Combattere il terrorismo, promuovere l’integrazione

Una personalità arabo-israeliana ha detto: "Dobbiamo decidere se siamo nemici di Israele o se siamo suoi cittadini. Non possiamo essere le due cose allo stesso tempo”

Di Uri Heitner

Uri Heitner, autore di questo articolo

Uri Heitner, autore di questo articolo

I giorni difficili che stiamo vivendo rischiano di portare all’esasperazione chi crede nella convivenza tra arabi ed ebrei in Israele. Quando un terrorista armato di coltello, che si è scagliato contro dei poliziotti inviati ad arrestare un violento per garantire sicurezza e tranquillità agli abitanti di Kafr Kana, diventa un eroe nazionale le cui foto vengono innalzate durante proteste di massa contro l’esistenza di Israele; quando molti arabi israeliani, nel quadro di tumulti e violenze in varie parti del paese, invocano la guerra contro lo Stato e la liberazione della Palestina nel sangue, davvero la reazione più naturale è l’esasperazione.

Eppure il medico che mi ha curato il giorno dopo gli scontri a Kafr Kana, i meccanici che hanno riparato la mia auto nel loro garage, le tre autostoppiste che ho preso a bordo mentre si recavano a lezione al College Tel-Hai (nell’estremo nord di Israele) erano tutti cittadini arabi israeliani, ed ogni volta tutto si è svolto in modo perfettamente cordiale e sereno: vera testimonianza del fatto che non tutto è perduto. Essi sono la prova che è possibile qualcosa di diverso.

La dicotomia di un certo discorso pubblico corrente – secondo cui solo una persona disposta a ripiegare e seppellire la bandiera dello stato ebraico sarebbe amante della pace e della convivenza, mentre coloro che restano legati al carattere ebraico del paese nutrirebbero sentimenti di odio verso gli arabi rifuggendo da qualsiasi forma di dialogo con loro – è una vera e propria ricetta per l’esasperazione. Nulla di buono può venire da un dialogo intrappolato in una visione che parte dall’idea che Stato e governo israeliani sono in quanto tali “razzisti”. Vi sono nella Knesset dei parlamentari veramente irresponsabili che, come piromani attorno a una polveriera, soffiano sul fuoco per peggiorare la situazione.

"Dobbiamo decidere se siamo nemici di Israele o se siamo suoi cittadini". Nella foto: Salim Joubran, arabo, giudice della Corte Suprema israeliana

“Dobbiamo decidere se siamo nemici di Israele o se siamo suoi cittadini”. (Nella foto: Salim Joubran, arabo, giudice della Corte Suprema israeliana)

In questo periodo ho preso parte a tre diverse iniziative per il dialogo e la cooperazione con gli arabi in Israele. In tutti questi incontri presento il punto di vista sionista inquadrato nello spirito della Dichiarazione di Indipendenza: Israele è lo stato nazionale del popolo ebraico che garantisce pari diritti civili a tutti i suoi cittadini, ebrei e non ebrei. In ogni incontro metto in chiaro ai colleghi che vi partecipano che il carattere ebraico-sionista del paese non è in discussione, né oggetto dibattito. Poi, detto questo, non potranno trovare un interlocutore più dedito del sottoscritto agli sforzi per la massima parità e integrazione.

Uno dei forum a cui partecipo comprende importanti esponenti religiosi musulmani (che purtroppo preferiscono non essere nominati). Un eminente sceicco della comunità arabo-israeliana ha affermato: “Dobbiamo decidere se siamo nemici di Israele o se siamo cittadini di Israele. Non possiamo essere entrambe le cose allo stesso tempo. Io ho scelto la cittadinanza”. Lo ha detto prima dell’operazione “Margine protettivo” della scorsa estate a Gaza, e lo ha ribadito dopo.

Anche tra noi ebrei vi sono estremisti e fanatici. Anche fra noi vi sono quelli che urlano cose orribili come “morte agli arabi”: una vera maledizione fra le nostre case. Si tratta di una piccola minoranza estremista, ma noi non facciamo abbastanza per sottolinearne l’assoluta illegittimità.

Il governo deve indicare come obiettivo nazionale la piena integrazione degli arabi israeliani. Certo, quando gli arabi israeliani eleggono ripetutamente al parlamento esponenti del nazionalismo più estremista come i vari Ahmad Tibi e Hanin Zoabi, è difficile credere nella convivenza. Ma viviamo insieme in questa terra, in un unico paese, e non possiamo permetterci il lusso di abbandonare la convivenza. Non è una scelta facile, ma è comunque la mia scelta.

(Da: Israel HaYom, 12.11.14)