Amin al Husseini, con Adolf Hitler in Germania nel 1941

La dirigenza palestinese starà molto attenta a non fare alcuna menzione del fatto che uno dei principali capi arabi all’epoca della guerra, il mufti di Gerusalemme Haj Amin Al-Husseini, era un volonteroso complice dei nazisti. Dopo aver fomentato il massacro Farhud degli ebrei iracheni nel 1941, il mufti palestinese trascorse il resto della guerra a Berlino come ospite di Hitler. Mentre inondava il mondo arabo di feroce propaganda radiofonica anti-ebraica, al-Husseini sollecitava da Hitler l’autorizzazione a gestire lo sterminio degli ebrei in Medio Oriente e Nord Africa – non solo in Palestina – una volta che i nazisti avessero vinto la guerra. Quando la guerra finì, gli Alleati non processarono Amin al-Husseini a Norimberga e il mondo arabo non conobbe mai un processo di “de-nazificazione”. Oggi il sua lascito di terrorismo antisemita islamista/islamo-fascista di ispirazione nazista – rappresentato dai Fratelli Musulmani, dall’Isis, da al-Qaeda, da Hamas – alimenta anche l’antisemitismo jihadista in Occidente.

Più della metà della popolazione ebraica israeliana si trova in Israele a causa degli arabi, non dei nazisti. Qualcuno a Yad Vashem farà notare che 850.000 ebrei furono costretti a fuggire dalle terre arabe dove vivevano da molti secoli, perché gli stati della Lega Araba applicarono contro i loro cittadini ebrei delle norme anti-ebraiche che ricordano singolarmente le leggi di Norimberga naziste, privandoli dei loro diritti e spodestandoli delle loro proprietà?

Il mufti Haj Amin al-Husseini incontra il capo delle SS Heinrich Himmler. La dedica dice: A Sua Eminenza il Gran Mufti come ricordo; 4 VII 1943; Firmato: H. Himmler.

Durante la loro visita a Ramallah, dei leader mondiali sprovveduti appoggeranno il “diritto al ritorno” palestinese senza nemmeno rendersi conto che quella rivendicazione non fa che sostituire il genocidio con il politicidio. In altre parole, le intenzioni genocide vengono celate nel lessico dei diritti umani. Il movimento BDS (per il boicottaggio dell’unico stato ebraico al mondo) garantisce continuità a questa campagna di antica data.

Un capo di stato sicuramente non sarà presente a Yad Vashem il 23 gennaio. L’ayatollah iraniano Ali Khamenei, che è rimasto fedele alle esplicite aspirazioni genocide. Nega la Shoà e ne minaccia una nuova contro gli ebrei di oggi. Perlomeno, con il regime iraniano sappiamo bene come stanno le cose.

(Da: Times of Israel, 20.120)

 

 

Si veda anche:
L’insegnamento nazionale e universale della Shoà
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