Combattere la paura

Il terrorismo vince quando trasforma un attentato in dramma psicologico, e in successo politico

Da un articolo di Micha Goodman

image_2002Obiettivo del terrorismo è trasformare azioni violente in risultati politici, seminando terrore fra la popolazione bersaglio. Non stiamo dunque parlando, qui, di un evento meramente fattuale, quanto piuttosto di un evento psicologico, che non ha luogo sulla scena pubblica bensì all’interno della percezione degli individui.
Il segreto del successo del terrorismo è che, colpendo con la violenza un numero relativamente piccolo di persone, riesce a seminare paura fra moltissime altre. Un attentato su un autobus di Tel Aviv che uccide una mezza dozzina di persone terrorizza sette milioni di cittadini.
Questa la sequenza su cui agisce il terrorismo: trasformare un evento fattuale relativamente minore in un grande dramma psicologico, che a sua volta viene trasformato in una vittoria politico-diplomatica. Assistiamo così a uno slittamento dal piano fattuale a quello psicologico, e da quello psicologico a quello politico: sistema d’elezione per chi ha pochi mezzi giacché col terrorismo, per infliggere un danno a un’intera società, non è necessario colpirne tutti i componenti. Basta colpire alcuni individui. Chi dispone della capacità (e della indecenza morale) di colpire con ferocia alcuni individui presi a caso, può di fatto di colpire masse intere.
Il compito delle forze armate e dei servizi di sicurezza è quello di impedire l’attuarsi del primo anello fattuale della catena del terrorismo: gli attentati. Il compito della leadership politico-diplomatica è quello di impedire il passaggio al terzo anello: la vittoria politica del terrorismo.
Ma chi si occupa di impedire lo slittamento dall’attacco fisico al terrore psicologico di massa? In altri termini, chi si assume il compito di combattere il terrore in se stesso?
Le forze di sicurezza, che prevengono attentati con lealtà e professionalità, non possono combattere il terrore perché si tratta di qualcosa che si produce nella percezione umana: uno spazio dove anche i servizi segreti non hanno accesso.
Dal momento che abbiamo a che fare, qui, con un fenomeno mentale, è a questo livello che si deve trovare il terreno di lotta. Pertanto il terrorismo dovrebbe essere combattuto nel sistema educativo, nelle scuole, nei movimenti giovanili, nei centri di studi religiosi. Questi sono i luoghi dove si consolida la volontà nazionale e la resistenza personale dei cittadini d’Israele.
Lo slittamento da un attentato fisico che coinvolge alcune persone ad un moto che semina terrore fra molte persone ha luogo grazie ai mass-media. I giornali che riportano gli attentati con titoli cubitali accompagnati da immagini esplicite trasformano l’attentato in un evento che viene interpretato in termini di terrore e paura. Ma non si può incolpare i proprietari dei giornali: il loro obiettivo non è seminare paura, è vendere giornali. La consapevolezza che più un attentato viene raffigurato in modo esplicito e terrifico più alte saranno le vendite, trasforma la competizione per l’attenzione del lettore in un fattore che rafforza il terrorismo. Vale a dire che il problema non sta nei mass-media quanto piuttosto nei consumatori di notizie.
Gli attacchi di missili Qassam rappresentano un caso interessante. Si tratta di armi che seminano terrore in modo estremamente efficace. A differenza degli attentati suicidi, che terrorizzano sì, ma rispetto ai quali i cittadini hanno la sensazione di mantenere un minimo di controllo sugli eventi (possono decidere di non salire sugli autobus, di evitare centri commerciali, di star lontani da persone sospette), nei caso di razzi e missili questa sensazione scompare del tutto: il Qassam arriva dal cielo, può arrivare in qualunque momento del giorno e della notte, può colpire sia per strada che dentro casa. Per questo il Qassam, con un limitatissimo danno fisico, è in grado di causare un enorme danno psicologico.
Ecco perché le centinaia di volontari che giungono a Sderot per assistere gli abitanti e aiutarli a combattere il senso di solitudine svolgono un ruolo importantissimo nel modo in cui la società israeliana fa fronte ai Qassam. Lo stato può fare molto per ridurre al minimo il danno fisico, con le operazioni militari a Gaza. Ma i volontari (e non solo da Israele) sono la vera risposta al terrore in se stesso. La loro presenza in prima linea può fare ciò che l’esercito non può fare: perché l’esercito può contenere solo gli attentati, ma i volontari possono contenere il terrore.

(Da: YnetNews, 12.02.08)

Nelle foto in alto: abitanti di Sderot sotto i Qassam palestinesi