Collera etiope

Vittime di un atteggiamento discriminatorio o delle conseguenze del pesante svantaggio iniziale socio-economico-culturale?

Editoriale del Jerusalem Post

Damas Pakada e Benjamin Netanyahu, lunedì a Gerusalemme

Damas Pakada e Benjamin Netanyahu, lunedì a Gerusalemme

E’ stato un video, la scintilla che ha scatenato le manifestazioni di pretesta di un nutrito gruppo di israeliani etiopi, degenerate in scontri violenti a Gerusalemme e a Tel Aviv. Ma la loro rabbia repressa ha radici più profonde.

Nel video, diffuso la scorsa settimana sui social media, si vedono due agenti di polizia che aggrediscono Damas Pakada, 21 anni, apparentemente senza una valida ragione. L’impatto del video è stato notevolmente amplificato dal fatto che Pakada era in uniforme delle Forze di Difesa israeliane: evidentemente la lealtà di Pakada verso il suo paese non è bastata a proteggerlo dalla vergognosa rabbia gratuita di due poliziotti. (Secondo dati del Centro Ricerca e Informazione della Knesset, nel 2011 l’86% dei maschi etiopi ha servito nelle forze israeliane, a fronte di una media nazionale del 74%.)

La polizia ha tentato di disinnescare la situazione pubblicando una condanna dell’aggressione e sospendendo immediatamente dal servizio i due agenti, in attesa dell’inchiesta ufficiale. Tuttavia più di un migliaio di manifestanti, per la maggior parte giovani di estrazione etiope nati e cresciuti in Israele, sono scesi in strada per protestare: teoricamente contro gli eccessi di brutalità della polizia nei confronti dei membri della comunità etiope (Pakada non è il primo caso del genere). Ma le manifestazioni hanno portato alla luce una frustrazione molto più ampia per quello che molti israeliani, etiopi e non, non esitano a definire un diffuso pregiudizio razziale legato al colore della pelle.

Manifestanti contro il razzismo verso gli etiopi, domenica a Tel Aviv

Manifestanti contro il razzismo verso gli etiopi, domenica a Tel Aviv

Stando a un sondaggio commissionato nel 2013 da Hakol Hinuch (“Tutto è istruzione”), un’organizzazione con sede presso l’Università di Haifa che fornisce consulenza legale gratuita ai genitori di alunni vittime di discriminazioni, l’85% degli israeliani afferma che nel sistema educativo c’è da “un po’” a “molta” discriminazione contro gli studenti etiopi.

Un altro sondaggio del 2012 trovò risultati così scioccanti da spingere enti come l’Agenzia Ebraica e la International Fellowship of Christians and Jews a indire, insieme al primo ministro Benjamin Netanyahu, una “Convenzione per l’integrazione degli etiopi nella società e nell’economia e contro il razzismo e la discriminazione”. L’indagine, condotta dall’Istituto Geocartographica, aveva rilevato che meno della metà degli israeliani non immigrati accetterebbe di buon grado che i propri figli venissero educati nella stessa aula con gli etiopi, e solo un quarto non avrebbe problemi ad avere un etiope come vicino di casa o permettere ai propri figli di sposare un etiope. Nondimeno, nello stesso sondaggio l’82% degli intervistati diceva che la società israeliana deve promuovere l’integrazione degli immigrati etiopi.

Un agente di polizia ferito negli scontri di domenica sera a Tel Aviv

Un agente di polizia ferito negli scontri di domenica sera a Tel Aviv

Secondo uno studio del 2011 condotto dall’Istituto Myers-JDC-Brookdale, la povertà è quattro volte più alta fra gli etiopi che tra gli altri ebrei israeliani, anche quando lavorano due o più membri della famiglia. E si è riscontrato che i giovani etiopi sono statisticamente molto più esposti al rischio dell’abbandono scolastico e sono di gran lunga sotto-rappresentati nelle università. Dove invece sono sovra-rappresentati è in carcere. Benché costituiscano solo un cinquantesimo della popolazione, un quinto degli etiopi che servono nelle forze armate trascorre un periodo dietro le sbarre durante il servizio militare. Sebbene i minorenni etiopi costituiscano solo il 3% dei minorenni israeliani, un quinto dei minorenni detenuti nel carcere minorile di Ofek sono etiopi, stando ai dati del Servizio Penitenziario israeliano.

Sono dati impressionanti, cifre che fanno riflettere. Si tratta del risultato di un diffuso atteggiamento discriminatorio o delle conseguenze di un pesante svantaggio iniziale socio-economico-culturale? Impossibile rispondere.

Chiaramente Israele non è sempre una “società arcobaleno” che celebra e valorizza tutte le proprie diversità. Quella che un tempo veniva identificata come l’élite laica ashkenazita (occidentale) continua a coltivare un’opinione condiscendente, paternalista, spesso denigratoria, verso i sefarditi (ebrei orientali) e gli haredim (ultra-ortodossi). Esistono tensioni tra sefarditi e immigrati provenienti dall’ex Unione Sovietica. Quasi ogni gruppo ebraico nutre sgradevoli generalizzazioni sugli arabi israeliani. Ed anche gli etiopi patiscono le conseguenze di questo tribalismo sottotraccia della società israeliana. Almeno in parte, la riluttanza del governo a portare in Israele i restanti 4-5.000 ebrei etiopi, molti dei quali con una parte della famiglia già in Israele, ha a che fare con la difficoltà di integrarli e con il colore della loro pelle. E’ difficile immaginare dei potenziali immigrati russi trattati in modo analogo.

Ebrei etiopi a Gerusalemme

Ebrei etiopi a Gerusalemme

Non sarebbe giusto affermare che i leader politici israeliani non hanno tentato di risolvere i problemi sociali patiti dalla comunità etiope. Ma certamente si può fare di più. E in ogni caso nulla può giustificare eclatanti brutalità da parte di agenti di polizia che, detto per inciso, si manifestano anche verso altri gruppi della società israeliana, dagli haredim, agli arabi, agli attivisti di estrema sinistra.

Ma almeno una parte dei problemi che gli etiopi si trovano ad affrontare in Israele è legata alle inevitabili difficoltà insite nel brusco passaggio dall’Africa sub-sahariana a un paese occidentale avanzato. C’è da sperare che molto di ciò a cui stiamo assistendo sia dovuto a “dolori della crescita”.

(Da: Jerusalem Post, 3.5.15)